giovedì, settembre 28, 2006

Per testare la pubblicità, ti ficco nella macchina RMN...

Tornando sul tema del Neuromarketing...

Dai suoi inizi negli anni ’90 la sperimentazione in ambito neuromarkettariale è stata in larga parte basata sull’utilizzo di apparati per la risonanza magnetica nucleare (RMN), grosse macchine che permettono di controllare lo stato dei nostri organi interni, esaminare i menischi e di verificare quali parti del cervello vengono stimolate come risposta fisiologica ad uno stimolo esterno.

Si è così scoperto nel 2004 che, in una situazione di classico blind test Pepsi contro Coke, comunicare ai soggetti sperimentali che stavano bevendo la rossa non solo faceva cambiare di molto la percezione del gusto e la preferenza, ma metteva in azione la corteccia prefrontale, una zona del cervello adibita a funzioni “alte” di pensiero. Il che dimostrerebbe come (probabilmente) il cervello ripeschi le impressioni ricevute dalla comunicazione e dal branding, le sovraimponga ai messaggi che arrivano dai recettori che misurano la realtà e modifichi quindi le percezioni sulla base di idee preconcette, attivando specifiche zone del nostro apparato cerebrale.

In questi anni questa disciplina si è andata un po’ sotterraneamente sviluppando, attirando forti interessi da parte dei grandi investitori, con sovvenzioni e aiuti tenuti generalmente occulti, per non incorrere in campagne di boicottaggio dei gruppi di oppositori a questo tipo di approccio alla persuasione commerciale. E’ infatti nato un movimento di rigetto verso queste tecniche da parte dei difensori della società, che vedono in queste ricerche un pericolo in termini non solo commerciali ma in quanto si teme potrebbero portare allo sviluppo di processi in grado di controllare mentalmente la popolazione da parte dei poteri politici.

Anche se dunque non se ne parla quanto si potrebbe, è certo che si sta comunque procedendo a gettare le basi di questa nuova scienza, con l’obiettivo di scovare a medio termine i meccanismi che meglio eccitino specifiche parti del cervello. Studi commissionati da Daimler-Chrysler hanno ad esempio scoperto che le auto sportive stimolano i centri di autogratificazione – le stesse aree che rispondono all’alcool e agli stupefacenti. Molto interessante. Si spiegano una serie di cose sulle stragi del sabato sera.

Come tradurre questa informazione in uno storyboard migliore è poi, ovviamente, tutto un altro paio di maniche.

Possiamo dunque pensare ad un futuro dove le agenzie noleggeanno abitualmente queste macchine presso qualche clinica privata e ci infileranno dentro membri rappresentativi del target? Cavie umane che, volta infilati nel macchinone, verranno sottoposte allo spot in test, per valutare oggettivamente – attraverso il lo studio delle immagini cerebrali - la capacità dell’annuncio di modificare la propensione all’acquisto e l’evoluzione della percezione della marca?
Lo scenario, posto in questi termini, appare non solo lugubre ma anche improbabile – da sempre si sono criticati i test “scientifici” sull’advertising per la loro necessità di svolgersi in un laboratorio e quindi non riproducendo le condizioni normali di fruizione (credo che nessuno di noi abbia ancora abbandonato il divano a favore di una macchina RMN come luogo deputato per godersi le partite di Coppa Uefa).

Per approfondimenti potete partire da questo articolo di Apogeo.

Curiosamente negli ultimi tempi non se ne è sentito parlare più molto, di questo tipo di ricerche. Saranno arrivate ad un punto morto o proseguono alacremente sotto una terribile cappa di segreto, stile X-files? ;-)

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