Ammettiamolo: siamo stati militarmente occupati dalle truppe del 2.0. Al grido di “User Generated Content !” ci hanno invaso i templi della musica, dell’audiovisuale, della notizia.
Ma ora hanno osato infrangere il più terribile dei tabù: quello della pubblicità creata dai non addetti ai lavori.
Dilettanti allo sbaraglio
Siti come Zooppa mettono oggi a disposizione delle masse oppresse (dall’advertising top-down) concorsi per la produzione di video pubblicitari. I materiali realizzati sono votati dal pubblico, che elegge i vincitori che portano a casa un premio che può raggiungere i 3000 dollari. A questo punto il committente (come TomTom o Greenpeace) decide cosa farsene delle proposte ricevute.
Nella stessa direzione vanno XLNTads, ViTrue o Current.tv, la TV online per i giovani lanciata da qualche anno dall’ex vice-presidente Al Gore (con premi che arrivano teoricamente ai 50.000 dollari). Grandi marche come Doritos, McDonalds, Chevrolet, Sony o MasterCard hanno battuto questa strada con iniziative autonome, per non parlare della Fiat 500 o di Pepsi che al pubblico fa ridisegnare le proprie lattine.
Le Agenzie pronte a lottare casa per casa
La risposta non si è fatta attendere ed in tutto il mondo i professionisti della comunicazione hanno iniziato a prepararsi per vendere cara la pelle (spesso equivocando sul termine Guerilla Marketing – che non significa creative directors con la faccia dipinta in colori mimetici).
Visto l’impatto di Internet su comparti come quelli del turismo, della musica o del software, è normale salga la pressione a chi rappresenta la parte “tradizionale” del business. D’altra parte c’è da domandarsi quanto lo User Generated Advertising (UGA) sarà veramente in grado di togliere business alle agenzie.
Il dilemma è antico: sarà più creativo un professionista navigato o un inesperto ma motivato appassionato? Se mi permettete, forse lo è di più il secondo. Ma di una creatività spesso tale perchè non focalizzata: quando ero Account Director su Pepsi, ero quotidianamente perseguitato da amateurs decisi a vendermi bellissime idee per spot miliardari… senza avere idea delle necessità o dei budget della marca.
La povertà tragica/strategica degli user ( e la inquietante sinteticità dei brief loro passati online) pone dunque un serio limite al raggiungimento di risultati in termini di rafforzamento della marca o di generazione delle vendite. E a quella si deve aggiungere la povertà dei mezzi a disposizione del dilettante medio.
E’ tutta una questione di RP o c’è un’idea?
Insomma, il rischio è che dall’UGA nascano idee carine e postmoderne (o meglio ‘poststrane) ma slegate da strategie di comunicazione e con valori di produzione minimalisti.
Commercial insomma teoricamente poco efficaci, quasi impresentabili se non rappresentassero una buona opportunità di generare news value. Di costruirci un meccanismo di relazioni pubbliche che permetta di far parlare della marca ben più di quanto ci consentirebbe un normale spot. Di dare alla marca dei valori “moderni”, di condivisione del business con la propria utenza. Di far interagire con la nostra comunicazione.
Attenzione però, c’è anche il rischio di negare a priori un meccanismo interessante: quello di rompere certi schemi analisi-strategia-creatività che incanalano le aziende nel parlarsi addosso, sapendo già cosa attendersi dalle analisi di mercato e della clientela, adagiandosi nella comoda illusione di non aver bisogno di pensare troppo.
Il valore dell’UGA è forse proprio quello di scatenare la creatività del pubblico e, più che di fornirci materiali pubblicitari a bassissimo costo, di aprirci la visione a ciò che è la nostra marca, come viene vista, interpretata, proiettata. E come quindi ci viene restituita. In fondo questo è un processo strategico, più che creativo. Anche se può indubbiamente fornirci occasionalmente idee creativamente validissime… ma difficili poi da gestire nel delicato equilibrio diplomatico cliente – agenzia.
Per molti inserzionisti infine, l’UGA è quasi un disperato tentativo di rompere il muro dell’indifferenza verso la pubblicità patinata, troppo spesso invisibile per le giovani generazioni; proponendo inv
ece messaggi affini al target e appealing nella loro grezzità ( grezzezza? grezzeria?) perchè “fatti da noi” e non “fatti da loro”.
Non molto di nuovo sotto il sole
Pur con tutto i rispetto per l’evoluzione tecnologica, non dimentichiamoci che comunque da che mondo è mondo le aziende hanno sempre fatto ricorso al pubblico per la generazione di idee creative ( e di relative campagne di RP).
Indimenticabile per l’Italia il caso del logo dell’ENI – quello che generò 4.000 bozzetti inviati dal pubblico e sfociò nella scelta di quello che allora chiamarono il “cane a sei zampe” ma che oggi sarebbe indubbiamente conosciuto come Cane 2.0.
Ciao, sono il community manager di Zooppa. Complimenti per l'articolo pieno di spunti di riflessione e analisi interessanti. Mi piacerebbe dire molte cose per contribuire ad approfondire il tuo post. Ma mi limito a questo: Zooppa, come gli altri siti che citi, è un social medium tarato per essere uno strumento per il marketing on-line, non è una virtualizzazione dell'agenzia di comunicazione e del suo processo di lavoro. L'analogia con l'agenzia tradizionale è pratica da fare, quando si deve spiegare il meccanismo di funzionamento basico del sito, e per certi versi è naturale. Però è molto limitativa, sia per i siti di UGA, sia per le Agenzie. Tanto è vero ci sono stati casi agenzie importanti che hanno lavorato insieme ai social media di UGA. Sarebbe bello approfondire, ma lo spazio di un commento è giustamente poco :)
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