lunedì, aprile 24, 2006

Chissà che ci combinerà la Generation C (...MTV e iFilm)
Ovvero quella che é stata definita la "Generation Content" - un gruppo numeroso di persone che fanno (spesso) ciò che fino a 10 anni fa sarebbe stato impensabile: produrre contenuto, pubblicarlo gratuitamente e farlo consumare dal pubblico - a volte da un pubblico molto vasto. E a volte ricavandone dei benefici economici.

Secondo una ricerca del Pew Internet & American Life Project, circa un 44% degli adulti americani utenti di Internet hanno creato una qualche forma di contenuto e lo hanno messo in rete. E questo è probabilmente niente se pensiamo a quello che ci aspetta con il progressivo entrare sul mercato di generazioni nate con una tastiera in mano e che hanno iniziato a vedere Internet (usato dai genitori, ovviamente) sin dal primo giorno di vita o giù di lì.

Una generazione che avrà a disposizione strumenti tecnologici per la creazione del contenuto che facciamo fatica a immaginarci.. specialmente tenendo conto che già oggi con un migliaio di euro o poco più di attrezzatura si possono autoprodurre corti o anche lungometraggi che riescono ad arrivare a prestigiose rassegne come il Sundance Festival.

L’interesse del mondo dei media “istituzionali” verso l’autoproduzione è inoltre espresso dal recente acquisto di iFilm da parte di MTV.

iFilm è il sito leader nella messa in rete e diffusione di filmati, siano essi trailer o altri contenuti di Hollywood, pubblicità virali (storiche le campagne di Axe) ma anche contenuto (spesso di qualità) prodotto dagli utenti. E’ un sito che ha il più grande archivio di “corti” on line ed ha oltre 10 milioni di visite al mese.
La catena televisiva MTV ha dunque considerato un buon affare sborsare 49 milioni di dollari per allargare ed integrare la propria offerta di contenuto al pubblico giovanile; un pubblico che ha dimostrato di gradire e fruire dei contenuti autoprodotti… e di produrne in abbondanza.

mercoledì, aprile 19, 2006

Altre puntate del corso on line

Prosegue, sul sito EuroPMI.it la pubblicazione del mio micro corso di Internet marketing per le PMI.

Sono già disponibili le prime 4 puntate:

1) Per il successo di Internet, tutto parte dagli obiettivi - come pianificare il processo strategico

2) Per fare un sito, ci vuole...
Un'analisi dei principali blocchi del processo e una lista delle principali decisioni da prendere ed attivita' da intraprendere

3) Per fare un sito, serve anche...
continuiamo e completiamo la presentazione e analisi di massima della lista di cose da fare per la realizzazione di un sito

4) Il briefing per internet - I passi da seguire

Buona lettura

giovedì, aprile 06, 2006

Corsetto di Internet Marketing...on line

Per chi fosse interessato, segnalo che è iniziata la pubblicazione a puntate di un piccolo, semplice corso di Internet Marketing (di cui sono l'autore) sul sito EuroPMI

Il corso è specificamente tarato sulle PMI ed è liberamente accessibile.

mercoledì, aprile 05, 2006

Il diabolico marketing politico del premier...

La ben nota "uscita" del Presidente del Consiglio offrirebbe un ottimo spunto per dibattere sul tema "che se ne parli bene o che se parli male..."

In realta' si tratta di un'operazione di marketing molto, molto più sofisticata di quanto appaia a prima vista e la sua dinamica non appare essere stata colta.

Usando l'antico strumento del silogismo, proviamo a decodificare il messaggio...

1) chi vota a sinistra è... (vabbe', lo sappiamo);

2) Il Cavaliere di certo non vota a sinistra;

Conclusione...

3) Berlusconi avrà tanti difetti, ma di certo non e' un coglione.

In questa diabolica operazione, il premier porta obbligatoriamente, in modo quasi subliminale, la totalita' del pubblico ad esprimere un giudizio di merito positivo sulle sue qualita'.

Tanto di cappello...

( o no???)

sabato, aprile 01, 2006

Internet passa dall’acqua ed è la fine del VoIP

Lunedì alle 1330 la ITU ( International Telecommunication Union) darà il grande annuncio (di cui i rumors giravano da tempo).
A partire dall’anno 2015 scomparirà Internet dai cavi telefonici transoceanici (e dal 2030 –circa - da tutti gli altri cavi telefonici).

La trasmissione dei dati da un continente all’altro avverrà, da quella data, attraverso una nuova tecnologia – classico esempio di trasferimento di know-how dal mondo militare a quello civile.

Il progetto Sea Transfer Internet
Tutti sanno che le onde acustiche si trasmettono sott’acqua per migliaia di km: lo sanno le balene, che si parlano da distanze incredibili, lo sanno i sonaristi dei sommergibili US che sono in grado di riconoscere una nave a 5000 km analizzando la sua traccia sonora.

Grazie ad anni di ricerche condotte principalmente dal MIT e dal CERN (il centro inventore del web), si è arrivati a sviluppare una tecnologia di trasmissione subacquea che combina la capacità di propagazione a lunga distanza delle onde acustiche a bassa frequenza con la capacità di portare banda propria delle onde elettromagnetiche di corta lunghezza d’onda. Il risultato è capacità di banda stimata attorno ai 7 – 8 Tbs, almeno nella prima versione del sistema.

La rete di trasmissione sarà disponibile in tempi cosi brevi (e a costi relativamente contenuti) in quanto saranno almeno parzialmente convertite a questo progetto le vaste reti di ascolto subacqueo (come ad esempio l’americana SOSUS) sviluppate dalle grandi potenze negli anni della guerra fredda, che coprono quasi tutti i mari del mondo e che oggi hanno perso gran parte della loro utilità strategica

A partire dal 2020 si estenderà il protocollo ST-Internet anche (ove possibile) alle acque interne, utlizzando quindi grandi laghi e grandi fiumi come backbone di una Internet sempre più capillare e probabilmente senza costi di connessione, data l’economicità delle tecnologie e la quasi totale assenza di infrastrutture dedicate.

Nel 2025, secondo il protocollo d’intesa che si firmerà lunedi', si inzieranno poi a cablare anche gli acquedotti locali, di modo che entro 5 anni, si possa disaccoppiare Internet dalla rete telefonica e convogliare la rete attraverso le tubature dell’acqua.

Senza arrivare alle ipotesi da fantascienza di certi scienziati dell’ITU che prevedono (in modo un po’ ironico) l’assegnazione di un numero IP ad ogni rubinetto, un domani sarà proprio a questo accessorio che ci potremmo collegare, in caso di nomadismo digitale, per connetterci in rete.
Al CEBIT sono già stati annunciati, oltre ai primi router in grado di collegarsi all’iimpianto idraulico, prototipi di adattatori da rubinetto a porta Ethernet (ovviamente con dell’elettronica di mezzo e non dell’idraulica…) e il prototipo di una fontanella urbana che potrà convertire questo utile pezzo di arredo urbano in centralina Wi-Fi.

Grandi vantaggi dunque – ma anche grandi problemi.

Il primo problema è legato al fatto che, come detto, le reti intercontinentali di comunicazione non trasporteranno più Internet, e saranno destinate ad altro uso.

La condizione che hanno posto le major delle telecomunicazioni mondali per accettare questo progetto, è stato di rendere il ST-Internet incompatibile con il VoiP, assicurandosi che il protocollo Atlantic Protocol Release Internet Long distance (che sostituirà nella trasmissione sottomarina il TCP/IP) non possa reggere i pacchetti voce “gratuiti” ne’ essere hackerato in tal senso.

Le telefonate gratuite in rete sono dunque destinate a scomparire entro pochi anni, permettendo alle Telco di recuperare sul traffico voce i fatturati che perderanno sul traffico dati (si presume infatti che il collegamento alla Rete diventerà sostanzialmente universale e gratuito).

Il secondo problema è di stampo ecologico.
L’uso di onde acustiche subacquee è probabilmente destinato a creare problemi ai cetacei. Anche se la banda usata da ST-Internet sarà molto stretta e e le onde acustiche polarizzate in senso ortogonale ai fondali marini, non si può escludere che le armoniche causate dall’interferenza del segnale sonoro con i fondali possano disorientare i cetacei.

Conditio sine qua non dell’accordo dell’ITU, dunque, è stato il nulla osta della Preservation Entity for Safeguard of Cetacean on planet Earth, l’organismo transnazionale che, come è noto si occupa dei temi legati alla protezione (e sfruttamento commerciale…) dei cetacei.

Questo ente ha infatti allestito un ambizioso piano che prevede di catturare temporaneamente (con l’aiuto delle principali fondazioni oceanografiche e delle flotte baleniere giapponesi e norvegesi) almeno il 56% dei cetacei adulti presenti nei mari, entro la messa in opera di ST-Internet; per dotarli di appositi filtri acustici in grado di discriminare il segnale artificiale umano (filtri immediatamente battezzati, in modo dispregiativo “paraorecchi” o “cuffiette” da parte dei detrattori). Con l’occasione si collocherà a bordo dei cetacei di maggiore dimensione anche un apparato di localizzazione GPS, che permetterà agli studiosi di comprendere molto di più sulla vita ancora misteriosa di questi colossi marini.

Non c’è bisogno di sottolineare come questa decisione abbia già causato vigorose proteste di gran parte delle organizzazioni ecologiste, che non sembrano però destinate a spuntarla dati gli enormi interessi in gioco. Anche perché il ruolo dei cetacei non dovrebbe solo di essere vittime ma anche di “collaboratori” della rete: dopo il 2030 si ipotizza infatti, all’atto della sostituzione dei filtri sui cetacei, la installazione sopra questi animali di “hotspot” o ripetitori di segnale che permettano una maggiore ridiffusione, granularità e potenza del segnale sottomarino.

In maniera correlata, sempre da quella data (ma questa non è una ipotesi bensì una decisione già presa) ogni imbarcazione sopra i 5 metri di lunghezza e che navighi ad oltre 300 metri dalla costa dovrà avere installato un proprio piccolo ripetitore ST-Internet con antenna sommersa per costruire una rete a maglie sempre più fini ( è già infuriano nel mondo del diporto le polemiche su chi dovrà pagare per l’acquisto e la manutenzione dell’apparato).

Anche se la decisione finale è già stata presa ai più alti livelli internazionali e le macchine sono già in marcia è opportuno riflettere.
Il compromesso che ci viene proposto è complesso, è pesante: la perdità della libertà di telefonia over IP e potenziali danni ai cetacei marini, in cambio di un Internet gratis per tutti ed ubiquo.

Per i privati è una decisione difficile, piena di pro e di contro. E forse possiamo anche fare poco, contro gli enormi interessi e gli straordinari benefici che particolari categorie potranno trarre da ST-Internet, prime fra tutti l’industria ittica (qualsiasi nave sarà sempre e ovunque connessa in rete senza costosi apparati satellitari), le aziende della trasformazione agroalimentare ( si veda il video ) o gli esperti di content providing.

sabato, marzo 25, 2006

Brand debole, sito che non va lontano...

Per il consumatore, il brand rappresenta l’essenza stessa dell’azienda: i suoi valori, il suo mondo di riferimento. E’ il brand che, spesso, più dei prodotti definisce un’azienda. E, infatti, viene spesso affermato che il brand è la risorsa più importante.

E online ? L’essere umano è tendenzialmente abitudinario. Tende a trovarsi dei punti di riferimento, da usare come guida per la sua vita e le sue attività, e a tenerseli stretti.

La fase di esplorazione, di scoperta, di ricerca nel grande mare di Internet è tendenzialmente una fase iniziale. Si usa il web alla ricerca dell’inaspettato, si esplorano molte differenti possibilità. Poi si costruiscono i propri punti di riferimento, si identificano i siti che hanno dimostrato di poter rispondere in modo abbastanza efficace alle proprie necessità. E si tende a diventare progressivamente sempre più fedeli a quei punti di riferimento.
E non citare qui Google è impossibile…

Tutto ciò contribuisce al costituirsi di un ristretto numero di Killer Sites, siti che sono il punto di riferimento per una larga parte di utenti – tipicamente non più di un paio per categoria. Questi siti possono facilmente diventare i dominatori del loro settore e rendono la vita molto difficile ai loro competitors.

Del resto, si sa, lo dicono tutti… questi sono i siti “buoni” … il che equivale a dire che queste aziende sono state capaci di creare un fortissimo brand per i loro prodotti. E questo brand funziona da potente calamita per attrarre sempre più utenti, che a loro volta spargono la voce, innescando un circolo virtuoso (vedi alla voce “Viral Marketing”).

E’ evidente quanto un brand forte sia particolarmente importante per i siti che operano nel settore del commercio elettronico. Una cattiva esperienza su un sito che promette un servizio gratuito non lascia grandi danni. Se però si tratta di soldi, si diventa subito più cauti e si preferisce comprare (specialmente se si usa la carta di credito) da retailer affidabili; la notorietà (e quindi la forza del brand) è un elemento fondamentale per costruire una percezione di serietà e sicurezza.

Come visto, il navigatore poco smaliziato preferirebbe avere degli indirizzi certi cui rivolgersi per avere informazioni / servizio / prodotti di buona qualità a ‘colpo sicuro’. Del resto, ognuno di noi ha la propria lista di negozi ‘reali’ dove sa che il rapporto prezzo/prodotto/servizio è soddisfacente – e quasi tutti tendiamo ad avere quel certo numero di punti vendita che frequentiamo regolarmente. E se vogliamo leggere notizie di carattere finanziario, conosciamo bene quali testate possono darcele ed andiamo in edicola con le idee piuttosto chiare. Tutto grazie (anche) alla forza del brand.

Supponiamo che il nostro sito e la nostra offerta siano “a prova di bomba”. Resta il problema di generare accessi al sito. Siamo messi nelle condizioni standard della maggior parte dei proprietari di siti del mondo. Siamo qualcuno? La gente sa che esistiamo? Speriamo solo nei motori di ricerca?

Possiamo (anzi dobbiamo) costruire la consapevolezza che ci siamo e che dobbiamo essere visitati. La forza del nostro brand aiuta a far scattare l’associazione, nella mente del nostro target, tra una esigenza da soddisfare in rete e… il nostro URL. E se siamo ben presenti nella testa, la gente verrà da sola, senza dover aspettare di vedere il nostro banner per sapere che ci siamo anche noi.

Ma… senza una chiara impostazione strategica non si va da nessuna parte. Senza avere a disposizione le necessarie professionalità nell’ambito del (web) marketing e della strategia sarà molto difficile riuscire ad impostare una operazione di successo. Pensare prima di agire. Possibilmente trovarsi dei partner di alto livello nello sviluppo delle proprie operazioni di web marketing in grado di dare un servizio che non si limiti a grafica e tecnologia.

Insomma, il nostro brand è come la nostra reputazione personale. La faccia ce la mettiamo noi. Se il mercato ci conosce e ci stima verrà a servirsi da noi.

giovedì, marzo 23, 2006

Product Integration: sparisce la differenza tra pubblicità e trama

La storia del product placement (l'inserimento di prodotti, a fini pubblicitari, all'interno di uno spettacolo) è antica almeno quanto il cinema stesso - iniziando con il piazzamento di un detersivo all'interno di uno dei primi film dei fratelli Lumiere nel 1896.

E' però con la TV che la disciplina si sviluppa appieno.
Dopo decenni in cui questa pratica ha vissuto nella sua nicchia, ci troviamo di fronte oggi ad un rinnovato interesse e ad una radicale innovazione.

Non si parla più infatti di Placement ma di " Product Integration".
Il prodotto non si limita più a comparire ma diventa protagonista della trama, del copione, spesso per più puntate dello stesso show.

La compagnia telefonica mobile Verizon ha ad esempio reso il suo servizio di SMS coprotagonista della storia in un popolare telefilm statunitense (integrando il placement con un concorso e altre forme di promozione).
In serial quali 24, Desperate Housewives, Arrested Development o The Office, prodotti e marche si sono intrecciati con le storie dei protagonisti. Nel serial Monk un investigatore privato con tendenze paranoiche pulisce qualsiasi oggetto debba toccare con il disinfettante Lysol di Reckitt Benckiser.

In particolare i reality show appaiono prestarsi bene a questi interventi sulla struttura del programma: in "Survivor" i partecipanti esausti ed affamati venivano rifocillati a base di Doritos, Mountain Dew e birra Bud Light. Nel reality americano "The Apprentice" i partecipanti si sono dovuti misurare nella creazione di una campagna pubblicitaria per il dentifricio Crest (a un costo riportato di 2 milioni di dollari per Procter & Gamble, produttrice del prodotto) o per Mattel e Burger King.

Secondo alcune ricerche, Placement e Integration sono cresciuti del 46 per cento nell’ultimo anno, per un billing di oltre 1.9 miliardi di dollari.
Quasi l’11 per cento del tempo dei programmi US contiene oggi un qualche tipo di riferimento esplicito ad una marca ed alcuni programmi hanno più minuti di placement/Integration di quanti ne abbiano di break pubblicitari.

Il Chairman della catena televisiva CBS è addirittura arrivato a prevedere che il 75% di tutti gli show di prime time arriveranno presto a integrare nella trama prodotti e marchi, dietro pagamento di fee pubblicitari. E’ già non mancano i casi in cui sono le aziende a finanziare nuovi show delle catene televisive, per costruirsi uno spazio di comunicazione da poter controllare più fermamente.

Questo tipo di attività di comunicazione richiede un approccio (e professionalità) abbastanza diverse da quelle della pubblicità classica.

Perché funzioni richiede un processo lungo di interazione tra azienda, emittente e autori, possibilmente da iniziare con molto anticipo, in modo da poter studiare bene come rendere protagonista il prodotto senza trasformare un buon programma in una lunghissima e noiosa televendita e permettere alla marca lo sviluppo di un buon progetto di integrazione con tutti gli altri strumenti della comunicazione.

Il rischio, come ben sanno i comunicatori, è che il committente non sappia fermarsi nel propri desideri e stravolga la trama con inserimenti tanto pesanti e didascalici da azzoppare lo show e causare addirittura un rigetto nel pubblico (basti pensare a molte televendite “classiche”…).
La Product Integration può funzionare solo quando il prodotto riesce ad integrarsi naturalmente e senza forzature nella storia, quando è normale che i protagonisti lo usino e a condizione che ne parlino (bene) come farebbe una persona qualunque, in modo naturale e non evidentemente sponsor-oriented.

Questo nuovo tipo di pubblicità non ha mancato di generare critiche, da parte di gruppi di utenti e di sindacati americani, come quello degli autori.

I primi considerano la pratica come una forma di pubblicità occulta e fanno pressioneperchè la FCC, l'ente che regola l'emittenza televisiva americana, adotti regole più stringenti in materia.

Gli autori sostengono che queste forme di comunicazione ingannano i telespettatori e costringono sceneggiatori e attori a snaturare il proprio lavoro (senza, tra l'altro, avere diritto ad una fetta interessante di questa nuova torta pubblicitaria).

mercoledì, marzo 15, 2006

Se i bimbi sono obesi...si ferma la pubblicità dei Soft Drinks

Il problema dell'obesità nei bambini inizia ad essere una faccenda seria anche in Europa (qui in Spagna siamo al 25% dei bambini che soffrono di questo problema).
Onde evitare che le autorità intervengano con regolamentazioni "pericolose" (l'Unione Europea ha emesso un avvertimento molto preciso e minaccioso) ed evitare anche di avere un problema di immagine, le aziende produttrici di soft drinks appartenenti alla Union of European Beverages Associations (Unesda) hanno deciso di autoregolamentarsi.
Queste aziende (come Schweppes, Coca-Cola, Pepsi...) hanno deciso di bloccare qualsiasi forma di advertising avente come target bambini sotto i 12 anni e attività commerciali dirette nelle scuole elementari.
Una riflessione: mentre è relativamente fattibile discriminare in pianificazione media tra un giovane di 25 anni e uno di 11, vedo molto più complesso evitare le "dispersioni" di una pianificazione mirata sui 13enni o sui 14 enni che sfori sui minori di 12 anni.
Senza contare che i bambini guardano spesso la TV degli adulti e assorbono spot e messaggi "teoricamente" non destinati a loro.
Insomma, l'autoregolamentazione mi sembra pquasi solo una mossa di relazioni pubbliche e di appeasement della EU.

Il problema dell'obesità dei bambini credo si risolva invece solo con un programma di educazione alimentare... dei genitori (ne conosco molti che danno Coca-cola e patatine a bambini di 2 anni... anche prima di andare a letto... e considerando che una coca equivale a piu' di 2 o 3 caffè - vado a memoria - direi che c'è un bel po' di cose da spiegare a questi genitori...)

martedì, marzo 14, 2006

Internet Mobile in tasca...
Per una volta ho deciso di essere tra gli early adopter delle tecnologie (in genere lascio che sia qualcun altro ad essere sulla bleeding edge).

Ho comprato il Nokia 770 - una roba che non e' un telefono, non e' un PDA... ma è quello che da anni desideravo.

Un browser internet tascabile, con uno schermo dignitoso, email, Internet Radio, Video streaming. 
Niente rubrica, calendario, niente programmi (almeno per ora) al di là di quelli focalizzati sul mondo della rete (a parte un paio di giochi).

Si collega a Internet via wi-fi (quindi se si trova un hotspot aperto - e di cui si ha il permesso - ci si collega a gratise) oppure via blutooth collegandosi ad un telefonino.

A questo punto si puo' bloggare (lo sto facendo seduto al bar, senza spendere una lira, mentre ascolto una radio di blues in cuffia e ogni tanto do' un occhio ai flussi RSS che mi interessano di piu')... gestire la mail da remoto... e nella prossima release del sistema operativo arriveranno pare anche la telefonia VoIP e l'Instant Messenger.

E magari, quando sara' riaperto al pubblico Writely (il text editor o line appena comprato da Google) si potranno scrivere documenti... (scherzo, il device non ha una tastiera, ne ha una sullo schermo - lenta da usare - e pare che il riconoscimento della scrittura faccia abbastanza pena... pare pero' sia possibile hackerare il 770 per collegare una tastiera blutooth... io nel frattempo mi tengio stretto il mio Treo600 e la mia tastiera IR, con cui scrivo quasi tutti i miei articoli).

by the way, il Nokia 770 non e' privo di difetti e non e' di certo un device che avra' un larghissimo successo di pubblico a breve. Ma...A questo punto, avere internet sempre in tasca... e magari gratis... cosa potrà comportare?

mercoledì, marzo 08, 2006

Pubblicità TV personalizzata: qualche altra riflessione


La pubblicità televisiva personalizzata, interattiva o meno che sia, è stata per lungo tempo una delle Arabe Fenici del mondo dell’advertising.

Il fascino di questa soluzione è la possibilità di trasformare uno dei Media più mass che esistono in uno strumento di Marketing Diretto, di poter affiancare ad una diffusione a tappeto dello spot uguale per tutti una diffusione più ad hoc di messaggi pubblicitari, segmentando il target in modo mirato. Rendere lo spot un elemento che non sia più percepito come fastidioso o irrilevante – in quanto lontano dai propri interessi – e trasformarlo in un contenuto in grado di interessare (se non proprio di attirare) l’audience.

L’appeal della soluzione è evidente: da una lato permettere agli inserzionisti di raggiungere in modo più mirato e efficiente i propri target, pur sfruttando un media ad alto impatto emotivo. Dall’altro, per i mezzi, permettere di aggiungere valore ai propri spazi e, facendo leva sulle possibilità di personalizzazione cercare di vendere dei contatti a prezzi più vicini ai listini del Direct Marketing che a quelli dell’advertising.

La TV via IP, come accennato nel post precedente, potrebbe essere lo strumento che renderà possibile una maggiore personalizzazione dell’advertising – sia perché consegna “one to one” il messagio, sia perché, specialmente in modelli a pagamento, permette di identificare l’utente abbonato e di raccogliere informazioni su di lui.

Il problema della profilazione
Il primo passo della trasformazione in realtà del grande sogno della pubblicità personalizzata sta nella profilazione dell’utente, raccogliere informazioni sulla singola persona (o nucleo familiare) che guarda la TV, in modo da poterne tracciare un profilo, identificare gusti ed interessi e così via.

Di seguito, definire quali siano i prodotti / servizi che questo singolo “utente” può essere altamente interessato ad acquisire – ovvero quali siano gli inserzionisti per cui questo utente sia LA preda appetibile.

E però evidente quanto il limite del mancato riconoscimento della specifica persona che ha in mano il telecomando (il padre, la madre o il figlio tredicenne) limiti la capacità di costruire profili accurati e di erogare commercial su misura.

Le prime sperimentazioni
Anche se siamo ancora lontani dal modello della comunicazione one to one sulla televisione, sono già partire le prime sperimentazioni – ad esempio a supporto del lancio della linea aerea low cost TED (di United Airlines). In questo caso, sfruttando le possibilità della televisione via cavo, gli annunci comparsi erano personalizzati in base alla città in cui venivano ricevuti. In una fase iniziale da un punto di vista puramente di creatività – ma con una ovvia e facile estensione alla veicolazione di tariffe e promozioni specifiche per ogni singolo centro citttadino servito dalla linea aerea. Oppure per promuovere in tempo reale voli con scarso afflusso o sospendere immediatamente offerte promozionali in corso nel caso di esaurimento dei posti disponibili.

Sempre nel mondo del turismo, un certo numero di inserzionisti sta valutando la possibilità di realizzare molteplici versioni dei propri filmati pubblicitari, ad esempio enfatizzando, in uno spot per un resort turistico, in una versione la dinamicità e l’energia degli sport acquatici, in un'altra versione le attività come il golf o i casinò, in un altra ancora la cucina e il relax – veicolando poi questi commercial in modo mirato alle audience più adeguate.

La necessità di evolversi
E’ presto per dire se la fiammata di entusiasmo sia destinata, come sempre in passato, ad esaurirsi in un nulla di fatto.
E d’altra parte il mondo della pubblicità TV ha conosciuto poche vere evoluzioni nel corso dei decenni.
Se da un lato le emittenti non si può dire che siano state pervase da un senso di urgenza rispetto all’innovazione, dall’altro l’utenza televisiva sembra rappresentare il simbolo stesso della passività, ponendo in dubbio la sostenibilità di modelli interattivi.

Non si possono però ignorare i segnali d’allarme che giungono da oltre oceano, rispetto alla percezione degli investitori pubblicitari sulla capacità di comunicare con efficienze economicamente interessanti da parte della pubblicità televisiva “classica”. Con conseguenti riduzioni (in percentuale) dello share di investimenti pubblicitari allocati alla televisione.

Fenomeni quali l’uso dei videoregistratori, dei registratori digitali o dei servizi di “video on demand” (o quasi) offerti dagli operatori via cavo hanno portato milioni di telespettatori americani a guardare gli show “in differita” – e nel 90 per cento dei casi saltando gli spot.

Uno stimolo economicamente forte
Quello che è chiaro è che la TV, almeno nei prossimi anni, non potrà di certo venire sostituita come media chiave per le pianificazioni pubblicitarie; ma che il suo peso (e i suoi listini) rischiano di modificarsi e quindi di portare conseguentemente riduzioni nei fatturati generati dalle emittenti in termini di raccolta pubblicitaria.
Un pericolo che sta quindi stimolando molti operatori a investigare su modi nuovi di fare comunicazione in TV…

mercoledì, febbraio 15, 2006

lo spot sulla TV via IP sarà su misura?
La pubblicità in TV verrà forse un domani pagata dalle aziende "a consuntivo", un tanto per ogni persona che, nel momento del passaggio pubblicitario, avrà effettivamente la TV accesa e sintonizzata sul canale.

C'e' di piu': un domani non lontano, nello stesso istante e sullo stesso canale potremo mettere in onda migliaia di spot diversi, su misura per il singolo utente che sta guardando il programma

La cosidetta convergenza sta lentamente iniziando ad arrivare nelle nostre case, in particolare con l'arrivo della TV via ADSL, con prodotti tipo Alice Home TV.

La TV via IP significa che la trasmissione può essere teoricamente controllata casa per casa dall'emittente

E in breve che un domani non troppo lontano si potrà pianificare non per fascia oraria o per programma ma per tipologia di nucleo familiare, inserendo nei break quegli spot che più sono adatti alle caratteristiche della specifica household cui va il programma, sapendo se è connessa o no (e quindi magari pagando un tanto a esposizione dello spot, con modelli analoghi ad internet).

Intanto telecom spinge forte sulla TV via IP...

lunedì, febbraio 06, 2006

Ma che profumo di Marketing...

Il profumo delle maidelenettes che ci rimanda all'infanzia.
Quello dell'eau de toilette dopobarba che ci ricorda la fidanzata del liceo...non c'è dubbio che l'olfatto sia un potente accesso alle emozioni.

Questo senso, a lungo trascurato dagli uomini di marketing ( a parte l'uso di dopobarba di dubbio gusto), si sta oggi trasformando un un nuovo strumento per farci comprare, per fidelizzarci a una marca.

Molte aziende stanno sviluppando un profumo istituzionale, con cui contraddistinguere le proprie attivita, firmare una esperienza, arrivare dritto alle nostre emozioni.

Ogni Cadillac esce dalla linea di montaggio non puzzando di plastica ma profumata di Nuance, il profumo corporate dell'azienda.

Singapore Airlines impregna del proprio profumo (Floridian Waters) le salviette calde e le stesse hostess. E forse è anche per questo che i clienti, immersi per ore in questa caratteristica fragranza, la considerano la migliore linea aerea del mondo?

Curioso che il mondo imprenditoriale non ci abbia pensato prima: in fondo le donne usano questa strategia da migliaia di anni...

mercoledì, febbraio 01, 2006

Il Word of Mouth diventa adulto
Sintesi / anticipazione del mio prossimo articolo...

Sono passati i tempi in cui il passaparola era un fenomeno auspicabile ma poco controllabile: il passaparola si è fatto adulto, trasformandosi in una nuova area del marketing; con la sua disciplina, la sua scienza, la sua associazione. Un nuovo nome: Word of Mouth. E nuove polemiche.

L'idea di fondo del Word of Mouth è quella di influenzare positivamente il target sino al punto in cui il consumatore si trasformi egli stesso in strumento di comunicazione verso gli altri consumatori e prospect.

Uno strumento di comunicazione molto più credibile della pubblicità, in quanto "indipendente" e proveniente da una fonte cui generalmente diamo più attenzione che alle comunicazioni commerciali sui mass media – anche perchè di messaggi pubblicitari ne riceviamo molti e di messaggi interpersonali, molti meno.

Il Word of Mouth può quindi positivamente influenzare fattori come la brand awareness e la brand equity, l'interesse per un prodotto e la propensione all'acquisto: dare maggiore credibilità a quanto comunica "tradizionalmente" una azienda e essere determinante nel buy cycle dei consumatori.

Il problema è che a volte il "consumatore soddisfatto" con cui crediamo di parlare non è che un personaggio al soldo dell’azienda, che cerca di manipolare le nostre opinioni e le nostre decisioni d'acquisto...

Il Word of Mouth è efficace perchè va a toccare un tasto sensibile dell'umanità, ovvero la passione per consigliare il prossimo, per mostrare la propria validità additando agli altri prodotti che testimonino della nostra capacità di discernere.
Alcuni studi avrebbero mostrato come quasi un quarto delle conversazioni che conduciamo abitualmente finisca per contenere una qualche forma di consiglio, raccomandazione o di condivisione della scoperta di un prodotto.

Nel Word of Mouth si passa da operazioni di product placement al sampling su opinion leader; dall'uso di consumatori che fungano da propagandisti apparentemente spontanei (ma segretamente pagati per questo) ad operazioni di stealth marketing (in cui si mantiene segreta la partecipazione dell'azienda in eventi, happening o simili) oppure l'infiltrazione (ad esempio in forum di discussione online) di personale al servizio dell'azienda, che usa identità fittizie per manipolare l'informazione e la discussione, pubblicando ad esempio entusiastiche recensioni sui prodotti fingendo di essere un consumer qualunque.
Il tutto con una forte convergenza (o sovrapposizione) verso forme di Marketing Virale o di Guerrilla Marketing.


Uno dei fattori che sta contribuendo all'interesse mostrato da molti investitori verso questo strumento è il quello della misurabilità: si tratta ad esempio di monitorare quanto si parla di una marca – ad esempio in una serie di blog che "fanno opinione", di verificare variazioni nella brand awareness.
Ma si tratta anche di ascoltare come i consumatori parlano in rete dei nostri prodotti, per identificare le parole chiave, le motivazioni più forti all'acquisto, gli aspetti più importanti per il consumatore della nostra offerta, dalla sua propria voce. E impiegare questa conoscenza per mettere a punto azioni di comunicazione (Word of Mouth o tradizionali) più efficaci, perchè basati su quello che viene pensato e detto di noi.

Questo tipo di attività manipolatorie ha generato polemiche che sono giunte anche alle orecchie dei legislatori americani e che rischiano di uccidere sul nascere questa industry - anche se non mancano gli operatori seri e scrupolosi. Il problema è che spesso si lavora ai limiti (o oltre) dell’etica – e non sono mancati gli eccessi, come l'impiego di migliaia di teenagers che segretamente pagati promuovevano marchi e prodotti nel circolo dei loro amici - o arrivando (pare) ad usare bambini perchè influenzassero i loro compagni di scuola.

D'altro canto la trasparenza che è vista male da certi operatori e clienti. E' evidente che una persona che ci parla entusiasticamente di un prodotto avrà su di noi un effetto positivo se riteniamo sia indipendente e realmente convinta di un prodotto che ha provato. Diversa, probabilmente, la reazione se questa persona ci rivela di essere pagata per farlo.

Il rischio, al di là di un interventi ufficiali di regolamentazione che traccino un limite ad attività che potrebbero ingannare il consumatore, è quello di essere beccati.
Cosa che capita, specialmente in rete, dove il target è spesso più sgamato del comunicatore.

In più occasioni sono stati individuati marketer che si sono infiltrati in liste e gruppi di discussione con messaggi di grande approvazione e consiglio verso certi prodotti ed aziende, apparentemente provenienti da consumatori soddisfatti... individuati poi essere sempre la stessa persona o la stessa agenzia. Con la conseguente generazione di un movimento di ripulsa che ha avvelenato a lungo la percezione dell'azienda in questione.

Anche gli stessi operatori US (almeno quelli seri e professionali) sembrano essersi rassegnati all’inevitabilità di una maggior etica e trasparenza, dandosi regole più strette sul modus operandi e sulla trasparenza al consumatore delle loro azioni.

Anche se in Italia questo strumento è ancora ai suoi primi passi, è probabile che in un prossimo futuro assisteremo più spesso ad operazioni di passaparola pilotato. Operazioni che però dovranno (pena lo “scandalo” dei consumatori più attenti ai propri diritti) essere trasparenti… e che dovranno fare i conti con i nuovi strumenti di comunicazione (quali forum,blog…) senza i quali, di questi tempi, appare quasi impossibile far partire un passaparola efficace con budget contenuti.
On line la versione "games time" del sito Olimpico
A 9 giorni dall'apertura dei Giochi Olimpici di Torino, è andata on line la versione "games time" del sito.
Una soddisfazione aver potuto dare il mio contributo a questo progetto, unico nella vita...

Un grosso complimento a tutto lo staff del TOROC per il grande lavoro svolto e, ovviamente, anche agli atleti azzurri!

martedì, gennaio 24, 2006

I Baby Boomers passano i 50
Sintesi / anticipazione del mio prossimo articolo...

Ad essere ortodossi, per Baby Boomer si intende quella generazione nata negli Stati Uniti fra il 1946 e il 1964. Una forbice troppo ampia, in realtà, ed è quindi in genere ristretto l’interesse a fasce approssimativamente comprese tra i 50 e i 60 anni.

Un target interessante, anche dal punto di vista culturale e sociologico: ha vissuto mutamenti epocali della società, ha contestato (e/o preso parte) alla guerra del Vietnam, potuto vedere i Beatles dal vivo, vissuto sulla propria pelle crisi energetiche e rivoluzioni informatiche.

E, soprattutto, ha guardato la TV, moltissima TV, alcuni sin dal primo giorno in cui sul pianeta Terra sono stati messi in onda programmi e consigli per gli acquisti.

Quest’anno i primi Boomers svoltano la boa dei mitici 60 anni d’età, avvicinandosi (se non ci sono già) alla pensione in modo molto diverso dai loro genitori: con una testa differente e un modo di vivere (e consumare) diverso dagli stereotipi con sui alcuni sono abituati a ragionare.

Forse il fenomeno più interessante per il comunicatore è che molti di questi Boomers rifiutano di invecchiare, almeno secondo i canoni tradizionali. Salute permettendo, sono un gruppo attivo, che approfitta della pensione ( o pianifica di farlo) per giocare a golf, praticare sport, fare viaggi avventurosi (ma non troppo) fare nuove esperienze.

Per il mercato dei viaggi questo target, solo negli USA, vale oltre 57 miliardi di dollari – e si capisce perché il National Geographic, avendo aperto una unità di business dedicata a viaggi “di esplorazione” e di certo non a buon mercato, abbia focalizzato marketing e comunicazione su questo segmento.

Insomma, pronti a godersi la vita, sempre che abbiano i mezzi per farlo: è infatti un segmento contraddistinto da profonde differenze di reddito. Il 70 per cento di loro proviene da origini umili o povere: molti sono riusciti a raggiungere il benessere ma circa un terzo si trova oggi in condizioni economiche difficili.

I Boomers vogliono restare attivi e, spesso, continuare a lavorare a lungo, estendendo la mezza età in quella che una volta era l'epoca della vecchiaia - grazie alla medicina che prolunga il periodo di vita in buona salute.

I Boomers appaiono attenti alla propria immagine, reagiscono male vedendosi ritratti “con i capelli bianchi” o come un gruppo le cui emozioni sono ormai pacate e più proiettate sui nipoti (eventuali) che sul raggiungimento della felicità personale nei 20, 30 anni o più che ancora statisticamente gli spettano.

Molti hanno di sé la percezione di un'età ben inferiore a quella anagrafica e si aspettano quindi, quando li si ritrae in comunicazione, di essere presentati come dinamici, attivi, impegnati.

Dalle ricerche appare come non sia più vera la percezione di questo gruppo come conservatore e fedele alle proprie marche: la maggior parte del target sopra i 50 anni non sia tanto fedele alle marche quanto si era portati a credere e che la fedeltà sia influenzata più da altri fattori che non dall'età anagrafica.

Per moltissimi Boomer Internet è un media di uso normale e quotidiano e pertanto un media importante per comunicare con loro.
Proprio questo mezzo è però quello che più lontano appare essere negli stili di comunicazione - fortemente e costantemente basati sull'ipotesi che collegato ci sia (solo) un pubblico giovanile.

Il forte sviluppo di questo mezzo (il segmento dell'advertising che cresce più rapidamente) e l'impostazione creativa non relazionata a questo target sta aprendo una forbice tra le opportunità potenziali di business e i risultati effettivamente conseguiti.

In Italia, su una popolazione prossima ai 58 milioni, sono quasi 22 milioni gli abitanti che hanno passato i 50; e l'invecchiamento progressivo della popolazione farà ancora crescere il loro peso percentuale.

I nostri cinquantenni / sessantenni hanno visto il crollo della DC e del muro di Berlino, arrivare la liberazione sessuale e l'evoluzione della famiglia tradizionale. Il passaggio da una cultura sostanzialmente contadina a quella industriale e post industriale. Il consumismo e le critiche al consumismo. La TV di Stato e la rumorosa rivoluzione di quella commerciale.

Sono probabilmente diversi da certi stereotipi usati in pubblicità, forse perchè ad aziende e agenzie spesso non viene naturale parlare con loro, studiarli, investigarli. Un errore che, se commesso, anche nel nostro paese può mettere a rischio la performance della nostra comunicazione e, quindi, dei nostri prodotti.

sabato, gennaio 21, 2006

Se il consumatore non va alla TV…

E' la TV ad andare da lui.
In un mondo dove si guarda meno la Televisione e cala l’attenzione per la pubblicità (anche per colpa di Internet), l’agenzia di pubblicità Brand Marketers ha trovato la soluzione - lanciando, in alcune città statunitensi, la “T-shirt TV”.

Modelle avvenenti indossano una t-shirt che incorpora uno schermo televisivo, su cui passano messaggi pubblicitari. Pubblicità cui non si sfugge. Che ci insegue e ci raggiunge. Che ci sorprende a tradimento.

Al momento, però, più che di un nuovo media, si tratta (diciamocelo) di una trovata per attirare l’attenzione. Ma l’idea è ricca di potenzialità: forse un domani, se prosegue il calo di consumo televisivo, il fenomeno si generalizzerà e saranno le soap opera e i telequiz ad inseguirci, “indossati” da sorridenti messaggeri dei network.

giovedì, gennaio 19, 2006

Da oggi, con RSS...
Su stimolo di Andrea Cappello (http://www.studiocappello.it/) che ringrazio, da oggi il blog ha anche un flusso RSS... per chi non volesse perdersi nemmeno un byte dei miei interventi...

Per "abbonarsi" al blog, cliccate sul link nella barra di sinistra del menu, alla voce "Links"...

mercoledì, gennaio 18, 2006

Formazione:
Corso "Marketing e Comunicazione Low Budget"
per chi fosse interessato ricordo che sarò docente al corso di "Marketing e Comunicazione Low Budget" organizzato dal Sole 24 Ore. Il corso si terrà a Milano, il 25 e 26 Gennaio.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dello sviluppo di una attività di comunicazione pubblicitaria e di come lavorare in / con una agenzia di pubblicità, segnalo che sarò docente di questo corso di LRA a Milano. Date:
28-29 marzo 2006
25-26 maggio 2006

Per finire il panorama dei corsi in arrivo... sarò il docente del corso "Internet marketing per vendere (Seconda edizione)
Accrescere la propria competitività attraverso un’efficace presenza in internet " di LRA. Data: 10 Aprile 2006.

giovedì, gennaio 12, 2006

Il momento della verità sul Punto Vendita (FMOT)



FMOT sta per “First Moment Of Truth.” ovvero il brevissimo lasso di tempo in cui il compratore decide, nel punto vendita, quale prodotto mettere nel carrello. Un tempo, secondo P&G, compreso tra tre e sette secondi.

La multinazionale ha da tempo costruito un FMOT- team di 15 persone nella sede centrale dell’azienda ed altre 50 sparse per il mondo. Ed ha messo mano al portafoglio, nel quadro di quello che pare essere un più generale riallineamento degli investimenti pubblicitari. A fronte (negli US) di un taglio del 25% della TV via cavo e del 5% della TV generalista, il budget complessivo di comunicazione è comunque aumentato.
Per indovinare dove è stato indirizzata tutta questa quantità di denaro (in parte verso l’online), qualche indicazione la possono dare le dichiarazioni della responsabile FMOT di P&G, che afferma che il 75% delle decisioni d’acquisto si compiono sul Punto Vendita.

L’idea di P&G è quella di trasformare la comunicazione sul Punto Vendita “da un’arte ad una scienza”. E questo processo la multinazionale lo ha in corso da tempo: da anni dispone infatti di due edifici, negli Usa e in Svizzera, in cui vengono replicate le strutture di un supermercato e in cui vengono testati “dal vivo” i packaging, sul lineare, in confronto diretto con i materiali dei concorrenti – o presso i quali si tengono focus group sul campo (strutture analoghe le ho comunque viste impiegate in altre aziende e istituti di ricerca, anche in Italia).

E’ chiaro che la comunicazione tradizionale gioca un ruolo fondamentale nel costruire awareness e brand preference, fuori del PV. Certamente l’innovazione di prodotto costruisce attenzione ed interesse. Indiscutibilmente la costruzione della percezione di “valore” del prodotto è cruciale nell’accettabilità e nella desiderabilità del prodotto. Tutte cose che si fanno “fuori” del punto vendita, e che le strategie di comunicazione PV non potranno di certo sostituire.

Continuare però una forte azione di marketing all’interno del negozio aiuta le probabilità di successo, nella manciata di secondi in cui la va o la spacca, specialmente a fronte di competitor altrettanto forti in termini di marca… o di prodotti commerciali dal pricing molto competitivo.

Focalizzandoci dunque (solo) sulla parte della strategia FMOT che riguarda il materiale POP, gli esempi interessanti non mancano.
Ad esempio, per supportare una linea di pannolini, P&G ha fatto piazzare delle false maniglie sulle porte delle stanze in cui si possono cambiare i bambini, all’interno dei bagni dei supermercati. Maniglie poste troppo in alto, per ricordare alle madri quanto debbano stirarsi i bambini per raggiungere le cose - in un mondo fatto a misura di adulto. E che dovendosi stirare in questo modo, hanno bisogno di un pannolino “stretch” in grado di mantenere il loro confort.

Per altri prodotti è stato scelto un posizionamento inconsueto, in basso negli scaffali dei supermercati. Lontano dagli occhi delle madri… ma perfettamente all’altezza dei bambini che, attirati anche da display a forma di mascotte posti sul lineare, richiamavano molto efficacemente l’attenzione della madre.

Questo tipo di azioni non è limitato ai prodotti per bambini: all’estremo opposto possiamo citare dei display PV realizzati per Absolut Vodka, che ponevano le bottiglie sotto il fascio di proiettori colorati, abbinando il colore della luce con quello della confezione…il tutto ovviamente in linea con il celeberrimo “look” della comunicazione della famosissima marca.
In questo filone si integrano poi gli strumenti audiovisuali, tipo le affissioni digitali o i network televisivi interni alle catene - di cui si prevede un sostanziale incremento di presenza e importanza nei prossimi anni.

Cambia l’atteggiamento delle agenzie verso il POP: il mercato della comunicazione in-store negli US è in netta crescita, passando da quasi 18 miliardi di dollari l’anno scorso a quasi 19 di quest’anno.
E se non bastasse l’opportunità di business a far muovere le agenzie, ci pensano i clienti - che sempre più spesso esigono questo tipo di capacità e potrebbero far dipendere la scelta dell’agenzia proprio dalla presenza di questo tipo di competenza.

Il materiale punto vendita non è più quindi una comunicazione di serie B. E mentre prima il POP era una “declinazione” della campagna, ora pare sia un elemento tenuto a mente sino dalle fasi iniziali del progetto, in grado di condizionare lo sviluppo anche della pubblicità, un materiale per il cui sviluppo si investono tempo, capacità e talento.

lunedì, gennaio 02, 2006

Innamoriamoci della marca, arriva il Lovemark


Nel mondo delle agenzie di comunicazione, è corrente cercare di costruirsi awareness, credibilitá e differenziazione attraverso lo sviluppo di filosofie innovative, destinate (secondo gli autori) a rivoluzionare il mercato.

In molti casi il tutto si riduce a un certo quantitativo di aria fritta impacchettato con una accattivante "buzzword", confezionato da addetti ai lavori che devono trovare una giustificazione per la propria esistenza o per gli elevati costi del servizio.

Il caso del Lovemark, approccio propugnato da Kevin Roberts (CEO di Saatchi & Saatchi), può essere guardato con maggiore attenzione, non foss'altro che per l'impressionante curriculum in campo marketing dell'autore.

L’affermazione che Roberts fa è piuttosto forte: le Marche hanno finito la benzina. Ed è necessario guardare ad un futuro oltre le marche (ma attenzione: non un futuro senza le marche - ma un domani con delle “supermarche”…).
Identifica nella creazione di un rapporto fortemente emozionale e di lunga durata la chiave per far prosperare la marca. Stabilendo, grazie proprio all'Amore una connessione più profonda con i consumatori.

Questo tipo di approccio emozionale è condiviso da un gran numero di addetti ai lavori che riconoscono le difficoltà del marketing del secolo passato, in un mondo in cui le performance di prodotto sono ormai (giustamente) date per scontate e dove prodotti molto economici sono in grado di competere funzionalmente con prodotti ben più "nobili" e di prezzo elevato.

Il Lovemark trascende la "semplice" marca. Offre un’esperienza che sorpassa le aspettative di superior performance del consumatore.
Come le marche si basa su un forte rispetto da parte del mercato - ma a differenza delle marche più blande, il Lovemark dovrebbe arrivare diretto al cuore, creando una relazione tanto forte da creare una dipendenza affettiva.

La ricetta segreta per la costruzione di un Lovemark (oltre, ovviamente, partire dall’assegnazione di un corposo budget alla sua agenzia) si basa su tre ingredienti magici: Il Mistero, la Sensualità e l’Intimità.
Una marca un po’ misteriosa, una marca in grado di ricatturare periodicamente la nostra attenzione, sorpassando il rumore di fondo della comunicazione di massa, tenendo elevata la nostra curiosità e la voglia di scoprire le cose che ancora non sappiamo o che possono essere dietro l’angolo.
La seconda componente da costruire è quella della sensualità e dell’uso quindi di approcci multisensoriali, disegnando nei prodotti e servizi delle “firme” sensoriali.

Passando all’intimità, questa si esplica nella capacità della marca di mettersi in strettissima relazione con le aspirazioni personali e le ispirazioni dei consumatori. Di creare dunque un senso di vicinanza affettiva propria del rapporto di innamoramento umano.
Una marca in grado di costruire di se’ un profilo contraddistinto da impegno, da empatia e passione – per poter generare nel cliente (o adepto o, più propriamente, innamorato) una “lealtà al di là della ragione”.

In questo senso, una marca così carica di attributi affettivi dovrebbe essere in grado di passare oltre all'inerzia del consumatore, al punto che dovrebbe essere il target stesso a richiedere la comunicazione, entrando nell’ottica dell’Attraction Marketing.

Tutto questo dunque si traduce nella capacità di articolare la comunicazione su toni e soprattutto strategie altamente emozionali: lavorare a fondo sulle storie che si devono raccontare, storie chiaramente non “one shot” legate al singolo commercial ma alla comunicazione di lungo termine della marca.
E’ grazie a questi elementi che, secondo Kevin Roberts, si riescono a costruire queste supermarche terribilmente attraeneti e in grado di suscitare una fedeltà che rasenta il fanatismo.

Funzionerà nella nostra cultura? Ah, saperlo... la teoria (contenuta nel libro “Lovemarks: The Future Beyond Brands" e nel sito www.lovemarks.com) appare interessante, anche se presta il fianco a molte critiche – basandosi sostanzialmente sull’assunto che il consumatore sia pronto ad innamorarsi acriticamente di una marca… ipotesi che in molti paesi (in cui il consumatore si rivela sempre più critico, smailiziato e cinico) direi sara' messa a dura prova.