venerdì, settembre 22, 2006

Audioguide gratis

A completamento del mio post sull'uso delle audioguide come strumento di marketing geocontestuale (link) segnalo queste audioguide (scaricabili gratuitamente) che coprono varie città europee.

Il modello di business non mi pare solidissimo ma staremo a vedere...

Già che siamo a parlare di Spagna e seguendo i link del sito delle audioguide, segnalo questo blog per gli interessati ad imparare l'idioma e questi podcasts didattici in Spagnolo che mi sembrano ben fatti, piacevoli e persino interessanti.

martedì, settembre 19, 2006

Chi l'ha detto che la pubblicità va fatta apposta?

Da adesso lo spot televisivo si compra "off the shelf", già pronto...

Una volta si andava tutti dal sarto, a farsi fare i vestiti su misura.
Poi è arrivata l'industria della confezione - dove non solo ci sta bene di comprare capi fatti in grande serie e che non si adattano perfettamente alle nostre forme - ma godiamo del indossare esattamente lo stesso capo che milioni di altre persone indossano.

Se l'abito non fa il monaco, la comunicazione fa l'azienda - e la regola storica della comunicazione TV era quella di investire tempo e denaro per farsi realizzare uno spot ad hoc, strategicamente e creativamente adatto a noi (sempre che l'agenzia fosse brava e curasse i nostri interessi, non solo i suoi).

Le cose stanno però cambiando: Spot Runner, una startup di San Francisco (e mi pare non sia la sola) propone ai clienti di comprare degli spot già belli e pronti, a scaffale.

L'azienda sceglie dal sito, il commercial che più gli piace e se lo fa solo personalizzare (modello Vistaprint). In aggiunta Spot Runner si può occupare anche della pianificazione media, il tutto a partire dalla ridicola cifra di 500 dollari - anche grazie alla capacità del sistema informatico di Spot Runner di lavorare sugli spazi televisivi invenduti (e quindi che vengono via per poco)

Insomma una comunicazione che magari non ci starà benissimo addosso, sarà un po' generica, sarà quasi identica a quella di altre aziende... ma che ha il vantaggio di costare poco.

E sospetto che, rispetto al lavoro che possono fare "ad hoc" certe agenzie da poco e poco professionali, il danno che può fare Spot Runner all'azienda non sia maggiore... (quanto ai risultati.. beh si sa, quella è un'altra storia - e spesso un terno al lotto).

venerdì, settembre 15, 2006

L'arte è nel DNA?

O è il DNA nell'arte?

Scoprite come il vostro acido desossiribonucleico può diventare un'opera espositiva nel mio ultimo articolo su Apogeonline.com
Riparte il corso di E-Marketing...

Riprendono le pubblicazioni a puntate del mio corso di e-marketing per le PMI su EuroPMI.it, il portale di Eurogroup per le PMI.

Un corso dal taglio semplicissimo, pensato a meno che non addetti ai lavori.
Se vi interessa, l'ultima puntata la trovate qui.

Quelle precedenti, qui.
Bloggare: poco ma buono… ;-)

Lo ammetto, avevo un senso di colpa. Non riuscire a pubblicare contributi almeno quotidiani in questo mio blog.

Mi sentivo inadeguato, colpevole di scrivere solo quando trovavo qualcosa che mi piacesse davvero dire – e di lasciare passare giorni fra un post e l’altro.

Colpevole di violare una regola sotterranea che da molte parti ci viene proposta: content, content, content, a manetta. In quanto eticamente giusto, in quanto intrinsecamente connaturato alla natura stessa del blog, in quanto indispensabile per attirare montagne di new business e fidelizzare i clienti esistenti.

Mi ha molto risollevato leggere questo post:
Why Blog Post Frequency Does Not Matter Anymore

Poco ma buono.
Basta che non sia poco di buono…. ;-)

martedì, settembre 12, 2006

Il web sta ammazzando la stampa giovanile?

Beh, alla fine è capitato.

Il web ha ammazzato la stampa. Bel titolo sensazionalista.
O meglio, un periodico cartaceo è stato soppresso per fare posto alla sua versione puramente digitale.

Parliamo della rivista americana "Teen People" di Time Inc., lanciata circa 8 anni fa con un buon successo.

Tutto bene, tutti contenti - poi un declino nella raccolta pubblicitaria. Gli inserzionisti (e i centri media) hanno iniziato a ritenere che i loro soldi sarebbero stati meglio spesi in elettroni piuttosto che in atomi di carta e inchiostro.

E' ora in edicola l'ultimo numero. Requiescat in pacem. D'ora in poi il business di Teen People è solo on line.

Copio e incollo da Wikipedia:

In 1997 the magazine introduced a version targeted at teens called 'Teen People.

However, on July 27, 2006, the company announced it would shutter publication of Teen People effective immediately. The last issue to be released will be for September 2006. There were numerous reasons cited for the publication shutdown, including a downfall in ad pages, competition from both other teen-oriented magazines and the internet along with a decrease in circulation numbers. [1]"

Ah, tra l'altro, la stessa cosa è successa ad "Elle Girl".
Vorrà dire qualcosa?


sabato, settembre 09, 2006

La Marca ha un suo museo (ma non un sito...)

Amici Markettari, se passate da Londra non potete esimervi dal visitare il museo della Marca, una esposizione che traccia l'evoluzione di marche note ( e meno note) attraverso gli anni.

Il museo sta a Notting Hill, quindi dopo potete farvi un giro a Portobello... il biglietto costa la modica cifra di 5,80 sterline.


Affascinante per constatare quanto ( o quanto poco) siano poi evoluti in 60 anni certi marchi e certi loghi (if it ain't broken, don't fix it...)

Presenta oltre 10,000 pezzi che coprono più di 200 anni di storia e nasce da una collezione privata ora diventata una "Charity"

Ulteriori informazioni : cliccate qui

Ah, si', ci sarebbe anche il sito del Museo, ma è praticamente inesistente, contenendo solo la Home Page e un pdf scaricabile con indirizzo e orari.

Qualche persona di buona volontà aderisce alla loro richiesta di volontari a supporto dell'associazione e magari gli realizza qualche paginetta HTML?

Potete visitare anche il sito della collezione da cui è nato il museo - utile se a Londra non ci andate ma vi interessa comprare articoli di "British Nostalgia"...

martedì, settembre 05, 2006

Nominato professore...

Da Ottobre terrò la cattedra di "Elements of Electronic Media", presso la European University - business school internazionale di Barcellona.

Fate gli auguri a quei poveracci che dovranno passare sotto le mie grinfie...
Riprende la mia rubrica su Apogeonline

Riprende la mia rubrica settimanale su Apogeonline: questa settimana parliamo di fantini robot che potrebbero liberare i bambini dal lavoro minorile negli Emirati Arabi... o no?

Se volete, potete leggerlo qui...

lunedì, settembre 04, 2006

Pubblicità geocontestuale: Il Bluecasting

Un altro strumento interessante ma un po’ complesso ( se ne sta discutendo in questo periodo anche su mlist) è l’accoppiata poster col Bluetooth - che permette alle affissioni di dialogare con i nostri telefonini.

In molte città europee si possono incontrare degli impianti speciali che ci richiedono di attivare il Blutooth del nostro cellulare. Fatto questo, il poster potrà inviare contenuti multimediali pubblicitari al nostro telefono ( o PDA), files, buoni sconto, jingle o spot.


Ah, questa forma di comunicazione, ovviamente ha un nome in codice: "Bluecasting"

Permettendo al poster di collegarsi al telefonino è possibile scaricare materiali di comunicazione come spot, un salvaschermo sviluppato per l'occasione, suonerie per i cellulari...

Qualche link utile:
http://digital-lifestyles.info/display_page.asp?section=platforms&id=2512
Wall Street Journal
Cosa ne dicono gli altri blogger...

Che siano Telefonini, GPS, o poster, le forme di comunicazione di cui ho dato dei cenni presentano un elemento in comune. Questi approcci di comunicazione contestuali alla location offre un significativo vantaggio rispetto ad altre forme di advertising precedentemente ipotizzate, specificamente nella loro mancanza di intrusività.

Erano infatti stati spesso vaticinati modelli di pubblicità basati sull'invio di SMS in modalità "push", in cui un sistema collegato al provider telefonico avvertiva la prossimità del cellulare ad un punto sensibile (ad esempio un negozio) e automaticamente inviava a quel cellulare un messaggio pubblicitario in merito.

Questo tipo di comunicazione non è in realtà mai stata introdotta significativamente sul mercato, anche per il timore di reazioni negative da parte dell'utente, che avrebbe probabilmente percepito questa attività come "spam", per di più in un luogo tanto privato come il cellulare, in cui l'arrivo di messaggi indesiderati tende a provocare reazioni fortemente negative.
Le nuove forme di pubblicità ora proposte sono invece basate su un modello "pull" in cui è l'utente stesso a richiedere la comunicazione, rispondendo perfettamente al detto "La pubblicità è una gran seccatura...fino al momento in cui hai bisogno di essere informato su un prodotto. In quel momento diventa Customer Service".

giovedì, agosto 31, 2006

New Business: Vivido

Si arricchisce ancora la lista con l'acquisizione di Vivido, brillante software house fiorentina.

Il progetto di consulenza affidatomi è legato alle attività di Marketing e Comunicazione per Roomshop, un innovativo software per il settore alberghiero.

Roomshop permette agli alberghi di effettuare rapidamente e facilmente la propria offerta di camere sui portali turistici (tipo Expedia, Lastminute..), semplificando notevolemente la vendita di camere su Internet. Il software permette inoltre di realizzare la comparazione dell'offerta e delle tariffe dei propri concorrenti, per un marketing alberghiero più informato.

Anche a Vivido, un grazie per avermi scelto.
Nuovi clienti: Softpeople Connexia

Entra nella lista dei miei clienti Softpeople Connexia, agenzia di comunicazione integrata.

Softpeople Connexia propone servizi di relazioni pubbliche, media relation, advertising, brand image e comunicazione online.

E' specializzata nella progettazione e implementazione di piani di comunicazione online e offline, offre servizi di comunicazione integrata e pubbliche relazioni con un focus particolare nei settori hi-tech, fashion, lifestyle, sport e travel.

Sto lavorando con loro su un progetto di consulenza relativo ad un importante attività di New Business. Grazie per la fiducia...

lunedì, agosto 28, 2006

Il Cellulare GPS per la pubblicità geocontestuale...

Qualche giorno fa avete potuto leggere qui un pezzo sulle possibilità di comunicazione geocontestuale dei lettori MP3.
Ancora più interessanti per la comunicazione sono le possibilità legate agli sviluppi delle tecnologie della telefonia cellulare.

In questo campo è all'avanguardia il Giappone. In questo paese una legge ha imposto che i telefonini vengano dotati dall'anno prossimo di un sistema GPS per permetterne la localizzazione in caso di emergenza: e al segnale GPS si affianca un segnale radio non satellitare, che permette una precisione di pochi metri nella localizzazione, anche in zone affollate di alti edifici dove il segnale GPS è spesso mascherato.

Su questa piattaforma la società GeoVector ha sviluppato un sistema che permette (grazie alla connessione del cellulare ad internet) non solo di visualizzare mappe della zona in cui ci si trova, ma anche di essere guidati passo a passo verso un punto di interesse (ad esempio un museo) e di ottenere informazioni semplicemente puntando il cellulare in direzione del luogo, monumento o esercizio commerciale che ci interessa.

E' anche possibile, grazie a questo sistema, ottenere informazioni / suggerimenti su temi di proprio interesse, ad esempio trovare un particolare tipo di ristorante oppure - puntando il telefonino su un gruppo di edifici - ottenere una lista degli alberghi presenti in quella zona, con tanto di distanze rispetto alla nostra posizione e, una volta scelto l'albergo di nostro gradimento venir guidati fino all'entrata.

Il servizio offre già informazioni descrittive e pubblicità per oltre 700,000 locations in Giappone, tutte disponibili agli 1,5 milioni di utenti che già dispongono dei nuovi modelli di cellulare abilitati per questo servizio.

Le estensioni potenziali del sistema sono notevoli: si potrà puntare il proprio telefono verso un poster per venire trasportati sul sito web relativo al prodotto pubblicizzato, puntarlo verso un cinema per poter leggere orari e recensioni. Con uno scenario futuro di mobile commerce (prenotare il ristorante, comprare i biglietti del cinema) ed uno scenario contemporaneo di buoni sconti/offerte promozionali inviati direttamente al cellulare (sperimentazioni di questo tipo sono attualmente in corso negli USA).

venerdì, agosto 25, 2006

Disponibile la versione Beta di Google Writely

Google ha rilasciato la versione beta di Writely, text editor che funziona online, via web, senza applicazioni da scaricare e che tiene i documenti in memoria su un qualche server e quindi sempre disponibili anche quando siamo in viaggio o considivibili con altri ( ma invisibili a Google e agli altri motori a meno che non si disponga il contrario).

Potenzialmente un applicazione molto interessante per PDA e simili, non richiedendo una applicazione residente

A breve lo testerò a fondo con il portatile e il Nokia 770, provando ad esempio a scrivere qualche pezzo dal bar della palestra (dotato di wifi gratuito, con mia grade gioia) - unico problema riscontrato: non funziona con Safari, ma con Firefox si' (e del resto anche blogger funziona molto meglio con Firefox...)

Writely permette di pubblicare direttamente sul proprio blog, quindi si configura anche come blog editor - ma qui non ci siamo ancora del tutto, ho incontrato qualche baco da risolvere.

La beta di Writely la trovate qui

giovedì, agosto 24, 2006

La complessità vende - ma con il boomerang

A quanto pare l'usabilità, intesa come semplicità dei prodotti, non sarebbe una buona idea dal punto di vista commerciale.

Secondo uno studio dell'Università del Maryland, i consumatori preferirebbero acquistare prodotti complessi, ricchi di funzioni, bottoni, lucette, trappolette.

E' l'effetto telefonino con videocamera, frullatore e coltello svizzero incorporato o "nuova versione del software" - sempre più complesso e zeppo di funzioni che nessuno userà.
Ma che se non ci fossero non farebbero vendere il prodotto.

Ovviamente, poi, una volta acquistato il prodotto, iniziano le insoddisfazioni - e dalla ricerca emerge che (a posteriori) i clienti sono più contenti nell'uso della versione più semplice...

Chiaro - la ricerca è troppo piccola e limitata per essere secondo me universalmente significativa.
Ma è interessante - contribuisce a sottolineare la differenza tra ciò di cui ha bisogno il cliente e ciò che invece desidera.

E spiega perchè ci siano ancora tanti siti (e ne vengono lanciati di nuovi ogni giorno) zeppi di animazioni in Flash, effetti speciali, musichette e altre amenità inutili se non dannose.

E' la differenza tra ciò che il committente necessita e ciò che ha desiderato. O che gli è stato fatto desiderare dalla web agency - che grazie a campanelli e fischietti (bell & whistles, come dicono gli americani) è riuscita a fatturare molto di più di quanto avrebbe potuto chiedere per un sito semplice e funzionale.

Come dicono di nuovo gli americani, uno sciocco e i suoi soldi sono facilmente separati. Ancora peggio quando il cliente è ignorante, nel senso buono e asettico della parola.

Quanto più si investe in formazione, si spende per capire e imparare, tanto più diventa facile non cadere nelle trappole dei fornitori - che purtroppo sono spesso anche loro in buona fede e più ignoranti di noi e ci fanno le animazioni in 3D e i menu randomizzati perchè credono davvero che siano belli e servano a far si' che alla gente il sito affascini e coinvolga di più.

Dimenticando che il sito, come tutti gli altri prodotti, deve anche essere usato.

Per maggiori informazioni sulla ricerca cliccate qui

mercoledì, agosto 23, 2006

Quotidiani gratuiti: in Europa, chi li ferma più?

I proprietari dei quotidiani a pagamento dormono sicuramente sonni agitati.
Il fenomeno dei quotidiani gratuti non sembra aver nessuna voglia di perdere il suo trend positivo di crescita.

In Francia un giornale letto su cinque è un gratuito. In Spagna uno su due, valgono il 30% in Portogallo, Svizzera e Danimarca.

Un sacco di editori si stanno affrettando a saltare sul treno, sperando che non sia troppo tardi.

Le Monde e le Figaro stanno lavorando a loro progetti in questo campo.
In Inghilterra si sta preparando il lancio di un altro (ancora!) quotidiano di questo tipo. E non sarebbe una gran notizia se non fosse che l’editore è la News Corp (sapete, quella di Rupert Murdoch, propietaria del Sun e del Times…). In Germania è di questi giorni il lancio di una nuova iniziativa prodotta dall’editore di un importante quotidiano finanziario.

E in Italia il lancio della versione stampabile /pdf de La Repubblica (Repubblica Ultimo Minuto) può essere letta come una mossa per riuscire in qualche modo a stare dentro a questo trend senza caricarsi degli ingenti costi di un quotidiano gratuito distribuito a mano.

Insomma, tra Internet e Quotidiani Gratuiti, il mondo dell'editoria deve veramente rimboccarsi le maniche per poter guardare con una certa fiducia ad un futuro in cui gli inserzionisti siano ancora disposti a supportare corposamente certi media...
Per approfondire il tema dei gratuiti in Europa, questo articolo dell’Herald Tribune

lunedì, agosto 21, 2006

Pubblicità geocontestuale sui lettori MP3?

iPod & co. hanno conosciuto in questi anni una straordinaria diffusione; e la pressione dei produttori per mantenere vivo il mercato attraverso la sostituzione ha portato all'incremento delle features di questi prodotti.

In questo modo i riproduttori sono diventati dei veri e propri distributori di content; e chi dice contenuto distribuito su device molto diffusi dice media... e chi dice media dice opportunità di comunicazione ed advertising.


Con la particolare ed unica opportunità di diffondere pubblicità geocontestuale (detta anche location-aware), ovvero legata al luogo dove si trova il fruitore, con tutte le opportunità del caso.

Da tempo i lettori mp3 non sono più limitati all'ascolto della musica ma hanno offerto l'accesso ad altri tipi di contenuto.
Per primi sono arrivati gli audiolibri (mercato comunque tuttora di nicchia, il cui player di riferimento è audible.com) poi i corsi di lingue (si veda qui, ma ce ne sono decine...), poi i podcast ed altre applicazioni ancora che stanno allargando a dismisura le tipologie di contenuto di cui possiamo fruire senza la necessità di essere collegati in tempo reale alla Rete (da segnalare anche il frasario utile della BBC... ma sarà davvero utile?).

Uno degli sviluppi interessanti per il mondo pubblicitario è la crescita nella produzione di guide turistiche audio, guide che riprendono il concetto degli apparati messi a disposizione in molti musei e che, quadro per quadro ci guidano attraverso l'esposizione, facendoci capire ed apprezzare meglio quello che vediamo.

Queste guide offrono un potenziale di comunicazione di proposte commerciali (tipicamente di servizi turistici) legate alla città e al quartiere che si sta visitando.

Il settore sta comunque conoscendo un forte sviluppo di iniziative autoprodotte, spesso disponibili gratuitamente su siti specializzati o sull'iTunes Music Store di Apple; o realizzati e distribuiti sul proprio sito da enti del turismo, come quelli disponibili sul sito esmadrid.com o sul sito della città di Oxford.

E probabile che, partendo da questi primi prodotti pionieristici si possa presto arrivare al lancio di prodotti audio sviluppati dai giganti del settore delle guide turistiche e ad una differenziazione dei modelli di business.

Da un lato vedremo prodotti posti in vendita e dall'altro assisteremo probabilmente allo sviluppo di prodotti resi disponibili gratuitamente ai turisti ma abbondantemente popolati di messaggi pubblicitari relativi alla zona visitata (anche se la tecnologia probabilmente non riuscirà a risolvere soddisfacentemente il problema della vendita degli spazi pubblicitari a livello di quartiere o di singolo esercizio commerciale...).

giovedì, agosto 17, 2006

Guerilla Parenting

...una applicazione dei metodi del Guerilla Marketing, focalizzati su una educazione corretta dei giovinetti - adottando tecniche e strumenti che ben si integrano con il loro background culturale.

http://cosmo7.com/stencil/

O no?
Ma... è Guerilla Marketing o Guerilla Communication?
Il GM , almeno nella sua stragrande maggioramza dei casi, è una forma di comunicazione. Però il termine "Guerilla Marketing" suona meglio, è più markettabile…;-) io ritengo che dovrebbe essere chiamato Guerilla Communications ma ormai e’ fatta…

Anche perchè, molto spesso, di Marketing ne ha poco.
Il GM si è storicamente (per quel poco di storia che ha) sviluppato su un approccio "creativo". Cercare la trovata, il colpo ad effetto.

Molto spesso quella del GM è tutta teoria generica perche’ alla fine quello che conta è la trovata. E non che sia sbagliato: non si vive di solo Marketing...

In effetti questo approccio dove la strategia e il marketing sono in sottordine rispetto alla capacità creativa è tipico di alcuni settori come la moda o i profumi, dove non si puo’ organizzare la comunicazione su parametri razionali (se mi permettete la generalizzazione) e dove sono gli stilisti e i creativi che la fanno da padrni in comunicazione, interpretando trend, cogliendo cose che sono nell’aria, trovando modi di stupire e attrarre l’attenzione.

Si tratta dunque, nel GM, di lavorare sull’awareness e sulla generazione di news value – ovvero facendo casino fare si’ che i media se ne occupino e parlino di noi, dandoci copertura mediatica gratuita (publicity).

Il problema è che se anche alziamo l’awareness, non è detto che facciamo del bene alla brand equity – e poi che marca potrà essere una marca che vive solo di colpi ad effetto?

Pochissime marche possono sopravvivere ad una strategia fatta solo di guerilla – che anzi va in molti casi usato a dosi omeopatiche. Il rapporto tra marca e cliente è spesso è un fidanzamento, un certo livello di prevedibilità è spesso apprezzato...

lunedì, agosto 14, 2006

Tryvertising, implicazioni per le aziende
Un’operazione complessa e frammentata come il Tryvertising implica, dal punto di vista dell’azienda, un impegno a sviluppare un marketing mix sempre più su misura per i nostri target (spesso sempre più piccoli e specialistici).

E una volta sviluppato il package prodotto/marca/comunicazione, portarlo nelle mani dei consumatori più influential e più vocali, contando sulla forza della nostra offerta (e della nostra persuasione) per farli innamorare del nostro prodotto. Di qui, auspicabilmente, l’inizio di un rapporto affettivo e di entusiasmo – un amore che si faccia rumoroso, usando i canali virali.

Gli esempi di user innamorati che osannano un prodotto già oggi non mancano – basterà farsi un giro su tribe.net, su ciao.com o su uno dei mille siti che aggregano comunità; su blog di successo e mailing list per incontrare esempi di prodotti idolatrati o di aziende crocefisse di fronte a migliaia di potential users.

Lo sforzo importante per rendere il tryvertising una disciplina funzionale (e non una semplice ridenominazione del sampling) passa attraverso la costruzione di una serie di regole strategiche che possano rendere efficace questo strumento.

Riflessione 1: Pensare strategicamente. Il tryvertising deve essere visto come una operazione strategica – quindi su cui si investe in pensiero, in ricerca, in analisi del target, in creatività. Per trovare soluzioni che non siano banali, episodiche o casuali.

Riflessione 2: Tutti i prodotti sono ”buoni”, sono le emozioni che li differenziano. Se cerchialo il successo attraverso un sampling basato sulle funzionalità del prodotto, dobbiamo avere un prodotto dalle performance miracolose. L’obiettivo deve essere (invece) la costruzione di relazione emotiva ed affettiva tra azienda e persone.

Fermo una persona per la strada, le regalo un campione di caffé. Questa poi lo prova, lo trova buono ma nulla di più. So what. Davvero otterrò una conversione al prodotto o che si impegni a far proseliti fra le sue amiche?

Diverso darle appuntamento per assaggiare il mio caffé in un locale carino, portandosi dietro il fidanzato ed offrendole un mazzo di fiori (c’è poco da ridere: un fast food americano è riuscito a riattivare una serie di ex clienti invitandoli per San Valentino ad una cena romantica a lume di candela nel locale… contando sul fatto che per molti clienti, in un’età giovanile, quello era proprio il luogo dove era iniziata o si era sviluppata la loro storia d’amore…)

Se riesco a trasformare l’occasione di “assaggio” in un momento che possa emozionare il mio potenziale cliente e che lo faccia sentire coccolato e stimato, potrò iniziare a costruire un vincolo emotivo che cambierà la relazione da “consumatore <-> prodotto” a “persona <–> azienda che mi vuole bene e a cui voglio bene”

Riflessione 4. Quindi…gratificare il ricevente. A tutti piace sentirsi speciali. Sentirsi riconosciuti come parte di un’elite da parte dell’azienda può fortemente modificare la percezione.
Ricevere 20 centilitri di ammorbidente non mi gratifica. Ricevere una versione fuori commercio, personalizzata, riservata solo a “noi eletti” del tuo prodotto… mi fa sentire un cliente di riguardo.

Ricevere un campione dall’evidente valore di qualche centesimo a volte mi irrita. Ricevere un oggetto il cui retail value sia invece significativo (ma che, sul mercato dell’oggettistica promozionale, si può ottenere a prezzi infinitamente inferiori) mi lascia piacevolmente sorpreso.

Darmi la possibilità di esprimere il mio parere, di contribuire allo sviluppo del prodotto e alla crescita dell’azienda può farmi sentire parte di quell’azienda. E quindi dalla loro parte. A condizione che mi raccontino cosa hanno fatto del mio input…

Riflessione 5. Contestualizzazione. Il tryvertising deve essere allineato e funzionale al contesto. Un campione di shampoo dato in metropolitana ha poco impatto. Un budino pronto (se buono!) offerto a fine pasto in un ristorante, un altro.

giovedì, agosto 10, 2006

Ancora sul tryvertising...

In realtà il tryvertising non è terribilmente diffuso a livello "alto", ma qualche esempio interessante c'è: ad esempio il ConQwest 2005 – una caccia al tesoro su larga scala organizzata negli US su un target teenagers. I partecipanti, per giocare, dovevano utilizzare (a lungo) prodotti di Qwest (un operatore di comunicazione) quali telefoni cellulari con fotocamera integrata (imprestati al team dall’operatore).

Anche Nike si è data da fare, ad esempio offrendo in palestre universitarie corsi di fitness, step o cardio. Tenuti da istruttori certificati del Nike Fitness Team, questi corsi (gratuiti) sono anche un’ottima occasione per provare, sul campo, i prodotti dell’azienda. O sempre Nike, in Canada, supporta i runners che si preparano per la mezza maratona di Vancouver: possono ottenere da Nike un appuntamento con un allenatore che li accompagna, massaggi gratuiti e, ovviamente, una prova su strada delle scarpette…

Ma interessanti opportunità si aprono nei cessi di Parigi.

In sostanza, il Tryvertising è una bella idea – che richiede però fantasia, molto lavoro e molto rigore strategico per evitare il rischio di pensare che un campione gratuito, cellofanato in una rivista femminile, farà diventare di moda il nostro prodotto…

Interessante link: cliccate qui

lunedì, agosto 07, 2006

Il nuovo OS del Nokia 770

Per i fortunati utilizzatori di questo interessante navigatore Internet tascabile, segnalo la release della nuova versione del sistema operativo - che aggiunge significative features all'oggetto.


La feature più interessante è la disponibiltà del VoIP e di Google Talk.

Purtroppo... no, non c'è Skype... :-(
Per evidenti questioni di accordi ad alto livello, il software incorporato nel nuovo OS è Google Talk, che permette di chattare e di fare telefonate.

Ho qualche dubbio che Skype venga reso presto disponibile: immagino che Google avrà preteso una sorta di esclusiva di qualche tipo.. e tra Google e Skype non corre buonissimo sangue, suppongo. La loro rivalità non si esaurisce nel VoIP ma anche nei sistemi di pagamento.

Skype è infatti proprietà di eBay, che possiede anche PayPal.
Google ha invece da poco lanciato il proprio sistema di pagamento, Google Checkout...


Tornando a noi: è però possibile installare Gizmo, che oltre alle chiamate PC - PC permette di chiamare (a pagamento) fissi e cellulari... anche dal 770.

Tutto ciò vuol dire che, avendo il 770 la connettività WiFi, se trovate un hotspot aperto potete telefonare gratis o a bassissimo costo - e se l'hotspot non c'e' vi collegate via blutooth al cellulare e pagate la connessione voce al costo di un collegamento dati

La qualità della chiamata è discreta e dipende molto dalla qualità del segnale che si riceve dall'hotspot

La descrizione delle sue features è qui
Il sito ufficiale del 770 (da cui si può scaricare l'OS) è qui
Il mio precedente post sul 770 lo trovate qui

Provami, provami...col tryvertising


Parliamo di “Tryvertising” - l’approccio di marketing volto a mettere nelle mani dei consumatori il prodotto affinché lo provino, lo adottino, ne parlino bene o facciano scattare dei fenomeni imitativi.

Diciamolo subito: siamo di fronte ad una (non semplice) evoluzione del classico sampling o di una operazione sugli influencers – come la solita offerta speciale per i giornalisti o il regalo del prodotto al VIP di turno.

E le sovrapposizioni con l'Ambient Marketing non mancano (noi markettari spesso diamo dieci nomi diversi alla stessa cosa...)

Gli esempi di applicazione di questa tecnica non mancano... anche se generalmente mancano di impressionare in termini di creatività. Probabilmente, dunque, il tryvertising è una buona idea il cui potenziale è però ancora tutto da sfruttare. E, curiosamente, quasi tutta la casistica sembra concentrarsi sugli alberghi come canale di contatto con il pubblico ( più che di tryvertising sarebbe il caso di parlare di hotelvertising?)

Un certo numero di hotel di lusso mettono oggi a disposizione dei clienti auto altrettanto di lusso; con l’obiettivo di convincere il VIP a comprare l’auto che ha potuto provare, di convertirlo in un evangelista del prodotto, portandolo a parlarne bene con i suoi altri amici (VIP), di farlo diventare testimonial gratuito - sperando che venga avvistato al volante del nostro veicolo.

Possiamo poi citare la catena alberghiera Etap, che ha ammobiliato alcune camere con i mobili di Ikea, o (più interessante) l’idea di mettere a disposizione degli ospiti una PlayStation con i giochi più recenti.

Niente di sconvolgente, eppure la teoria che posta alla base dello strumento ha dei punti sensati: se il pubblico ha fatto un po’ il callo alla pubblicità, se le fasce più giovani diventano difficili da raggiungere con i media classici, per costruire una marca e un prodotto di successo occorre passare (anche?) per altre strade.
Usare non i “media” come veicolo del nostro messaggio, ma fare sì che siano gli user stessi a diventare nostri propagandisti, evangelizzatori. Quindi credibili in quanto “uno di noi” e neutri in quanto indipendenti. Una critica, dunque, al celebrity marketing: le celebrità credibili sono i consumatori stessi, molto più affidabili di una “star” nel dar giudizi su un prodotto mass market…

venerdì, agosto 04, 2006

On line la nuova versione del mio sito

E' da oggi online la nuova versione del mio sito...

Sicuramente qualche problemino non risolto ci sarà ancora... un grazie a tutti quelli che mi segnaleranno eventuali bachi o problemi di visualizzazione

giovedì, agosto 03, 2006

Semichiuso per ferie
Il blog funzionerà in maniera molto limitata fino a fine mese.... tanto siete tutti in ferie, no?
Se non è così, manifestatevi e dite la vostra ;-)

domenica, luglio 02, 2006

Saatchi, Una Parola, Tantissimi Dubbi

Maurice Saatchi (uno dei 2 fratelloni dell'adv) in un recente articolo sul Financial Times, vaticina la fine dell'advertising.
OK, grazie mille, prenda un numero e si metta in coda con i 20.000 altri che da tribune meno nobili l'hanno già detta, questa.

(L'articolo lo potete leggere sul FT previa una iscrizione al trial di 15 gg, The strange death of modern advertising)

E fin qui gliela passo.
Io ho lavorato qualche anno in Saatchi&Saatchi Italia, ed ho un sano rispetto per quell'azienda.
Ma avere rispetto non significa essere acritici. E io, quella che segue, faccio difficoltà a mandarla giù.

In alternativa alla pubblicità classica, il Saatchi propone una nuova agenzia, M&C Saatchi che, semplificando un po', possiamo definire come basata sul concetto di restringere la comunicazione di un'impresa ad una sola parola, in una sola parola condensarne tutta la brand equity.
Ed usare questa parola per comunicazioni iperficcanti, degli spot pubblicitari di un solo termine, iperbrevissimi.

Wow.

Permettetemi due conti.

La lingua inglese consta di un totale compreso tra i 616,000 e i 300,000 termini, a seconda di come la catalogate.
Diciamo che, comunque, quelli di uso non desueto o raro o iperspecialistico saranno meno di 100,000.
Togliamo quelli impubblicabili in quanto offensivi, blasfemi o antiamericani, e scendiamo ad alcune decine di migliaia.

Secondo fatto: l'americano medio ha un vocabolario attorno alle 10.000 parole. Facciamo 15.000 per i colti ( ma meno di 7,000 per chi non è andato al college)

Se la associazione è uno ad uno (una parola, una azienda), è immediato capire il casino che ne rischia di saltar fuori.. la corsa al nome di dominio e il cybersquatting sarebbero robe da ridere, in confronto.

Fate conto che solo i quotidiani negli US sono circa 1.800, se ognuno si prendesse una parola, avrebbero già deforestato il patrimonio di termini usabili di un 5-10%. E gli altri, che fanno? Le centinaia di migliaia o milioni di aziende US e worldwide che potrebbero vedere nell'"one world" la soluzione a tutti i propri problemi di comunicazione?

E poi... mi posso immaginare Purina impadronirsi del nome "cane" come simbolo della sua brand identity. Ma "zoccola" chi se lo prende? Tods's? e "pisello"? Findus?

Caro Maurice, lo so benissimo che a te andrebbe benissimo che solo qualche migliaia di aziende venissero alla tua nuova agenzia per pagarti profumatamente per vedersi associate ad una sola parola.
Ma tu,Maurice, a che parola ti associ?
(scusate, un vuoto di memoria, come si dice in US English "bufala" ?)


un paio di link sul tema link:
http://www.johnniemoore.com/blog/archives/001444.php
e anche qui

lunedì, giugno 19, 2006

Pubblicità e videogiochi connessi in rete
Essere presenti con la propria pubblicità all'interno di un videogame è un'attività che richiede una certa programmazione e comporta una certa staticità.

Se si vuole essere presenti sull’ultima release occorre muoversi per tempo, per dare modo agli sviluppatori di inserirci intelligentemente; dobbiamo pagare la nostra presenza sulla base dell’intera vita utile del videogame nelle mani del utente (in media circa 42 ore di gioco), dobbiamo assicurarci che (nel caso il gioco abbia una vita particolarmente lunga) il nostro prodotto non passi di moda o venga sostituito prima che il giocatore smetta di usare il gioco.

Per questi motivi e per dinamicizzare ulteriormente il mercato, alcune aziende stanno introducendo nuovi modi di concepire il meccanismo pubblicitario nei videogiochi.

Grazie alla diffusione della connettività in rete dei PC e delle consolle, è infatti oggi sempre più possibile sfruttare il videogame come un media in cui gli annunci vanno a rotazione, in cui si può definire un palinsesto ad hoc degli annunci e, addirittura, in cui gli annunci vengano selezionati e pubblicati sulla base di una profilazione dell’utente.

Agenzie americane come Massive o Double Fusion offrono infatti la possibilità di comprare spazi a rotazione all’interno di videogames, sotto forma di “affissioni” o di “spot” opportunamente piazzati all’interno dello scenario – a condizione che la piattaforma di gioco sia connessa in Rete.

La programmazione degli annunci potrà seguire logiche demografiche o geografiche e, a tendere, basarsi sulla profilazione degli utenti.
E' ovviamente possibile fornire agli investitori una misurazione della visione degli annunci (in forma paragonabile al calcolo delle impression sul web) e del tempo di esposizione.

giovedì, giugno 15, 2006

Il Triple Play porterà i Telecom Operator nel baratro?

Il Triple Play non è un menage a trois bensi' l'offerta combinata di Telefonia, Internet e IPTV (TV via Internet).

Secondo molti definita come la soluzione del futuro - o comunque un'area di alto potenziale per il futuro della televisione (o di una nuova televisione).

Secondo Forrester, invece, un suicidio economico...

Uno studio preparato dall'istituto di ricerca e analisi (costa oltre 700 $, una piccola sintesi è disponibile qui) dice che questo tipo di offerte costano molto di più di quanta revenue possano generare.

Il problema è che mentre gli investimenti per rendere possibili queste soluzioni sono piuttosto elevati, i consumatori non hanno cosi' tanta voglia di pagare per ottenere contenuti - almeno, dico io, sulla IPTV.

Già, perchè in molti paesi con un'offerta televisiva "free" molto più ridotta di quella italiana, cacciano la lira per il satellite o il cavo...

Forrester stima che il Customer acquisition cost di un cliente triple play sia di qualche centinaia di euro - e che ogni cliente "medio" europeo farà perdere 3.700 euro al suo provider nei prossimi due anni.

Se ha ragione Forrester, il futuro della TV forse davvero non corre sul filo di Internet.

E forse non corre proprio, il futuro della TV. Vista la scarsa prova di se' data finora dal digitale terrestre in termini di innovazioni concettuali, se non succede qualcosa di grosso sull'IPTV c'è poco da stare allegri

Sul tema IPTV segnalo anche l'ultimo numero di peppersushi
Vabbe', vorra dire che, mondiali a parte, vedremo meno TV e passeremo più tempo a fare altro su Internet

martedì, giugno 13, 2006

Pubblicità nei videogames: dice il Guru di Microsoft...
Anche se non ho l'abitudine di usare il blog per copiare/incollare articoli trovati in giro, preferendo invece sviluppare contenuto originale, ogni tanto ci sono articoli che vale la pena di segnalare...

Segnalo dunque questo articolo di Business Week, che copre la presentazione effettuata al Focus on Game Advertising Summit, da Kevin Browne - general manager di Xbox New Media and Franchise Development, in cui parla di come (e se) il mercato della pubblicità nei videogiochi potrà raggiungere il suo pieno potenziale nei prossimi anni...

lunedì, giugno 12, 2006

Molti modi di fare pubblicità nel videogioco
In realtà l’evoluzione della pubblicità nei videogames passa anche per l’introduzione di nuove forme, di nuovi modi per introdurre il messaggio commerciale. Tutto dipende, oltre che dalla ricerca del fattore novità, dalle caratteristiche del gioco e del target.

La forma più usuale è l’inserimento di messaggi pubblicitari all’interno del gioco – ad esempio nei cartelloni a bordo campo dello campo di calcio o del circuito motociclistico oppure inserendo un caffé Starbucks nel paesaggio urbano dove stiamo conducendo un inseguimento automobilistico.

Dallo statico si è poi passati al dinamico, introducendo gli spot all’interno del gioco – non in forma di interruzione ma facendoli passare, un po’ "lateralmente", in uno schermo televisivo che il nostro protagonista si trova davanti nell’ambientazione dell’azione o sul megaschermo dello stadio in cui si svolgono le nostre sfide sportive.

A queste forme si sono oggi affiancate forme più impattanti, tipicamente di Product Placement o Product Integration. Un qualsiasi gioco urbano porà vedere i protagonisti frequentare negozi di una catena di abbigliamento, nutrirsi in fast food esistenti anche nel nostro mondo, interagire con prodotti di marche specifiche e riconoscibili. Nel gioco The Sims Online di Electronic Arts i personaggi dei gioco usavano PC chiaramente Intel-branded e si rifocillavano da McDonald (a fronte di alcuni milioni di dollari di investimento).

A questa stregua, qualsiasi azienda (o quasi) possieda una catena di negozi potrà un domani tentare di farla diventare scenario di un gioco destinato ai suoi target chiave, dando un'esperienza virtuale della propria offerta.
Chessò, una bella sparatoria tra bande all’interno di un Nike Store – dove il nostro eroe si può salvare solo prendendo a scarpate i cattivi…

Il casino, per dirla francamente, è che fare di queste cose… è un vero casino.
Se davvero si vuole un inserimento efficace della nostra pubblicità all’interno del gioco, l’azienda dovrà collaborare strettamente (e continuativamente) con i creativi e gli sviluppatori; e probabilmente si dovranno sviluppare nuove creatività ad hoc per il mezzo e la situazione in cui si troverà contestualizzato il nostro messaggio.

Che se (queste creatività) non sono implacabili declinazioni della campagna televisiva attualmente in onda rischiano di mandare nel pallone il top management (ma lo possiamo fare? L’internazionale ce lo permette? Ma perché non possiamo far passare il nostro spot attuale, tutto flou e riprese al rallentatore all’interno di quel gioco “sparatutto”…?)

La mia visione è però un po’ pessimista, almeno nel breve.
Visto quello che sono molte agenzie di comunicazione tradizionali e il modo di vedere (o non vedere) la comunicazione d’impresa in molte aziende… consiglierei di lasciar perdere, per evitare clamorosi autogol (in campi da calcio virtuali rigorosamente sponsorizzati dal nostro marchio).

venerdì, giugno 09, 2006

La pubblicità nei videogiochi - un mercato destinato a crescere

Se i giovani hanno alzato barriere di disinteresse e di diffidenza verso la pubblicità e, sopratutto passano il loro tempo a fare altre cose (a scapito della fruizione della TV), la comunicazione cerca di raggiungerli là dove passano il loro tempo libero.

I videogames sono sicuramente uno dei concorrenti più temibili (in termini di quota di tempo libero e di attenzione) della TV. Negli USA oltre il 70 per cento dei maschi della fascia d'età 18-34 si diverte coi videogiochi e dedica loro 12,5 ore la settimana - rispetto alle 10 o meno che passa di fronte alla TV.

E quello che era un passatempo prettamente maschile sta rapidamente trovando nuovi clienti nel pubblico femminile.

Il videogame crea nel giocatore un forte coinvolgimento ed un indebolimento delle barriere razionali, di filtro, verso i messaggi pubblicitari.

A condizione quindi che il messaggio comunicazionale non sia eccessivamente intrusivo e, sopratutto, non interrompa il fruire del gioco, posizionare la propria pubblicità in questi mondi virtuali può rivelarsi una strategia interessante... e già il mercato, in termini di investimenti, si prospetta abbastanza ricco.

mercoledì, maggio 31, 2006

Il format sarà un lavoro multidisciplinare...
Riprendendo il discorso sui format, vedo un possobile futuro n cui nel prossimo decennio i produttori di contenuti si concentreranno sulla costruzione di grandi formati che dovranno essere pensati per trascendere l'ambito televisivo. Formati sviluppati con un lavoro di team multidisciplinare.

In realtà non si tratterà che di applicare tecniche e procedure già usate nel mondo cinematografico; dove spesso nelle fasi iniziali di sviluppo creativo di un film pensato per essere un blockbuster intervengono in comitato anche i responsabili del merchandising (frequentemente la fonte di reddito principale nel lungo periodo).
E proprio dai responsabili dei pupazzetti e del licensing del marchio emergono input, suggerimenti e avvertimenti che influenzano lo sviluppo del film e dei suoi personaggi – ad esempio per far si’ che sia più facile trasformarli in giocattoli a larghissima diffusione.

Fare televisione diventerà dunque un lavoro un po' più complicato, un po' più trasversale a molte specializzazioni. Un metodo un po' più faticoso, ma probabilmente indispensabile per sopravvivere in un mondo in cui l'assoluta sovrabbondanza di contenuto e la competizione di troppi media per lo scarso tempo e attenzione dell'audience sarà la norma.

lunedì, maggio 29, 2006

Altra formazione
Qualche altra data, qualche altro corso in arrivo....

29 Giugno - Corso di Base sull'email marketing (link)

17 Ottobre - nuova edizione del corso intitolato : "Come massimizzare il risultato del lavoro delle agenzie di pubblicità" (come sviluppare, seguire, ottimizzare una campagna di pubblicità lavorando con la vostra agenzia). (per informazioni, www.lra.it)

16 Novembre - ripete il corso sull'email marketing

Tutte le date (tranne quella di giugno) sono soggette a conferma e potrebbero variare,
Ci sentiamo dopo le ferie per il programma 2007...

domenica, maggio 21, 2006

Corso sulla Pubblicità (tradizionale)

Se qualcuno fosse interessato, ricordo che giovedi' e venerdi' (25 e 26 Maggio) tengo a Milano un corso intitolato : "Come massimizzare il risultato del lavoro delle agenzie di pubblicità" se siete interessati, informazioni e iscrizioni qui
More on formats
Se, come dicevo nel mio post precedente, la TV di domani si reggerà (dal punto di vista dei soldi) sui format, data l'intensità della concorrenza e le risorse che verranno investite dai produttori di format, probabilmente solo pochi programmi ce la faranno a sfondare e a diventare un vero blockbuster.

Di fronte alla scarsità di mucche da mungere sarà allora giocoforza cercare di mungerle il più possibile.
Si cercherà dunque di estrarre spasmodicamente fino all’ultima goccia di potenziale dal format che avrà dimostrato la capacità di attrarre e fidelizzare le audience.

Per prima cosa esasperando le potenzialità del format, in termini di esportabilità internazionale. Cercando di sviluppare format globali che possano moltiplicare in numerose nazioni il successo ottenuto nel paese d'origine - seguendo ad esempio l'esempio di Camera Café, che nato in Francia (dove passerà anche sul telefonino cellulare) è stato esportato in Italia e in Spagna, ottenendo buoni risultati.

E poi esportando questo format ad altri media, ad altri contenitori, trasformandolo in un format crossmediale. Acchiappando l'audience, eccitandola, fidelizzandola, portandola a consumare il contenuto (e le sue estensioni ed integrazioni) sfruttando vari canali, moltiplicando la sua spesa in media, aumentando le revenue pubblicitarie.

Questi pochi formati di successo verranno dunque strizzati il più possibile in modo crossmediale, in modo da inseguire i consumatori scappati dalla TV e riportarceli, e comunque spremere il più possibile il formato da punto delle revenue pubblicitarie...e non (si pensi al merchandising).

In questa logica già si stanno muovendo molto seriamente alcune delle principali reti televisive americane che, come si rendono conto di avere per le mani un format di successo provvedono a studiarne la più ampia declinazione possibile.
Ad esempio "Lost", un programma estremamente popolare - proposto in TV ma anche riproposto 24 ore dopo per il download su iTunes (in modo da rivedersi sul proprio iPod Video o sul proprio PC un episodio, recuperare una puntata persa o che non si è potuta vedere per mancanza di tempo... o per portare la propria fruizione di TV su un treno, un aereo o un momento di attesa).

La trama del serial viene poi arricchita attraverso una serie di libri di fiction che riprendono i grandi temi della storia, li approfondiscono, introducono personaggi non presenti nello show televisivo...e permettono una più ricca fruizione ai numerosi appassionati. E poi la rivista, il sito, il podcast, il merchandising e ovviamente le collezioni in DVD.

Altri buoni esempi già disponibili sono i videogiochi (gratuiti o a pagamento) tratti da film o da serie televisive come “24” – che integra nel suo sistema mediale anche un ricco sito infarcito di pubblicità, la rivista ufficiale, merchandising, contenuti multimediali per il cellulare e parecchio altro

Assolutamente dei “classici” sono poi le produzioni della BBC o del National Geographic, dove TV, DVD, riviste, libri, merchandising si integrano e sommano revenue; ed un attenzione particolare deve essere posta allo sviluppo di MTV, molto attiva sul fronte crossmediale.

In Italia… abbastanza poco, per ora – ma il potenziale di fare cose più complesse del pubblicare il ricettario de “La Prova del Cuoco” esiste certamente.

venerdì, maggio 12, 2006

Aumenta l’offerta di TV, diminuiscono le Audience, vedo nel futuro…

Una gran corsa ai Format.


Gli addetti ai lavori statunitensi da tempo sono impegnati in una lamentazione sul tema "che ne sarà della TV e delle sue audience".
Al di là della grancassa mediatica e del fatto che è di moda laggiù profetizzare la fine della TV e dell'advertising, esiste nella industry una reale preoccupazione e va riconosciuto che oltre Atlantico esistono segnali da non sottovalutare.

il problema sta nel fatto che stanno cambiando contemporaneamente sia l'offerta di televisione che la sua domanda - o meglio il suo pubblico.

La televisione americana (e non solo) si lamenta per la diminuzione della audience ma, sopratutto, per lo sviluppo di un diverso rapporto che il pubblico ha con la scatola magica e i suoi programmi (anche se quantitativamente i consumi restano elevati).

Dal lato dell'offerta sono invece in atto trend inflattivi che vanno a complicare ulteriormente la vita agli operatori - specificamente sul fronte della moltiplicazione dei canali disponibili.
Da noi si pensa subito al digitale terrestre… ma forse ancora più dirompente sarà l'impatto della TV che passa attraverso Internet (IPTV, quella di Tiscali e di Alice Home TV).

Non tanto, forse, per la disponibilità di nuovi canali diffusivi via cavo, quanto per il realizzarsi della promessa del video on demand - permetterà all'utente di crearsi un proprio palinsesto personalizzato, svincolato da strategie e proposte dell'emittente.

Di fronte quindi al moltiplicarsi per 10 o per 100 della scelta televisiva e misurandosi con un mercato dove si guarda meno la TV (principalmente i target giovani), si aprono scenari potenziali molto complessi.

Con migliaia di programmi disponibili, seguendo la programmazione dell'emittente o usando il video on demand, la matematica ci indica che, se non iniziamo a prolificare come conigli, la numerosità dell’audience media aritmeticamente spettante ad ogni programma sarà molto più piccola. Con le conseguenti problematiche di revenue pubblicitarie e quindi di copertura dei costi del programma.

Ovviamente la statistica è una scienza che inganna e la media dell'audience sarà fatta da molti programmi con pochissima audience e pochissimi programmi con molto pubblico.

Come sempre capita, esisteranno alcuni programmi che diventeranno di moda o la cui innovatività e qualità romperanno le barriere; programmi che riusciranno a fidelizzare audience ben più vaste di quelle medie. E a far lievitare i fatturati pubblicitari.

Sarà forse su questi pochi, fortunati programmi (siano essi trasmessi on air o inviati via Rete) che si poggeranno i bilanci delle emittenti del futuro.

Se lo scenario sarà questo, la lotta per la concorrenza delle televisioni si farà sempre di più attraverso una spasmodica lotta per avere "il" programma di successo, in grado di attrarre pubblico e revenue. E permettere alla catena di finanziare il contenuto che deve riempire, con poco pubblico a disposizione, le restanti ore di programmazione.

sabato, maggio 06, 2006

I consumatori sostituiranno le Agenzie? Noooo.....
A fronte di tutto questo fermento sul fronte del Consumer Generated Marketing, c'è chi già le spara e sostiene (un'altra volta) la fine delle Agenzie.

Io direi che, almeno per il presente, non spariranno. Intanto perchè godono di un potere troppo istituzionale nel mondo dei media, che occorrerebbero anni a disintegrare.

Ma anche perchè mancano al consumatore quegli skills e sopratutto quella visione oggettiva e trasversale al mercato che ha il (buon) professionista della comunicazione.

Il consumer rischia di creare quello che piace a lui e non quello che piace (e funziona) al mercato. Oddio, però a pensarci bene... lo fanno anche tanti creativi di lusso che conosco...

Di certo però, il coinvolgimento del consumatore nelle attività della marca crea quei legami affettivi e di interazione che sono spesso preziosi per trasformare un brand “normale” in una superstar.

Non solo: l’autoproduzione di contenuti, che rappresentano molto esplicitamente il proprio modo di essere e la propria visione (o reportage) sul mondo reale che circonda l’uso e la percezione di un prodotto di marca, potrà aiutare molto il lavoro dell’azienda – fornendo una serie di utili spunti al marketing su come il consumatore (o una avanguardia) vede la marca, come la vede usata e commentata, come ritiene dovrebbe comportarsi e comunicare con il pubblico … dando quindi segnali ed informazioni altrimenti ben più difficili da cogliere con altri strumenti di ricerca di mercato o di analisi etnografica.

martedì, maggio 02, 2006

Customer Generated Content..e pubblicità
Sta emergendo la tendenza, da parte dei media, a far sì che la Generation Content lavori non solo per i propri siti o i propri blog... ma che si trasformi un uno stuolo di autori che lavorano per riempire di contenuti media più "istituzionali".

Tra gli esempi più eclatanti di questa tendenza, è l’ esperimento di Current TV, la televisione via cavo dell’ex-vicepresidente americano Al Gore.
Questa emittente è destinata ad un target “smart” 18-34 ed ha, tra i suoi punti qualificanti, la partecipazione (a pagamento) degli utenti nella generazione di contenuto e pubblicità.

Le regole sono semplici: tutti gli utenti del sito possono inviare i propri commercial autoprodotti, a condizione che siano centrati su una delle marche sponsor del sito.

Se il filmato piace alla marca e all'emittente, lo spot viene messo in onda e il creatore riceve 1.000 dollari. Se poi lo spot piace molto lo sponsor può decidere di metterlo in onda anche su altri media… e il creatore ricevere fino a 50.000 dollari (cifra peraltro difficile da raggiungere e comunque modesta per una grande azienda).

Tra i primi sponsor Sony – con una operazione di perfetta integrazione prodotto/comunicazione (il prodotto videocamera è lo strumento per fare la pubblicità a sé stesso…e Sony ha inserito nel sito ampi tutorial per aiutare ad usare meglio e più creativamente il proprio prodotto).

Sempre su un fronte analogo, l’attività di coBRANDiT, una agenzia che compra (a 100 dollari al pezzo) clip, documentari, pubblicità, materiali autoprodotti dal pubblico, per poi rivenderli alle aziende, ai media online o offline, per utilizzarli in ricerche etnografiche che esplorano il mondo della marca.

lunedì, aprile 24, 2006

Chissà che ci combinerà la Generation C (...MTV e iFilm)
Ovvero quella che é stata definita la "Generation Content" - un gruppo numeroso di persone che fanno (spesso) ciò che fino a 10 anni fa sarebbe stato impensabile: produrre contenuto, pubblicarlo gratuitamente e farlo consumare dal pubblico - a volte da un pubblico molto vasto. E a volte ricavandone dei benefici economici.

Secondo una ricerca del Pew Internet & American Life Project, circa un 44% degli adulti americani utenti di Internet hanno creato una qualche forma di contenuto e lo hanno messo in rete. E questo è probabilmente niente se pensiamo a quello che ci aspetta con il progressivo entrare sul mercato di generazioni nate con una tastiera in mano e che hanno iniziato a vedere Internet (usato dai genitori, ovviamente) sin dal primo giorno di vita o giù di lì.

Una generazione che avrà a disposizione strumenti tecnologici per la creazione del contenuto che facciamo fatica a immaginarci.. specialmente tenendo conto che già oggi con un migliaio di euro o poco più di attrezzatura si possono autoprodurre corti o anche lungometraggi che riescono ad arrivare a prestigiose rassegne come il Sundance Festival.

L’interesse del mondo dei media “istituzionali” verso l’autoproduzione è inoltre espresso dal recente acquisto di iFilm da parte di MTV.

iFilm è il sito leader nella messa in rete e diffusione di filmati, siano essi trailer o altri contenuti di Hollywood, pubblicità virali (storiche le campagne di Axe) ma anche contenuto (spesso di qualità) prodotto dagli utenti. E’ un sito che ha il più grande archivio di “corti” on line ed ha oltre 10 milioni di visite al mese.
La catena televisiva MTV ha dunque considerato un buon affare sborsare 49 milioni di dollari per allargare ed integrare la propria offerta di contenuto al pubblico giovanile; un pubblico che ha dimostrato di gradire e fruire dei contenuti autoprodotti… e di produrne in abbondanza.

mercoledì, aprile 19, 2006

Altre puntate del corso on line

Prosegue, sul sito EuroPMI.it la pubblicazione del mio micro corso di Internet marketing per le PMI.

Sono già disponibili le prime 4 puntate:

1) Per il successo di Internet, tutto parte dagli obiettivi - come pianificare il processo strategico

2) Per fare un sito, ci vuole...
Un'analisi dei principali blocchi del processo e una lista delle principali decisioni da prendere ed attivita' da intraprendere

3) Per fare un sito, serve anche...
continuiamo e completiamo la presentazione e analisi di massima della lista di cose da fare per la realizzazione di un sito

4) Il briefing per internet - I passi da seguire

Buona lettura

giovedì, aprile 06, 2006

Corsetto di Internet Marketing...on line

Per chi fosse interessato, segnalo che è iniziata la pubblicazione a puntate di un piccolo, semplice corso di Internet Marketing (di cui sono l'autore) sul sito EuroPMI

Il corso è specificamente tarato sulle PMI ed è liberamente accessibile.

mercoledì, aprile 05, 2006

Il diabolico marketing politico del premier...

La ben nota "uscita" del Presidente del Consiglio offrirebbe un ottimo spunto per dibattere sul tema "che se ne parli bene o che se parli male..."

In realta' si tratta di un'operazione di marketing molto, molto più sofisticata di quanto appaia a prima vista e la sua dinamica non appare essere stata colta.

Usando l'antico strumento del silogismo, proviamo a decodificare il messaggio...

1) chi vota a sinistra è... (vabbe', lo sappiamo);

2) Il Cavaliere di certo non vota a sinistra;

Conclusione...

3) Berlusconi avrà tanti difetti, ma di certo non e' un coglione.

In questa diabolica operazione, il premier porta obbligatoriamente, in modo quasi subliminale, la totalita' del pubblico ad esprimere un giudizio di merito positivo sulle sue qualita'.

Tanto di cappello...

( o no???)

sabato, aprile 01, 2006

Internet passa dall’acqua ed è la fine del VoIP

Lunedì alle 1330 la ITU ( International Telecommunication Union) darà il grande annuncio (di cui i rumors giravano da tempo).
A partire dall’anno 2015 scomparirà Internet dai cavi telefonici transoceanici (e dal 2030 –circa - da tutti gli altri cavi telefonici).

La trasmissione dei dati da un continente all’altro avverrà, da quella data, attraverso una nuova tecnologia – classico esempio di trasferimento di know-how dal mondo militare a quello civile.

Il progetto Sea Transfer Internet
Tutti sanno che le onde acustiche si trasmettono sott’acqua per migliaia di km: lo sanno le balene, che si parlano da distanze incredibili, lo sanno i sonaristi dei sommergibili US che sono in grado di riconoscere una nave a 5000 km analizzando la sua traccia sonora.

Grazie ad anni di ricerche condotte principalmente dal MIT e dal CERN (il centro inventore del web), si è arrivati a sviluppare una tecnologia di trasmissione subacquea che combina la capacità di propagazione a lunga distanza delle onde acustiche a bassa frequenza con la capacità di portare banda propria delle onde elettromagnetiche di corta lunghezza d’onda. Il risultato è capacità di banda stimata attorno ai 7 – 8 Tbs, almeno nella prima versione del sistema.

La rete di trasmissione sarà disponibile in tempi cosi brevi (e a costi relativamente contenuti) in quanto saranno almeno parzialmente convertite a questo progetto le vaste reti di ascolto subacqueo (come ad esempio l’americana SOSUS) sviluppate dalle grandi potenze negli anni della guerra fredda, che coprono quasi tutti i mari del mondo e che oggi hanno perso gran parte della loro utilità strategica

A partire dal 2020 si estenderà il protocollo ST-Internet anche (ove possibile) alle acque interne, utlizzando quindi grandi laghi e grandi fiumi come backbone di una Internet sempre più capillare e probabilmente senza costi di connessione, data l’economicità delle tecnologie e la quasi totale assenza di infrastrutture dedicate.

Nel 2025, secondo il protocollo d’intesa che si firmerà lunedi', si inzieranno poi a cablare anche gli acquedotti locali, di modo che entro 5 anni, si possa disaccoppiare Internet dalla rete telefonica e convogliare la rete attraverso le tubature dell’acqua.

Senza arrivare alle ipotesi da fantascienza di certi scienziati dell’ITU che prevedono (in modo un po’ ironico) l’assegnazione di un numero IP ad ogni rubinetto, un domani sarà proprio a questo accessorio che ci potremmo collegare, in caso di nomadismo digitale, per connetterci in rete.
Al CEBIT sono già stati annunciati, oltre ai primi router in grado di collegarsi all’iimpianto idraulico, prototipi di adattatori da rubinetto a porta Ethernet (ovviamente con dell’elettronica di mezzo e non dell’idraulica…) e il prototipo di una fontanella urbana che potrà convertire questo utile pezzo di arredo urbano in centralina Wi-Fi.

Grandi vantaggi dunque – ma anche grandi problemi.

Il primo problema è legato al fatto che, come detto, le reti intercontinentali di comunicazione non trasporteranno più Internet, e saranno destinate ad altro uso.

La condizione che hanno posto le major delle telecomunicazioni mondali per accettare questo progetto, è stato di rendere il ST-Internet incompatibile con il VoiP, assicurandosi che il protocollo Atlantic Protocol Release Internet Long distance (che sostituirà nella trasmissione sottomarina il TCP/IP) non possa reggere i pacchetti voce “gratuiti” ne’ essere hackerato in tal senso.

Le telefonate gratuite in rete sono dunque destinate a scomparire entro pochi anni, permettendo alle Telco di recuperare sul traffico voce i fatturati che perderanno sul traffico dati (si presume infatti che il collegamento alla Rete diventerà sostanzialmente universale e gratuito).

Il secondo problema è di stampo ecologico.
L’uso di onde acustiche subacquee è probabilmente destinato a creare problemi ai cetacei. Anche se la banda usata da ST-Internet sarà molto stretta e e le onde acustiche polarizzate in senso ortogonale ai fondali marini, non si può escludere che le armoniche causate dall’interferenza del segnale sonoro con i fondali possano disorientare i cetacei.

Conditio sine qua non dell’accordo dell’ITU, dunque, è stato il nulla osta della Preservation Entity for Safeguard of Cetacean on planet Earth, l’organismo transnazionale che, come è noto si occupa dei temi legati alla protezione (e sfruttamento commerciale…) dei cetacei.

Questo ente ha infatti allestito un ambizioso piano che prevede di catturare temporaneamente (con l’aiuto delle principali fondazioni oceanografiche e delle flotte baleniere giapponesi e norvegesi) almeno il 56% dei cetacei adulti presenti nei mari, entro la messa in opera di ST-Internet; per dotarli di appositi filtri acustici in grado di discriminare il segnale artificiale umano (filtri immediatamente battezzati, in modo dispregiativo “paraorecchi” o “cuffiette” da parte dei detrattori). Con l’occasione si collocherà a bordo dei cetacei di maggiore dimensione anche un apparato di localizzazione GPS, che permetterà agli studiosi di comprendere molto di più sulla vita ancora misteriosa di questi colossi marini.

Non c’è bisogno di sottolineare come questa decisione abbia già causato vigorose proteste di gran parte delle organizzazioni ecologiste, che non sembrano però destinate a spuntarla dati gli enormi interessi in gioco. Anche perché il ruolo dei cetacei non dovrebbe solo di essere vittime ma anche di “collaboratori” della rete: dopo il 2030 si ipotizza infatti, all’atto della sostituzione dei filtri sui cetacei, la installazione sopra questi animali di “hotspot” o ripetitori di segnale che permettano una maggiore ridiffusione, granularità e potenza del segnale sottomarino.

In maniera correlata, sempre da quella data (ma questa non è una ipotesi bensì una decisione già presa) ogni imbarcazione sopra i 5 metri di lunghezza e che navighi ad oltre 300 metri dalla costa dovrà avere installato un proprio piccolo ripetitore ST-Internet con antenna sommersa per costruire una rete a maglie sempre più fini ( è già infuriano nel mondo del diporto le polemiche su chi dovrà pagare per l’acquisto e la manutenzione dell’apparato).

Anche se la decisione finale è già stata presa ai più alti livelli internazionali e le macchine sono già in marcia è opportuno riflettere.
Il compromesso che ci viene proposto è complesso, è pesante: la perdità della libertà di telefonia over IP e potenziali danni ai cetacei marini, in cambio di un Internet gratis per tutti ed ubiquo.

Per i privati è una decisione difficile, piena di pro e di contro. E forse possiamo anche fare poco, contro gli enormi interessi e gli straordinari benefici che particolari categorie potranno trarre da ST-Internet, prime fra tutti l’industria ittica (qualsiasi nave sarà sempre e ovunque connessa in rete senza costosi apparati satellitari), le aziende della trasformazione agroalimentare ( si veda il video ) o gli esperti di content providing.

sabato, marzo 25, 2006

Brand debole, sito che non va lontano...

Per il consumatore, il brand rappresenta l’essenza stessa dell’azienda: i suoi valori, il suo mondo di riferimento. E’ il brand che, spesso, più dei prodotti definisce un’azienda. E, infatti, viene spesso affermato che il brand è la risorsa più importante.

E online ? L’essere umano è tendenzialmente abitudinario. Tende a trovarsi dei punti di riferimento, da usare come guida per la sua vita e le sue attività, e a tenerseli stretti.

La fase di esplorazione, di scoperta, di ricerca nel grande mare di Internet è tendenzialmente una fase iniziale. Si usa il web alla ricerca dell’inaspettato, si esplorano molte differenti possibilità. Poi si costruiscono i propri punti di riferimento, si identificano i siti che hanno dimostrato di poter rispondere in modo abbastanza efficace alle proprie necessità. E si tende a diventare progressivamente sempre più fedeli a quei punti di riferimento.
E non citare qui Google è impossibile…

Tutto ciò contribuisce al costituirsi di un ristretto numero di Killer Sites, siti che sono il punto di riferimento per una larga parte di utenti – tipicamente non più di un paio per categoria. Questi siti possono facilmente diventare i dominatori del loro settore e rendono la vita molto difficile ai loro competitors.

Del resto, si sa, lo dicono tutti… questi sono i siti “buoni” … il che equivale a dire che queste aziende sono state capaci di creare un fortissimo brand per i loro prodotti. E questo brand funziona da potente calamita per attrarre sempre più utenti, che a loro volta spargono la voce, innescando un circolo virtuoso (vedi alla voce “Viral Marketing”).

E’ evidente quanto un brand forte sia particolarmente importante per i siti che operano nel settore del commercio elettronico. Una cattiva esperienza su un sito che promette un servizio gratuito non lascia grandi danni. Se però si tratta di soldi, si diventa subito più cauti e si preferisce comprare (specialmente se si usa la carta di credito) da retailer affidabili; la notorietà (e quindi la forza del brand) è un elemento fondamentale per costruire una percezione di serietà e sicurezza.

Come visto, il navigatore poco smaliziato preferirebbe avere degli indirizzi certi cui rivolgersi per avere informazioni / servizio / prodotti di buona qualità a ‘colpo sicuro’. Del resto, ognuno di noi ha la propria lista di negozi ‘reali’ dove sa che il rapporto prezzo/prodotto/servizio è soddisfacente – e quasi tutti tendiamo ad avere quel certo numero di punti vendita che frequentiamo regolarmente. E se vogliamo leggere notizie di carattere finanziario, conosciamo bene quali testate possono darcele ed andiamo in edicola con le idee piuttosto chiare. Tutto grazie (anche) alla forza del brand.

Supponiamo che il nostro sito e la nostra offerta siano “a prova di bomba”. Resta il problema di generare accessi al sito. Siamo messi nelle condizioni standard della maggior parte dei proprietari di siti del mondo. Siamo qualcuno? La gente sa che esistiamo? Speriamo solo nei motori di ricerca?

Possiamo (anzi dobbiamo) costruire la consapevolezza che ci siamo e che dobbiamo essere visitati. La forza del nostro brand aiuta a far scattare l’associazione, nella mente del nostro target, tra una esigenza da soddisfare in rete e… il nostro URL. E se siamo ben presenti nella testa, la gente verrà da sola, senza dover aspettare di vedere il nostro banner per sapere che ci siamo anche noi.

Ma… senza una chiara impostazione strategica non si va da nessuna parte. Senza avere a disposizione le necessarie professionalità nell’ambito del (web) marketing e della strategia sarà molto difficile riuscire ad impostare una operazione di successo. Pensare prima di agire. Possibilmente trovarsi dei partner di alto livello nello sviluppo delle proprie operazioni di web marketing in grado di dare un servizio che non si limiti a grafica e tecnologia.

Insomma, il nostro brand è come la nostra reputazione personale. La faccia ce la mettiamo noi. Se il mercato ci conosce e ci stima verrà a servirsi da noi.

giovedì, marzo 23, 2006

Product Integration: sparisce la differenza tra pubblicità e trama

La storia del product placement (l'inserimento di prodotti, a fini pubblicitari, all'interno di uno spettacolo) è antica almeno quanto il cinema stesso - iniziando con il piazzamento di un detersivo all'interno di uno dei primi film dei fratelli Lumiere nel 1896.

E' però con la TV che la disciplina si sviluppa appieno.
Dopo decenni in cui questa pratica ha vissuto nella sua nicchia, ci troviamo di fronte oggi ad un rinnovato interesse e ad una radicale innovazione.

Non si parla più infatti di Placement ma di " Product Integration".
Il prodotto non si limita più a comparire ma diventa protagonista della trama, del copione, spesso per più puntate dello stesso show.

La compagnia telefonica mobile Verizon ha ad esempio reso il suo servizio di SMS coprotagonista della storia in un popolare telefilm statunitense (integrando il placement con un concorso e altre forme di promozione).
In serial quali 24, Desperate Housewives, Arrested Development o The Office, prodotti e marche si sono intrecciati con le storie dei protagonisti. Nel serial Monk un investigatore privato con tendenze paranoiche pulisce qualsiasi oggetto debba toccare con il disinfettante Lysol di Reckitt Benckiser.

In particolare i reality show appaiono prestarsi bene a questi interventi sulla struttura del programma: in "Survivor" i partecipanti esausti ed affamati venivano rifocillati a base di Doritos, Mountain Dew e birra Bud Light. Nel reality americano "The Apprentice" i partecipanti si sono dovuti misurare nella creazione di una campagna pubblicitaria per il dentifricio Crest (a un costo riportato di 2 milioni di dollari per Procter & Gamble, produttrice del prodotto) o per Mattel e Burger King.

Secondo alcune ricerche, Placement e Integration sono cresciuti del 46 per cento nell’ultimo anno, per un billing di oltre 1.9 miliardi di dollari.
Quasi l’11 per cento del tempo dei programmi US contiene oggi un qualche tipo di riferimento esplicito ad una marca ed alcuni programmi hanno più minuti di placement/Integration di quanti ne abbiano di break pubblicitari.

Il Chairman della catena televisiva CBS è addirittura arrivato a prevedere che il 75% di tutti gli show di prime time arriveranno presto a integrare nella trama prodotti e marchi, dietro pagamento di fee pubblicitari. E’ già non mancano i casi in cui sono le aziende a finanziare nuovi show delle catene televisive, per costruirsi uno spazio di comunicazione da poter controllare più fermamente.

Questo tipo di attività di comunicazione richiede un approccio (e professionalità) abbastanza diverse da quelle della pubblicità classica.

Perché funzioni richiede un processo lungo di interazione tra azienda, emittente e autori, possibilmente da iniziare con molto anticipo, in modo da poter studiare bene come rendere protagonista il prodotto senza trasformare un buon programma in una lunghissima e noiosa televendita e permettere alla marca lo sviluppo di un buon progetto di integrazione con tutti gli altri strumenti della comunicazione.

Il rischio, come ben sanno i comunicatori, è che il committente non sappia fermarsi nel propri desideri e stravolga la trama con inserimenti tanto pesanti e didascalici da azzoppare lo show e causare addirittura un rigetto nel pubblico (basti pensare a molte televendite “classiche”…).
La Product Integration può funzionare solo quando il prodotto riesce ad integrarsi naturalmente e senza forzature nella storia, quando è normale che i protagonisti lo usino e a condizione che ne parlino (bene) come farebbe una persona qualunque, in modo naturale e non evidentemente sponsor-oriented.

Questo nuovo tipo di pubblicità non ha mancato di generare critiche, da parte di gruppi di utenti e di sindacati americani, come quello degli autori.

I primi considerano la pratica come una forma di pubblicità occulta e fanno pressioneperchè la FCC, l'ente che regola l'emittenza televisiva americana, adotti regole più stringenti in materia.

Gli autori sostengono che queste forme di comunicazione ingannano i telespettatori e costringono sceneggiatori e attori a snaturare il proprio lavoro (senza, tra l'altro, avere diritto ad una fetta interessante di questa nuova torta pubblicitaria).

mercoledì, marzo 15, 2006

Se i bimbi sono obesi...si ferma la pubblicità dei Soft Drinks

Il problema dell'obesità nei bambini inizia ad essere una faccenda seria anche in Europa (qui in Spagna siamo al 25% dei bambini che soffrono di questo problema).
Onde evitare che le autorità intervengano con regolamentazioni "pericolose" (l'Unione Europea ha emesso un avvertimento molto preciso e minaccioso) ed evitare anche di avere un problema di immagine, le aziende produttrici di soft drinks appartenenti alla Union of European Beverages Associations (Unesda) hanno deciso di autoregolamentarsi.
Queste aziende (come Schweppes, Coca-Cola, Pepsi...) hanno deciso di bloccare qualsiasi forma di advertising avente come target bambini sotto i 12 anni e attività commerciali dirette nelle scuole elementari.
Una riflessione: mentre è relativamente fattibile discriminare in pianificazione media tra un giovane di 25 anni e uno di 11, vedo molto più complesso evitare le "dispersioni" di una pianificazione mirata sui 13enni o sui 14 enni che sfori sui minori di 12 anni.
Senza contare che i bambini guardano spesso la TV degli adulti e assorbono spot e messaggi "teoricamente" non destinati a loro.
Insomma, l'autoregolamentazione mi sembra pquasi solo una mossa di relazioni pubbliche e di appeasement della EU.

Il problema dell'obesità dei bambini credo si risolva invece solo con un programma di educazione alimentare... dei genitori (ne conosco molti che danno Coca-cola e patatine a bambini di 2 anni... anche prima di andare a letto... e considerando che una coca equivale a piu' di 2 o 3 caffè - vado a memoria - direi che c'è un bel po' di cose da spiegare a questi genitori...)

martedì, marzo 14, 2006

Internet Mobile in tasca...
Per una volta ho deciso di essere tra gli early adopter delle tecnologie (in genere lascio che sia qualcun altro ad essere sulla bleeding edge).

Ho comprato il Nokia 770 - una roba che non e' un telefono, non e' un PDA... ma è quello che da anni desideravo.

Un browser internet tascabile, con uno schermo dignitoso, email, Internet Radio, Video streaming. 
Niente rubrica, calendario, niente programmi (almeno per ora) al di là di quelli focalizzati sul mondo della rete (a parte un paio di giochi).

Si collega a Internet via wi-fi (quindi se si trova un hotspot aperto - e di cui si ha il permesso - ci si collega a gratise) oppure via blutooth collegandosi ad un telefonino.

A questo punto si puo' bloggare (lo sto facendo seduto al bar, senza spendere una lira, mentre ascolto una radio di blues in cuffia e ogni tanto do' un occhio ai flussi RSS che mi interessano di piu')... gestire la mail da remoto... e nella prossima release del sistema operativo arriveranno pare anche la telefonia VoIP e l'Instant Messenger.

E magari, quando sara' riaperto al pubblico Writely (il text editor o line appena comprato da Google) si potranno scrivere documenti... (scherzo, il device non ha una tastiera, ne ha una sullo schermo - lenta da usare - e pare che il riconoscimento della scrittura faccia abbastanza pena... pare pero' sia possibile hackerare il 770 per collegare una tastiera blutooth... io nel frattempo mi tengio stretto il mio Treo600 e la mia tastiera IR, con cui scrivo quasi tutti i miei articoli).

by the way, il Nokia 770 non e' privo di difetti e non e' di certo un device che avra' un larghissimo successo di pubblico a breve. Ma...A questo punto, avere internet sempre in tasca... e magari gratis... cosa potrà comportare?

mercoledì, marzo 08, 2006

Pubblicità TV personalizzata: qualche altra riflessione


La pubblicità televisiva personalizzata, interattiva o meno che sia, è stata per lungo tempo una delle Arabe Fenici del mondo dell’advertising.

Il fascino di questa soluzione è la possibilità di trasformare uno dei Media più mass che esistono in uno strumento di Marketing Diretto, di poter affiancare ad una diffusione a tappeto dello spot uguale per tutti una diffusione più ad hoc di messaggi pubblicitari, segmentando il target in modo mirato. Rendere lo spot un elemento che non sia più percepito come fastidioso o irrilevante – in quanto lontano dai propri interessi – e trasformarlo in un contenuto in grado di interessare (se non proprio di attirare) l’audience.

L’appeal della soluzione è evidente: da una lato permettere agli inserzionisti di raggiungere in modo più mirato e efficiente i propri target, pur sfruttando un media ad alto impatto emotivo. Dall’altro, per i mezzi, permettere di aggiungere valore ai propri spazi e, facendo leva sulle possibilità di personalizzazione cercare di vendere dei contatti a prezzi più vicini ai listini del Direct Marketing che a quelli dell’advertising.

La TV via IP, come accennato nel post precedente, potrebbe essere lo strumento che renderà possibile una maggiore personalizzazione dell’advertising – sia perché consegna “one to one” il messagio, sia perché, specialmente in modelli a pagamento, permette di identificare l’utente abbonato e di raccogliere informazioni su di lui.

Il problema della profilazione
Il primo passo della trasformazione in realtà del grande sogno della pubblicità personalizzata sta nella profilazione dell’utente, raccogliere informazioni sulla singola persona (o nucleo familiare) che guarda la TV, in modo da poterne tracciare un profilo, identificare gusti ed interessi e così via.

Di seguito, definire quali siano i prodotti / servizi che questo singolo “utente” può essere altamente interessato ad acquisire – ovvero quali siano gli inserzionisti per cui questo utente sia LA preda appetibile.

E però evidente quanto il limite del mancato riconoscimento della specifica persona che ha in mano il telecomando (il padre, la madre o il figlio tredicenne) limiti la capacità di costruire profili accurati e di erogare commercial su misura.

Le prime sperimentazioni
Anche se siamo ancora lontani dal modello della comunicazione one to one sulla televisione, sono già partire le prime sperimentazioni – ad esempio a supporto del lancio della linea aerea low cost TED (di United Airlines). In questo caso, sfruttando le possibilità della televisione via cavo, gli annunci comparsi erano personalizzati in base alla città in cui venivano ricevuti. In una fase iniziale da un punto di vista puramente di creatività – ma con una ovvia e facile estensione alla veicolazione di tariffe e promozioni specifiche per ogni singolo centro citttadino servito dalla linea aerea. Oppure per promuovere in tempo reale voli con scarso afflusso o sospendere immediatamente offerte promozionali in corso nel caso di esaurimento dei posti disponibili.

Sempre nel mondo del turismo, un certo numero di inserzionisti sta valutando la possibilità di realizzare molteplici versioni dei propri filmati pubblicitari, ad esempio enfatizzando, in uno spot per un resort turistico, in una versione la dinamicità e l’energia degli sport acquatici, in un'altra versione le attività come il golf o i casinò, in un altra ancora la cucina e il relax – veicolando poi questi commercial in modo mirato alle audience più adeguate.

La necessità di evolversi
E’ presto per dire se la fiammata di entusiasmo sia destinata, come sempre in passato, ad esaurirsi in un nulla di fatto.
E d’altra parte il mondo della pubblicità TV ha conosciuto poche vere evoluzioni nel corso dei decenni.
Se da un lato le emittenti non si può dire che siano state pervase da un senso di urgenza rispetto all’innovazione, dall’altro l’utenza televisiva sembra rappresentare il simbolo stesso della passività, ponendo in dubbio la sostenibilità di modelli interattivi.

Non si possono però ignorare i segnali d’allarme che giungono da oltre oceano, rispetto alla percezione degli investitori pubblicitari sulla capacità di comunicare con efficienze economicamente interessanti da parte della pubblicità televisiva “classica”. Con conseguenti riduzioni (in percentuale) dello share di investimenti pubblicitari allocati alla televisione.

Fenomeni quali l’uso dei videoregistratori, dei registratori digitali o dei servizi di “video on demand” (o quasi) offerti dagli operatori via cavo hanno portato milioni di telespettatori americani a guardare gli show “in differita” – e nel 90 per cento dei casi saltando gli spot.

Uno stimolo economicamente forte
Quello che è chiaro è che la TV, almeno nei prossimi anni, non potrà di certo venire sostituita come media chiave per le pianificazioni pubblicitarie; ma che il suo peso (e i suoi listini) rischiano di modificarsi e quindi di portare conseguentemente riduzioni nei fatturati generati dalle emittenti in termini di raccolta pubblicitaria.
Un pericolo che sta quindi stimolando molti operatori a investigare su modi nuovi di fare comunicazione in TV…