giovedì, ottobre 29, 2015

North Face: sperimentare il Polo... in negozio + super stunt. #Giovedì VR


Un'altra puntata della mia serie di Case History dedicate alle applicazioni di comunicazione della Realtà Virtuale.

Questa volta c'è una bella combinazione VR + Stunt / ambush

North Face è una marca che produce abbigliamento molto tecnico. Prodotti di elevata qualità per applicazioni anche molto estreme (come ben sa un mio amico che va a fare fotografie a -28 C ).

Probabilmente, però, una parte non piccola del fatturato arriva dall'impiego di capi in contesti in cui il massimo dell'avventura è perdere il tram.

Di qui la necessità/opportunità di legare un capo che non necessariamente deve essere così performante (visto l'impiego urbano) a un'immagine di marca che ci fa sentire meglio, diversi, esploratori... 


Per scaricare a terra questa strategia, North Face in Korea ha fatto un altro dei suoi stunt coreani sul punto vendita.

Ha replicato il mondo dell'esplorazione polare, legandosi al lancio della giacca McMurdo (Mc Murdo è il nome di una antica e famosa base polare di ricerca US).

E, in una logica esperienziale, ha preparato la classica slitta artica in negozio.
Un paio di occhialoni Oculus e parte l'esperienza...

Solo che, a un certo punto ... (Spoiler: la giacca se la portano a casa gratis, se...)

Ecco il video:



mercoledì, ottobre 28, 2015

Commovente e potente. Natale, parenti e Safety Video. TAM.


Ed eccoci qui con un altra puntata dedicata allo "strappalacrime Marketing", il marketing della lacrimuccia.

Dove conta solo l'idea (e la capacità di girarci delle belle Case History).

Idea semplice, che si basa anche sulla rielaborazione di cose già viste - ma funziona.

Insight semplicissimo: che tristezza dover volare la notte di Natale o di Capodanno, lasciando gli amati cari lontani da se'.

Idea semplicissima: far girare il video di sicurezza ai parenti dei passeggeri presenti sul volo.
(Sì, mentre stai per decollare vedi tuo figlio, tuo nipote, o sorella o marito spiegarti come in caso di incidente devi indossare tu la mascherina per l'ossigeno (che comparirà automaticamente) prima di metterla al pupo e così via.
E ti emozioni.)

Poi filmare le reazioni dei passeggeri.

Infine condire con l'immancabile sorpresona finale all'atterraggio.

Ecco il video:

 
TAM Airlines’ flights in Brazil - from Recife to São Paulo on December 24 (at 10:59 pm), and from São Paulo to Fortaleza (at 10:25 pm) on December 31, 2014 -, will always be remembered the passengers that spent Christmas and New Year’s onboard (...) some of the passengers’ relatives replaced the crew in the traditional safety video, wishing them a pleasant trip and spreading strong feelings in the aircrafts.

Facile da fare? Giuro che mi sarebbe venuto un colpo, avessi dovuto pensare a come tradurre in realtà l'idea di questo scherzone, beccando potenziali vittime e complici.

Costoso? Sì.
Ma di certo meno della produzione di un spot che avesse analoghe capacità di emozionare.

Un copione molto telefonato? Assolutamete sì. Prevedibile? Certo.

Funziona? Alla grande - perché non c'è niente da fare, siamo affamati di emozioni, specialmente di emozioni positive, perché siamo animali empatici.
E ci fa piacere vedere persone felici. Davvero, non come negli spot...

Approfondimento: due casi comparabili di cui ho parlato in passato...
KLM
ASICS



martedì, ottobre 27, 2015

E' un attimo passare da lovemark a hatemark... (che palle gli Epic Fail) #StrategiaDigitale


Nel nostro mondo dei social e delle conversazioni, dove secondo Eco abbiamo dato voce a troppi imbecilli, c'è forse una sola cosa chiara: fai un errore e ti salteranno alla gola.  Sbaglia un prodotto, una risposta, e il popolo chiederà la tua testa su una picca, come in Trono di Spade.

Se ti si alluviona l'azienda, certo, si mobiliteranno per comprare la tua pasta e salvare i posti di lavoro; ma se il management dell'azienda canna un'interazione, lo stesso popolo si scaglierà chiedendo l' espulsione del colpevole o addirittura la chiusura dell'azienda (e il conseguente licenziamento di persone incolpevoli). 

Un battibecco fra due persone andrà in Trending Topic perché letto come un attacco imperdonabile a tutto il "popolo della rete".
Uno scivolone diventerà a priori un Epic Fail (che, diciamocelo, hanno un po' stancato, quanto meno è ora di inventarsi un nome nuovo per la stessa roba, che almeno è un po' più fresco).

Che, intendiamoci bene, secondo me ci sta. Se un'azienda sbaglia o prende coscientemente posizioni intollerabili, se dimostra di non aver capito come funziona il marketing, il rapporto con le persone, il business.. o anche solo il rispetto e la buona educazione va duramente cazziata.
Una bella crisi spesso è molto educativa. Per chi la soffre e per le altre aziende che guardano.


Ma se siamo di fronte a un vero e proprio infortunio (e chi non fa errori o ha una botta di sfiga, o gli scappa un "qual'è" ?) per favore, facciamo che si invoca la clausola della "Puttanata Manifesta" e si va avanti.

Hai voluto instaurare relazioni emotive? E mo' pedala.
Parte grossa del problema è stata questa mania delle aziende di voler instaurare relazioni emotive con il proprio pubblico. Di creare un affettività tra persone e marca. Per qualcuna di voler diventare quella roba strana che si chiama Lovemark (spesso non facendo nulla di concreto per diventarlo, beninteso).

Il problema è che non è facile per una marca diventare un lovemark e, soprattutto, restarci - specialmente se i basics di business non sono a posto e se la nostra dichiarazione/richiesta d'amore si deve confrontare con una scarsa concretezza nel delivery.

Costruire affettività, relazione è una strategia potente, che permette di uscire dalla battaglia per il prezzo - specialmente ora che i consumi sembrano timidamente voler ripartire... ma si è instaurata un'abitudine a una maggior frugalità.
Ma c'è un problema: nessuno è più vendicativo di un amante deluso.



Parallelamente, alziamo la barra degli standard: se si sparge la voce che la marca deve corteggiarti, ogni giorno, deve relazionarsi... siamo nei guai seri.

Una marca che si comporta in maniera "tradizionale" è allora vista come sarebbe visto oggi un uomo degli anni '50: rozzo e fuori tempo nei suoi comportamenti.

D'altra parte, una marea di prodotti e marche non hanno le carte in regola per instaurare relazioni affettive. Non c'è il substrato, la performance... e alle persone, non interessa relazionarsi con qualsiasi prodotto e qualsiasi marca.

Anche perché, per amore del cielo, se mi metto a relazionarmi con qualsiasi oggetto e qualsiasi atto d'acquisto che compio nella giornata, arriverò a sera emozionalmente prosciugato e mi ritroverete a letto abbracciato alla mia ruota di scorta.

E' allora un attimo passare dal lovemark all’hatemark.
La marca che amiamo odiare.

D’altra parte abbiamo voluto vestire "d'amore" un rapporto che per noi era, certo, biecamente commerciale. Un gioco pericoloso. Specialmente si rivela che (noi azienda) siamo pronti a proclamarci innamorati dei clienti - a condizione che ci caccino i loro soldi.

Pensavo fosse amore, ma sei solo una peripatetica


Pensavo fosse amore e invece era solo un modo per prenderti i miei soldi, per di più fingendo.

"Ci tengo a te. Voglio avere una relazione e una conversazione." Poi si scopre che è una strategia di comunicazione. Che non rispecchia in alcun modo la realtà dell'azienda, che è cinica e razionale.

Ma un conto è trovare un posizionamento, costruire una percezione (ad es. marca con valori artigianali.. poi scopri che è prodotta in un capannone industriale e tu ti aspettavi il Mulino Bianco vicino al fiume...). E un altro conto è fingere. E soprattutto farsi beccare. 

Perché tutte le volte in cui si sospetta uno scambio di affetti in cambio di denaro, spuntano inevitabili parallelismi con mestieri di antichissima tradizione.

Di nuovo, la comunicazione non è una coperta sotto cui nascondere la realtà.

La marca deve essere espressione di un'azienda. E non un costrutto astratto, che va in conflitto con la realtà dei fatti. Perché la verità poi finisce per venire a galla e l'amante tradito diventa pericoloso, e ti aggredisce a colpi di #EpicFail.

--- VI VOGLIO BENE E INSERISCO UN MESSAGGIO PROMOZIONALE, PERCHE' VOGLIO AVERE UNA RELAZIONE AFFETTIVA COI VOI------

Se vi interessa approfondire questi temi,  con un grande gesto d'amore nei vostri confronti, ho scritto due libri: Strategia Digitale e Relazioni Pubbliche Digitali. Magari servono.

Nella colonna qui a destra trovate qualche informazione in più, volendo.

lunedì, ottobre 26, 2015

La traduzione automatica...diventa una ricetta. Contro Google. B2B Furbo. Lol factor.


Caso intelligente - come far parlare di se' se fate una cosa noiosissima, in logica B2B :-)

Se vi occupate di traduzioni, oggi avete come competitor Google Translate.
Il problema è far capire che il vostro servizio da' dei risultati superiori.

Qui facciamo due ragionamenti sui target: ci sono aziende che fanno tradurre a Google Translate e poi pubblicano (siti, depliant, menu...) ma sono ai livelli bassi della catena alimentare. 

Fanno ridere, si fanno del male, ma non avranno mai i soldi e la cultura per andare da un traduttore professionista. Al limite dal figlio dell'amica (tanto la qualità non conta).

E moltissimi di noi usano Google translate per capire il senso di quanto pubblicato in una pagina (o per avere una prima traduzione approssimativa - e piena d'errori - quando non si può fare altro)

Ma c'è un mercato dove la traduzione online risolve esigenze tali da giustificare il ricorso a un servizio a pagamento - (mentre Google è gratis).
Fatto da persone competenti... (dove Google usa delle abili ma pur sempre limitate macchine).
Dove il risultato può fare la differenza tra fare una vendita e perdere per sempre un possibile cliente.

E, inoltre parlare di traduzioni è proprio un tema un po' noioso...

Quindi l'azienda Elan Languages ha visto nello schierarsi contro Google Translate un'interessante opportunità per fare invece una comunicazione più "engaging", creare un po' di buzz e di conversazioni.

In sostanza:
Hanno preso una ricetta. Giapponese.
Da un lato l'hanno tradotta loro, con i loro traduttori.
Dall'altro l'hanno fatta tradurre a Google.
Hanno preso le ricette e fatte preparare, così com'erano, a un cuoco.
E hanno fatto assaggiare i risultati.

Così hanno potuto dimostrare in pratica che la qualità da' risultati, che la qualità si sente.

Ecco il video. Enjoy.


venerdì, ottobre 23, 2015

Riflessioni sul caso Rummo (e sull'approccio quantitativo vs qualitativo alla comunicazione)

Il caso Rummo mi ha fatto riflettere su un paio di cose.

Non credo sia il caso di andare a fondo nella sua analisi, visto che già si è scritto molto (do your best, link the rest).

Ma se sentite il bisogno, in calce vi metto dei link di approfondimento.

Sintetizzando, dopo la tremenda alluvione che ha duramente danneggiato l'azienda, si è innescato un movimento di supporto, adesione, aiuto sui social.

E il tema è stato, sostanzialmente: dobbiamo fare qualcosa per aiutarli, comprate qualche pacco di pasta Rummo (in più). E pubblicate sui social la foto dei pacchi di pasta, come prova dell'avvenuto acquisto e stimolo agli altri per aderire alla crociata #SaveRummo .


Cosa che in molti hanno fatto (compreso il sottoscritto: 3Kg).

L'attività social, scaricatasi a terra su Twitter, Facebook, blog ha coinvolto anche personaggi famosi.



E, a quanto si capisce (e io ci credo abbastanza) è stata un'attività spontanea, non guidata dall'azienda. Che forse ha ben altri problemi da affrontare, più che di concentrarsi sui social - che del resto non sono mai stati "fortemente presidiati":

analizzate, ad esempio la loro pagina Facebook:
 www.facebook.com/pastarummo
o il loro account Twitter, con soli  708 follower:
https://twitter.com/PastaRummo

Ma, evidentemente, qualcosa di giusto hanno fatto, come brand.

Rummo è riuscita evidentemente a diventare un lovemark, una marca tanto amata dalle persone che queste, nel momento del bisogno si sono fatte promotrici di un'attività di User Generated Marketing* (che ha generato anche pareri contrastanti).

La riflessione che mi ha colto, e che cerco di sintetizzarvi è questa:

Oggi assisto a un forte trend - rendere "quantitativa" anche la comunicazione digitale. Ma la qualità spesso porta risultati. Non misurabili "ex ante" ma che impattano, concretamente, il business.

Al di là di ciò che attiene all'advertising online (è la sua natura, essere trattato da "media"), anche sui social, anche sul lavoro con gli influencer ci sono aziende che stanno palesemente operando pensando solo alla massimizzazione dei contatti, della reach.

Pensando solo a privilegiare la quantità, in un'ottica classicamente pubblicitaria, privilegiare il numero dei contatti totali ottenibili; rispetto a scelte sulla natura e le caratteristiche specifiche, la capacità di esercitare influenza, di innescare conversazioni, di essere un endorser particolarmente credibile per quel prodotto su quel target.

Per capirci, per fare un esempio, quello che importa è che la mia press release sia ripresa dal massimo numero di persone, pardon, di influencer, in un mondo ideale dove centinaia di blogger che arrivano a milioni di persone facciano un copia & incolla della mia press release (così come di quelle di mille altre aziende, non importa).

E quindi fare scelte che non danno troppo peso alla "qualità".

Ora, è ovvio che lavorare in una logica che porta scarse coperture, che fa sì che il nostro messaggio arrivi a pochissimi, non sposta i fatturati. E' spesso più un costo che un investimento.

E' logico che la qualità è un parametro difficile da misurare, da condensare in un numero - e i numeri sono alla base del nostro business, dei piani di marketing, delle richieste di budget da esporre al management.

Ma è sempre più evidente che questa elusiva qualità forse è la chiave per trasformare gli "utenti" in ambassador, in promotori, in evangelisti. In persone che si schierano e senza ricompensa si sbattono per noi. Per farci migliorare la bottom line. Per farci incassare dei soldi.

Perché ci vogliono bene, perché c'è relazione.
E questo, direi, è un fattore importante nel nostro marketing, nella nostra comunicazione, alla fine... nel nostro profitti & perdite.

User Generated Marketing: la nascita di conversazioni, di contenuti a nostro favore, talvolta totalmente disallineati rispetto alle nostre strategie, estranei cioè al nostro DNA di marca. 

Singoli utenti appassionati o gruppi influenti possono infatti scatenarsi in attività di user generated marketing, vale a dire in azioni in cui le persone si fanno propagandisti, evangelisti della marca, iniziano a farne pubblicità, a diffonderne il «verbo», a farsi carico insomma, senza che nessuno l’abbia chiesto, di un’attività di marketing a nostro favore.


Approfondimento:
http://www.corriere.it/tecnologia/social/15_ottobre_18/benevento-pastificio-rummo-ginocchio-solidarieta-social-ea3e861c-759b-11e5-a6b0-84415ffd3d85.shtml

http://www.scattidigusto.it/2015/10/18/pastificio-rummo-foto-pasta-alluvione/

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/alluvione-beveneto-campagna-social-pastificio-rummo-1184458.html



giovedì, ottobre 22, 2015

E-Reputation e personal Branding: come fare? sintesi delle cose che ho raccontato…#RelazioniPubblicheDigitali


La settimana scorsa al Festival della Crescita, ci siamo ritrovati ospiti di millionaire con Francesca Parviero, a parlare di e-Reputation e di professioni digitali.

Ho pensato fosse una buona idea riprendere alcune delle cose più importanti che sono uscite, partendo dai live twitting...

E dato che Twitter è (per ora) spietatamente sintetico, aggiungere qualche commento, qualche spiegazione e approfondimento. Magari serve :-)

Diciamo che qui* faccio una sintesi: poi nelle prossime settimane faremo un po' di approfondimenti su alcuni di questi punti.

Ovvio: se si tratta di costruire la propria reputazione, la propria marca... il primo passo è decidere cosa vogliamo essere. Perché vogliamo essere diversi dal resto, perché la nostra differenza è importante.

E quindi programmare a tavolino cosa vogliamo ottenere in termini di percezione.

Infatti un conto è condividere pensieri in libertà, un altro è costruire una percezione sana, sensata e strutturata; coerente.
Quindi mettersi, in modo un po' paranoico, nei panni delle persone cui vogliamo parlare e guardarci con i loro occhi.

Certo, questo cozza con una visione (un po' romantica) della "spontaneità", dell'essere se' stessi.
Ma non dobbiamo confondere campi diversi.
Un conto è un blog personale, in cui raccontiamo i nostri pensieri, o la nostra pagina Facebook, dove raccontiamo per immagini le nostre serate in libertà.

Un altro un blog aziendale, o il blog in cui raccontiamo la nostra professionalità.

Ovvio che entrambi sono visibili a potenziali clienti o potenziali datori di lavoro.
E che quindi rischia di avere lo stesso peso (nella costruzione di percezione) il nostro bel post intelligente sulle strategie aziendali e il nostro selfie ubriachi sul cesso mentre fumiamo una canna.
Infatti: se pubblichiamo robe sbagliate, il nemico numero 1 della nostra reputazione (aziendale o personale) siamo noi stessi. Ma lo siamo forse ancora di più quando si innesca una crisi: spesso le crisi grosse sono innescate dalla nostra reazione più che da qualsiasi altra cosa, come in questo caso 

Se posso citarmi (dal mio manuale di  Relazioni Pubbliche Digitali):
"Occorre sempre muoversi con cautela. Dare energia, alimentare un fenomeno che di per sé è piccolo e non interessa a molti, rischia di attirare attenzione e di innescare una diatriba più ampia. 

Qualcuno, che inizialmente aveva trovato la cosa irrilevante, di fronte a un battibecco tra azienda e persone potrebbe decidere di interessarsene e partecipare. 

Qualche blogger o giornalista potrebbe vederci nascere una storia da raccontare. Ancora peggio, ed è un tipico esempio di innesco di crisi, il caso in cui si reagisca duramente e fuori luogo, insultando le persone e mettendo in dubbio la loro onestà, la loro intelligenza." 


Infatti, spesso le peggiori crisi nascono dal voler avere ragione, di essere incapaci (come marca o come persona) di ammettere che anche noi sbagliamo, senza portar argomenti forti con un tono dialogante.

E' lì che facciamo davvero arrabbiare le persone, specialmente se è evidente che ci stiamo arrampicando sugli specchi.
O se "il popolo della rete" ha già deciso a priori che abbiamo sbagliato.
Il rischio peggiore, specialmente per agenzie e consulenti è proporre progetti pensati "per fare branding" ovvero belle idee, belle trovate che magari fanno parlare un po' di noi (o fanno parlare solo dell'azione e il brand non si ricorda), che fanno simpatia... ma poco più.

Le aziende (e le organizzazioni...) pagano il lavoro delle agenzia per portare risultati, non per "fare simpatia" che non si scarica sulla bottom line. Se i soldi che ci danno da spendere, non se li ritrovano moltiplicati, non siamo un investimento: siamo un costo da tagliare.
In effetti, specialmente nel caso di progetti un po' complessi, le PR Digitali, i Social, le PR Tradizionali.. tutto converge. Tecnologia, marketing, creatività, media planning... 

One man show funziona (solo) per i progetti per le PMI, bassi budget, bassa complessità, portata limitata. E' un mercato specifico, dove molti operatori (incluso me stesso, per anni) trovano il loro perché e il loro business - nel far crescere le piccole imprese, le piccole iniziative.

Ma da un certo punto in poi, solo un team articolato per competenze riesce a produrre progetti che funzionano su scala più ampia.

In termini di competenze:

Non si può prescindere da un minimo di conoscenza di marketing, ma non basta essere "creativi": la creatività deve essere al servizio dell'obiettivo e accompagnata da una capacità organizzativa che trasforma un'idea in un progetto concreto e funzionante. Con molto buon senso, senza farsi abbagliare dai vaneggiamenti teorici di certi guru, che non hanno mai venduto uno spillo o stretto un bullone in vita loro.


Rassegniamoci: saremo sempre criticati.
Spesso a torto.
Da persone che hanno una propria "agenda", un proprio malessere, follia o attacchi pianificati. Nel tentativo a volte di arruolare altri nella critica, nella crociata, nel mettere alla berlina il nostro Epic Fail.

Da un certo livello in su, la censura è inevitabile. Insulti, contenuti oltre il limite del codice penale (ad es diffamazione), deliri irrilevanti per la conversazione: a ripulire dal rumore si fa un favore alle persone serie.

E se qualcuno cerca un nemico, è utile spostare il tono più in basso. Con l'emotività non si costruiscono facilmente discorsi davvero costruttivi.

Naturalmente, nell'oretta di chiacchiera, di cose ne sono uscite molte altre (per non parlare di tutto quello che ha detto Francesca).
Le potete recuperare su Twitter e altre sono sintetizzate qui:


https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1241998995826612.1073741845.121072037919319&type=3

Ci sentiamo più avanti per qualche approfondimento sui singoli temi...

*(btw, dato che abbiamo detto cose che stanno a cavallo tra le Relazioni Pubbliche Digitali e la Strategia Digitale, per una volta pubblicherò questo post "in stereo", ovvero su entrambi i blog - che normalmente hanno focus e contenuti differenti).

PS: se arrivate da Google e non mi conoscete, tutto quello che leggete sopra discende sostanzialmente dalle analisi, riflessioni e proposte che ho condensato nei miei due libri...

Strategia digitale: Il manuale per comunicare in modo efficace su internet e i Social Media (Web & marketing 2.0) - http://www.amazon.it/dp/B00JIVANS6

Relazioni pubbliche digitali: Pensare e creare progetti con blogger, influencer, community - http://www.amazon.it/dp/B00SVHDWZO



mercoledì, ottobre 21, 2015

Bellissimo: Assassin's Creed lancia il motore di ricerca del XIX Secolo



Operazione molto bella.

In grande stile o meglio, con un bell'impegno e un bel budget. Ma, si sa, quello dei videogame è un settore dove girano i soldi, dove devono girare gli investimenti, dove wow effect e cool effect sono elementi chiave per decidere del successo o meno di un titolo.


Il 23 Ottobre (sì, è quasi qui) arriva la nuova release del famoso gioco - Assassin's Creed Syndicate, ambientato nella londra del 1868, deve assolutamente cercare di replicare e superare il successo delle puntate precedenti.

Tra le varie attività di comunicazione, bellissima pensata quella del motore di ricerca del 19° Secolo.
Ecco il link:


Un Search Engine che ci dà le risposte alle nostre ricerche (ovviamente su un numero limitato di termini) in pieno flavour tardo '800.

E sì, c'è anche il vintage porn (adeguato agli standard culturali del periodo).



The 19th Century Search Engine has been created to allow fans to brush up on their 19th century knowledge beforeAssassin’s Creed Syndicate launches later this month. Assassin’s Creed Syndicate will take place in London in 1868, during the peak of the Industrial Revolution, as players control sibling assassins, Jacob and Evie Frye (credit).

Bella l'art direction, bella l'idea, bella l'esecuzione del content.


Naturalmente l'idea non è del tutto originale, ma è comunque una gran bella operazione.

Il riferimento culturale va dal retrofuture allo steampunk, impossibile qui non citare "The Difference Engine" di William Gibson, profeta del Cyberpunk e Bruce Sterling - un libro che secondo me sta alla base dell'ispirazione per questa idea di comunicazione (se non l'avete letto, leggetelo, è la storia di un passato distopico, un'Inghilterra vittoriana dove sono stati inventati i computer - ovviamente meccanici e a vapore - libro davvero notevole).

martedì, ottobre 20, 2015

PR, Tech, Fashion (e NFC): alla sfilata, compri il vestito sfiorandolo con l'anello.

Un esercizio di applicazione delle tecnologie alla vita quotidiana e all'acquisto di prodotti, settato in un contesto di "lifestyle" che aggiunge glamour alla cosa.

In sostanza, un'operazione di PR Digitali, applicato al FashionTech - l'intersezione tra mondo della moda e quello della tecnologia.

Vabbè, basta chiacchiere, ecco i fatti duri e puri.
Sfilata di Henry Holland, alla London Fashion Week.

In partnership con Visa, alcuni spettatori (chiaramente tutte "celebrities", quindi molto "influential") sono stati dotati di uno speciale anello, dotato di tecnologia NFC (che come sapete amo molto...).

Naturalmente non un orrendo accrocco tecnologico, ma qualcosa di affine alla marca. E poi due celebrities hanno usato l'anello per acquistare capi in modalità "contactless" :-)

Semplicemente avvicinandosi alla modella in posa, hanno sfiorato l'abito con l'anello - e hanno così concluso la transazione, caricando il costo sulla propria carta di credito e ritirando poi all'uscita il capo.
(Se avete il sospetto che fosse tutto combinato, secondo me avete totalmente ragione).

Cito da Forbes:

"Last night’s show ended with two VIP guests – Daisy Lowe and Alexa Chung – stepping out of their seats and walking over to the models where they were stood in their finale poses, to choose one item they particularly liked the look of. Using a House of Holland ring they were wearing, they placed it against the item in question, and instantly bought it there and then."

Ecco il video che presenta l'evento:



 Approfondimento:

Forbes

Wareable


sabato, ottobre 17, 2015

Che vi siete persi, sul mio blog?

Come al solito, un'immagine assolutamente a caso.
Questa volta non è riassunto settimanale, perchè ultimamente mi è stato molto difficile stare dietro al blog e postare regolarmente.

Diciamo che quindi è un aggiornamento dall'ultima volta che ho aggirnato.
O una roba del genere.





giovedì, ottobre 15, 2015

Marketing Turistico Giapponese: la killer app è la Cat Street View.


La zona di Hiroshima, diciamocelo francamente, non è proprio il posto dove verrebbe in mente di andare a passare le proprie vacanze.

E al di là di un morboso turismo nucleare, in realtà c'è altro da vedere - ad esempio la caratteristica cittadina di Onomichi.

Breve, la trovata per attirare l'attenzione e far esplorare virtualmente la città, è stata quella di usare i gatti. Sì, perché a Hiroshima si stima ci siano 150.000 gatti randagi.

Ad alcuni di questi è stata montata una videocamera 360°, un po' sul concetto dello Street View di Google. Mappando quindi i loro spostamenti (in una zona abbastanza ristretta della città, per la verità).

E il risultato è la Cat Street View - la visione della città attraverso gli occhi di un gatto.
Per esplorare (proprio come in Street View, appunto) i luoghi caratteristici della città da un punto di vista diverso. Permettendoci di incontrare, durante questo viaggio a bassa quota, alcuni tra i gatti più famosi della città (con tanto di scheda).

Di fare una esperienza diversa, di farci venire voglia di andare a vedere quel posto.

Throughout the digital experience, top tips are provided on every page, letting users know about tourist attractions in the city that are worth a visit. 

Tra l'altro, non è stato usato un gatto qualunque come guida della città... ma insomma, guardate questo bel video di presentazione che spiega meglio e più rapidamente di quello che potrei fare io...



"The map now covers a shopping arcade and surrounding areas in Onomichi, which is about 70 kilometers east of Hiroshima city. It includes most features seen on other interactive online maps, such as camera angle functions and details about local shops. It also has a selection of 11 pet cats kept in the area with links to their backgrounds."

A integrazione, va detto non è certo la prima volta che gatti e turismo vanno a braccetto in Giappone, come nel caso del Gatto Capostazione (onorario) che ha attirato frotte di turisti in una cittadine...

mercoledì, ottobre 14, 2015

Ci vediamo al Festival della Crescita, domani ora di pranzo?


Un appuntamento per domani :-)

Se avete voglia, domani a pranzo sarò al Festival della Crescita: 
Palazzo delle Stelline (bello).

Sarò uno dei protagonisti del BookSandwich di giovedì 15 ottobre alle ore 13.00 dal titolo “e-Reputation” insieme a  Francesca Parviero.

E da qui in poi cito:

Il BookSandwich è l’appuntamento in pausa pranzo dedicato alle “professioni in crescita”, nuove o in cambiamento. Esperti e professionisti si confrontano, moderati da un giornalista.

"Il tema dell'incontro è il valore della "reputazione" personale e delle aziende in rete, come può essere creata attraverso contenuti adatti, come può influenzare le scelte dei consumatori ma anche dei datori di lavoro e delle persone con cui veniamo in contatto. I libri - pubblicati da Egea - al centro della discussione sono appunto Relazioni pubbliche digitaliReputation Economy (di Michael Fertik e David Thompson) e L'Alleanza, curato nell'edizione italiana da Francesca Parviero. "

Se riuscite a fare un salto ci vediamo.



martedì, ottobre 13, 2015

Master Social Media e Internet PR - IED Milano. Io ci sarò :-)


E' con grande soddisfazione che vi annuncio la mia partecipazione a un bellissimo Master. 

Uno dei pochi seri, se mi posso permettere.

Come forse avrete notato, ho diradato le mie attività di formazione: un po' perché sono messo male come carichi di lavoro, un po' perché ormai sono poche le strutture con cui mi sento a mio agio.  

In IED invece, ci torno sempre volentieri :-)

E ora bando alle chiacchiere e vi racconto il Master (lo confesso, ricorrerò molto al copia & incolla)

Il Master si chiama "Social Media & Digital PR", è una iniziativa di IED, si terrà a Milano ed ha al timone la mia amica e coautrice di "Strategia Digitale": Giuliana Laurita. A questo punto non potevo non esserci :-)

Io mi occuperò di:

Progettare le Digital PR

Quali sono le differenze tra le PR offline e quelle online? Come si individuano gli influencer? Come si imposta una relazione con gli influencer? Che cosa si può proporre loro? In che modo si può fare da ponte tra il brand e gli influencer? Sono alcune delle domande alle quali risponderà questo insegnamento.
In sostanza vi racconterò un po' di strategia specialistica per le PR Digitali. Prendendo spunto da quello che ho scritto nel manuale di Relazioni Pubbliche Digitali.

E poi vi racconto cosa faccio tutti i giorni (sì, lo posso rivelare: non sto seduto tutto il giorno a fare strategie e PPT: faccio succedere cose, faccio funzionare progetti....). E probabilmente vi rivelerò verità che vi sorprenderanno... o no :-) 

Cercando di insegnarvi cose che vi saranno utili in pratica, non solo in teoria.

Una cosa che mi sembra molto interessante del Master, è che non è una roba tutta "Strategica". Mi piace molto che vengano insegnati ad esempio Powerpoint e Excel. Perché è inutile raccontarci storie: se volete lavorare in azienda e agenzia e non fare solo il lavoro da schiavo, bisogna saperli usare. Punto.

E che venga insegnato a maneggiare le immagini, a capire di infografiche e di video. Perché i creativi e i grafici certo fanno il loro lavoro, ma un certo livello di competenza nel gestire certi contenuti è un asset molto utile.

Mi piace il panel dei docenti. E ritengo che la diversità dei punti di vista sia utilissima perché si ascoltino più campane e ci si formi una propria idea, una propria visione personale.

In sintesi (e qui cito dal sito di IED):

Gli strumenti social e il mondo delle digital PR sono sempre più presenti nelle strategie di marketing e di comunicazione delle aziende, ma perché funzionino servono competenze specifiche. Affrontare questo territorio, così vasto, fatto di velocità, di una moltitudine di strumenti e opportunità che si susseguono, fa si che le persone in grado di comprendere questa sensibilità e queste pratiche sono e saranno molto richieste.

Dopo un percorso intensivo di 7 mesi, i partecipanti potranno inserirsi nel settore professionale dei social media e delle digital PR, in aziende ed agenzie. Sapranno rapportarsi con tutte le tematiche relative al digitale e alle sue funzioni relazionali verso clienti, partner e influencer.

Sbocchi professionali:

Il master garantisce un know–how altamente qualificante per i profili: social media manager, social media specialist, community manager, digital PR, digital consultant, digital content strategist.

Il Link per approfondire e chiedere info è questo:


E qui c'è il link al modulo per scaricare la brochure:


E poi:


A chi è rivolto:
Il master è rivolto: a studenti laureati sia in discipline artistiche/umanistiche, sia tecniche/economiche; a professionisti con almeno due anni di esperienza nel settore.

Contenuti e struttura:
I social media sono il più importante momento di svolta nel mondo del marketing, un cambiamento radicale degli equilibri nella comunicazione tra aziende e consumatori. Da una situazione in cui le aziende trasmettono un messaggio attraverso i media tradizionali (stampa, radio, TV, direct, etc. etc.) e i consumatori ascoltano e reagiscono in maniera quasi pavloviana (acquistando i prodotti oggetto del messaggio), ci troviamo oggi in uno scenario che vede i consumatori protagonisti di una vera e propria relazione con le aziende, essendo abilitati a parlare con esse e di esse. Di conseguenza il mondo del social – ma anche, più in generale, quello del digitale – è diventato centrale rispetto alla possibilità, per le aziende, di sostenere questo scambio.

Il territorio con il quale si confronta un professionista del web è un territorio molto articolato, poiché nel tempo i mestieri del digitale si sono moltiplicati, specializzandosi sempre di più. Il master intende formare professionisti in grado di comprendere l’identità di un brand e le sue esigenze relazionali, creare una strategia adeguata, implementarla e monitorarla. Professionisti in grado di definire e distinguere gli ambiti di intervento di figure professionali diverse, coordinarle e monitorarle, perché conosceranno le basi di ciascuna di esse, pur mantenendo una forte focalizzazione sul tema dei social media e delle digital PR.


Riguardo questi aspetti, che costituiscono il core del master, i nostri studenti saranno messi in condizione di:
- Creare e implementare una social media e digital PR Strategy, una content strategy, un piano editoriale;
- Padroneggiare gli strumenti social: piattaforme, strumenti di content management, strumenti di ottimizzazione dei contenuti;
- Creare contenuti per le diverse piattaforme;
- Identificare gli influencer e coinvolgerli adeguatamente;
- Comprendere le implicazioni della conversazione che avviene sul web, in termini di brand awareness e brand reputation, attraverso strumenti di web monitoring;
- Misurare l’efficacia delle azioni attraverso gli analytics.


lunedì, ottobre 12, 2015

Il Poster che si nasconde dalla polizia. In Russia.


Attività molto unconventional.

La storia: in Russia, per via delle famose sanzioni, il governo ha imposto un proibizionismo alimentare su molti generi in provenienza dall'Europa.

Ma dove c'è una proibizione c'è chi l'aggira - come questo negozio moscovita gestito da un Veronese: Don Giulio Salumeria. Che continua a vendere prodotti italiani e che ha deciso di farlo sapere al pubblico attraverso una campagna di affissioni.


Problema ("ufficiale"): la polizia. Che avrebbe immediatamente rilevato la illegale pubblicità e avrebbe costretto a interromperla.

(Problema reale: farsi notare con un budget... da negozietto).

La soluzione (quella "ufficiale"): un impianto di affissione dotato di un sistema di riconoscimento facciale (ne abbiamo già parlato in passato*, di sistemi analoghi). Tarato sui brutti ceffi dei poliziotti.

Così quando un tutore dell'ordine si avvicina, il poster (di quelli a rullo) cambia soggetto e il gendarme russo non s'avvede del reato.

Soluzione "reale": per rendere efficace la comunicazione, più del (singolo?) poster che hanno fatto, il giochetto è stato farlo sapere a tutti, per creare il buzz.

Intanto hanno scelto un poster in una zona ad alta densità di polizia (di fianco al Ministero dell'Interno) - in modo da essere sicuri di riuscire a girare il filmino in cui si vede il poster che cambia soggetto in presenza di polizia.

Poi hanno fatto girare la notizia, tanto (come vedrete dal video) non è che il sistema funzionasse poi così tanto bene, quindi sicuramente li avevano già beccati :-)

Quindi tipica operazione di Relazioni Pubbliche, uno stunt - in cui si crea un pretesto notiziabile, per amplificare la portata dell'operazione e farne parlare.

E di una (pur anche ottima, chissà) salumeria moscovita, ora parla il mondo intero... (insomma, si fa per dire :-)   un discreto colpo di "reputation"... :-)

Ecco il video:




* Potete ad esempio rileggere:

Fare check-in con la faccia... (progetto di riconoscimento facciale)


giovedì, ottobre 08, 2015

Da Burger King, il dipendente fa la coda per te

Per celebrare l'apertura del suo nuovo ristorante a Parigi, Burger King ha organizzato (per un periodo limitato) un servizio di "addetti alla coda".

In pratica, il cliente può sfruttare uno dei 5 addetti che fanno la coda al suo posto.

Basta attivare l'apposita app mobile (mentre si è in coda) e arriva il gentile collaboratore a liberarvi dall'attesa.

Al di là dell'impatto sul punto vendita, si è cavalcata l'operazione sui social e in PR...

Qui si ritorna, ancora una volta sul tema della Brand Utility e del servizio (concreto) al cliente.

Ecco il video:

Approfondimento:

Questa è la finzione pubblicitaria, la creatività delle PR.
Ma.. nella vita reale?

Molti di voi lo ricorderanno, c'è chi l'ha fatto davvero, a Milano:
In coda agli sportelli per voi a 10 euro all'ora.
 All'estero fa colpo "l'uomo paziente" (anche questa brillante operazione di comunicazione, di "personal branding" molto unconventional)

E sul fronte più digital, possiamo citare Qurami - startup / app sempre italiana (eh, noi italiani sulle code siamo preparatissimi)