Marketing di negazione: portare all’estremo il marketing di negazione, rendere impossibile l’accesso a prodotti e negozi per poter vendere ai target più ricchi
(Articolo originariamente pubblicato su ADV, per gentile concessione dell'editore...dato che questo articolo non è mai stato reso disponibile online ma solo sull'edizione cartacea della rivista, abbiamo pensato fosse utile renderlo più ampiamente fruibile al popolo della rete...;-)
Vendere ai ricchi è un bel problema. Una opportunità, certo, per la disponibilità di reddito, per i margini, per l’effetto trascinamento… ma un bel problema.
In fondo non si sa bene su cosa lavorare: le classiche leve del marketing mix servono a poco.
Esaminiamo da vicino un vero ricco o una vera ricca (meglio se carina). Con una enorme disponibilità di reddito e parametri di scelta alieni da quelli dei comuni mortali, difficile capire come agire.
Ovvio, gli elementi di status (o meglio di adeguatezza del prodotto al proprio status autopercepito) sono fondamentali. La noia derivante dal potersi permettere qualsiasi capriccio è un fattore forte. In effetti, quando il denaro non conta, occorre trovare un altro gioco per divertirsi, altre regole per distinguersi.
Ecco il marketing di negazione
Per colpire duro questo target c’è chi ha scelto la strada del marketing di negazione. Portare fino al fondo la classica strategia della scarsità, rendere difficile avere il prodotto.
Ma attenzione: le “tirature limitate” oggi sono alla portata del popolino, il “negozio esclusivo” è nel linguaggio pubblicitario sinonimo di un vorrei ma non posso decisamente low class.
No, qui si tratta di rendere proprio impossibile avere i prodotti. Di dover chiedere favori per ottenere l’accesso. Di fare in modo che il povero ricco si riesca a gratificarsi in quanto ha ottenuto l’entrata ad un punto vendita proibito alla maggior parte della popolazione, compresi molti suoi colleghi di casta. Di ottenere quindi un badge che confermi la propria superiorità sociale e lo distingua anche nel proprio peer group.
Non m’importa chi sei – se non mi piaci non entri
Non esiste strategia migliore che dire di no ad una star: nei suoi anni ruggenti lo Studio 54, tempio della disco music, era famoso per la durezza della selezione all’entrata - al punto da rimbalzare una notte la rifattissima Cher (che, racconta la leggenda, tornò a casa in lacrime per la frustrazione).
Di qui la generazione di buzz verso il locale e di una fortissima motivazione verso l’acquisto del prodotto/servizio (dove più che ballare contava farsi vedere). E una clientela stellare per il locale.
Ecco allora che nascono oggi prodotti e negozi tenuti addirittura segreti, la cui esistenza è comunicata in modo carbonaro, sussurrata all’orecchio da una celebrità ad una star.
Occorre la sagacia di un James Bond o ottimi contatti per scoprire l’esistenza di certi negozi la cui esistenza è tenuta occulta come una centrale spionistica (corre voce ve ne sia uno in Avenue Montaigne a Parigi, dove invece di tramare per impadronirsi del mondo - se li trovate e riuscite ad entrare - vi vendono jeans da 10.000 dollari).
E sempre in tema di jeans, non pensiate di potervi facilmente impadronire di un paio di quegli elitari jeans giapponesi color Okayama Indigo venduti nel singolare negozio Garage di Tokio.
Nel negozio lavorano e vivono marito e moglie designer. E aprono al pubblico solo qualche giorno al mese.
Se la porta si apre, non bastano i soldi: essi vi devono approvare, vi scruteranno a lungo per decidere se il capo vi va davvero a pennello.
Se a loro non piace la figura che fate, scordatevi i jeans… e dovrete convivere con il rimpianto di essere stati scartati alla prova.
Solo se siete davvero qualcuno potrete poi accedere al passaggio segreto all’interno del negozio L’Eclaireur di Parigi. Per prima cosa dovete sapere che esiste e poi ottenere l’autorizzazione da pare dei dipendenti per entrare in uno spazio dedicato ad oggetti in tiratura limitatissima se non pezzi unici. Dove può entrare un solo cliente alla volta.
Una volta la reputazione si costruiva scoprendo le sorgenti del Nilo o esplorando jungle inospitali, oggi ci si fa un nome sopravvivendo a commessi ostili e scoprendo un negozio segreto. Dura la vita dei troppo abbienti…
Passando dagli happy few ai mass affluent, la strategia resta valida – come dimostrato dal negozio One of a Kind, punto vendita vintage di Portobello Road. I criteri d’accesso sono meno stretti ma resta imprescindibile prendere un appuntamento – dato che (raccontano i fortunati) il negozio è grande quanto un ascensore… o come nel caso del sito di ecommerce 20ltd che vende non più di 20 articoli alla volta, disponibili in quantità ridottissime e dai prezzi astronomici (che ne dite di un’amaca di cachemire e pellicce di volpe a 9000 sterline?) o nel notissimo caso della borsa Birkin di Hermes – un oggettino che può arrivare agli 80.000 dollari con una lista d’attesa di nove mesi…
Tutto sommato, beati loro (i venditori), riusciti a ribaltare le regole del capitalismo e far tornare Re il venditore, non il cliente. Per tutti noialtri non resta che rassegnarci a comprare a rate - ma con la soddisfazione che dal negozio non ci buttano fuori, anzi fanno tutto il possibile per trascinarci dentro…
Io ho sempre avuto l'impressione che un po' la Apple, almeno dal suo rilancio col ritorno di Jobs, avesse cercato un po' di guadagnarsi questa fama, con i prezzi più alti della media. Ovviamente puntava sulla qualità e non sul prezzo basso, ma ho come l'impressione che pian piano le cose stiano cambiando: sempre più gente ha l'iPhone, il Mac... L'iPod ha avuto un boom tale che quasi non è neanche uno status symbol mi pare. Prima tiravi fuori il Mac e gli altri guardavano e ooooohavano: "c'hai un Maaaac?". Più il tempo passa e più la cosa diminuirà. E se il trend continuasse, non mi stupirei fra due/tre anni di vedere un'altra marca (la Motorola, tipo) che inizia a produrre portatili di lusso, in controtendenza a quelli a sempre più larga diffusione. Altrimenti la Apple sarà così furba da segmentare bene la sua produzione da mantenere prodotti "elitari" e altri per il grande pubblico.
RispondiEliminaLa butto lì. Tu cosa ne pensi?