Visualizzazione post con etichetta giornalismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta giornalismo. Mostra tutti i post

lunedì, novembre 19, 2012

Comunicazione: provassimo a fare qualcosa di utile?


A furia di inseguire l'Engagement, si finisce per vivere di sovrastrutture, di wow factor. 

Non sorprende che – tra il mutamento culturale e il momento di crisi che rende più cinici/realistici – un po’ di persone abbiano la sensazione che certe marche suonino il valzer mentre il Titanic affonda.

Una soluzione interessante (certamente non adatta a tutte le marche e tutte le situazioni) può essere quella fare invece cose concrete per le persone. Mettendo in piedi attività che possano migliorare, risolvere, alleviare certe situazioni.

Ne parlo nel mio più recente articolo per Tech Economy, che potete leggere qui.
Enjoy.

giovedì, aprile 12, 2012

iPad Corriere: le mie impressioni sulla nuova app

Visto che ho avuto il piacere di vedere ieri in anteprima la nuova app del Corriere della Sera (disponibile oggi), vi racconto un po' quello che ho visto e le mie impressioni.

Cercando di essere pragmatico, business oriented e non ideologico. Poi so che ci sarà chi si schiera contro/pro a priori, va benissimo.

E forse la cosa più interessante (per me, per i miei interessi) non è tanto la nuova app (che comunque a me piace di più) ma quello che ci hanno raccontato del loro business. E di come fanno le cose.

Cominciamo con ordine...

Cosa è cambiato
Qui vi parlo dell'app in se'. E delle sue novità di prodotto.
Sotto invece faccio una disamina più approfondita da planner, più strategica, di business e marketing. 

La novità principale dell'app, quella vera, è l'interfaccia.
Si affianca allo "sfogliatore" (l'edizione pdf analoga al quotidiano di carta), una nuova interfaccia, anzi due. Anzi in fondo tre. Se andate in fondo al post vedete le foto ufficiali.

La prima è una tag cloud, attraverso la quale arrivare alle notizie più "hot". Ma questa  non mi ha entusiasmato (come vedrete, però, sono fuori target).

La seconda una mappa del globo, per accedere alle news con un criterio di localizzazione geografica.

La terza invece è una visualizzazione molto più "web", molto più digitale, molto più alla Flipboard o quelle cose lì. Che a me non dispiace per nulla. Vedi immagine.

Detto questo, se avete un iPad, provate l'app, che dovrebbe essere offerta gratuitamente per una settimana; così vedete di cosa sto parlando, perché ho molte cose da dire e la grafica, l'interfaccia dell'app la potete vedere e capire molto meglio provandola sul vostro iPad.

Belle le infografiche interattive fatte in HTML5 (specialmente per i non - geek, quelli non ancora saturati come me da queste maledette infografiche che mi hanno intasato Pinterest)

La cosa interessante è esiste una logica: target diversi per interfacce diverse.

Quella nuova o come la chiamano loro "nativa" sembra essere più adatta ad un target che vuole il Corriere sul tab ma che ha finora criticato il pdf duro e puro perché poco "digitale". E qui sono in una logica di allargamento del loro pubblico pagante, che sembra di capire vorrebbero quasi raddoppiare.

La versione pdf è per un pubblico che si trova meglio con una presentazione più tradizionale. 

Ma non è solo questo. In effetti hanno portato la nostra attenzione sul fatto che in una visualizzazione "digitale" da aggregatore, tutte le notizie hanno lo stesso peso, importanza. O quasi. 

L'impaginazione da quotidiano tradizionale da' invece al lettore un segnale di cosa il direttore / la redazione, il mediatore informativo, ritiene più importante e cosa meno. Guidando l'opinione. 

Ed è anche questa una forma di content curation, mi sa. Che a qualcuno può piacere e a qualcuno no.

Chiaro quindi che anche solo il cambio di modello di impaginazione implica definire logiche di responsabilità, ruolo, potere (?) nel mestiere del giornalista. E qui si potrebbero scrivere dei libri.

Vabbé, comunque interfacce diverse, ognuno sceglie quella che gli funziona meglio o passa da una all'altra. 

Cambia l'advertising: nella versione pdf ci sono gli annunci del quotidiano di carta. Nella versione nativa ci sono degli sponsor, che ogni "n" click compaiono + banner in pagina.

Ora, il Corriere cerca (e in parte ci riesce) di vendere "il sistema" delle 4 piattaforme. A me immediatamente viene in mente che non solo piattaforme diverse ma anche visualizzazioni diverse implicano target diversi e quindi a tendere vendite / strategie più mirate.

Non solo: visto cosa fanno con le infografiche, il passo ovvio e naturale è sviluppare dell'advertising più "interattivo", ricco e coinvolgente... 

(obiezione, vostro onore: tale adv non solo costa per il media ma costa molto di produzione. Coi tempi che corrono, in cui si tagliano i fee alle agenzie e si cerca di fare le nozze coi fichi secchi, quanti saranno a spendere soldi veri per produrre un annuncio? Forse le solite multinazionali che ci faranno neri....ma questo è un altro discorso).

Va inoltre segnalato il meteo (moolto bellino), i giochi, il Corriere TV...
Poi loro sembrano pronti ad ascoltare le critiche e a fare evolvere l'app. Vedremo.

Cosa non è cambiato

Non è cambiato il modello di business e il prezzo.
D'altra parte, visto che il business gli funziona... ormai possiamo rassegnarci: che tirasse un' aria di pay per content lo si vedeva da anni. e parecchia gente non trova la cosa scandalosa. E paga.

Dato interessante: nel giorno medio hanno 63.000 utenti paganti (ovvero: quelli che hanno comprato l'abbonamento all'app, quelli che sono abbonati al Corriere ore 7 - di carta - e hanno in omaggio l'app, quelli che hanno comprato un tablet con l'abbonamento gratis per un anno... pagato da Vodafone o Samsung).

Da riflettere sul target: probabilmente molti dei lettori di questo mio piccolo blog gratuito non pagherebbero mai per il content. Ma noi non siamo il loro target. Ne parliamo dopo.

Non è cambiato il content
L'app contiene i contenuti giornalistici del Corriere della Sera. Qui c'è una serie di discorsi da fare...

1) Alle 2345 chiude il Corriere di carta. Alle 2346 parte la redazione dell'app, che prende i contenuti, li "spacchetta" e li mette nella nuova interfaccia. Li adatta e li arricchisce di infografiche interattive, video etc etc. E alle 6 sono disponibili sull'app.

2) I contenuti dell'app NON vengono normalmente aggiornati durante la giornata. E la cosa ha senso.

Il Corriere infatti si vede ormai (così dichiarano) come un sistema informativo basato su 4 piattaforme: carta, web, smartphone e tablet. Che hanno modalità di lettura (e in parte, target) differenti.

Dai loro dati emerge che le persone usano il tablet principalmente a casa, al mattino e alla sera. La sera non si legge il quotidiano, quindi resta l'uso mattiniero. In effetti, il 70% dell'uso della app nella sua versione precedente avveniva proprio al mattino.

A questo punto l'aggiornamento delle news durante il giorno ha poco senso - sull'app. Mentre viene fatto sul web - il corriere.it - che è fruito durante la giornata e dove la gente va effettivamente a cercare gli aggiornamenti.

Si riconferma la scoperta che la gente sta andando verso un utilizzo di device diversi per fare cose diverse (o la stessa cosa) a seconda del momento, contesto...

Sono però pronti a fare aggiornamenti o edizioni speciali del contenuto dell'app in caso di fatti grossi. Ma non regolarmente, almeno per ora: perché poterlo fare richiederebbe avere due altri turni di redazione, ovvero (mi sembra di capire) altre 12 persone da pagare solo per il tablet. E da quanto si vede, il gioco non vale la candela. 

Sul discorso delle interazioni/integrazioni sulle redazioni della carta, di Corriere.it, dell'app non voglio entrare.

Del resto la linea del Corriere (di carta) sta andando verso un giornale di approfondimento, più che di attualità. Interessante. 

Le "news", sul web - e il pensiero sulla carta / app? Arriveremo ad avere dei settimanali che escono tutti i giorni in edicola/tablet?

Già che ci siamo, parliamo di target. 

Estrapolando un po' quello che ci hanno raccontato e prendendomi forse delle libertà.. il target dell'app non mi sembra proprio geek.

Non siamo noi, abituati a usare Zite (like), Flipboard o Pulse. Target che forse non legge nemmeno più i giornali - e su cui ad esempio Facebook e Twitter, con le loro segnalazioni socialmente condivise forniscono una dieta mediatica molto diversa dall'italiano medio. Almeno per ora.

Il target dell'app sembra proprio essere la persona che vuole leggere il Corriere. In una modalità diversa / più comoda / figa.. fate voi, questo non lo so.
Che sceglie una fonte di contenuto che ritiene autorevole - un content che è "curato" e mediato da una redazione - quindi molto diverso (nel suo palinsesto) da quello mediato dai peer/"amici" o aggregato da feed.

Un target che quindi non sembra volere (solo?) la "notizia Internet", nel senso del tipo di giornale che si può regalare online e quindi con costi ridotti e poche persone. Un target che riconosce un valore a un giornale fatto da un team di 300 giornalisti, inviati etc etc.

Sul target geek, mi viene da concludere a titolo personale, forse non c'è un buon business da fare - al momento, la raccolta pubblicitaria non sarebbe interessante abbastanza? E quindi, aziendalmente le conclusioni sono facili. 
Almeno nel breve. Poi se un'azienda è furba, al mutare delle condizioni esogene si da' una regolata o una sterzata.

Piattaforma: a oggi solo iPad. Non è previsto Android, anche se hanno chiaro che prima o poi lo dovranno fare. 

Si riconferma che sviluppare su Android, sia per le diverse dimensioni degli schermi, sia per le note difformità fra produttori, è un discreto casino. E poi l'iPad permette una visualizzazione grafica e tipografica molto più bella (a me sta bene: in effetti anch'io uso l'iPad a casa.. e il 7" Android in giro).

Chiudo qui perché sono stato lunghissimo. Ma mi sono appassionato a vedere, dietro le quinte, le strategie. L'app è carina. Scatenatevi. Se riuscite, scatenatevi a pensare, che è il dono più prezioso di una persona di marketing, di uno stratega. E se non lo siete, che accidenti ci fate su questo blog? ;-)
















martedì, gennaio 10, 2012

Goodbye Apogeonline. Ma non starò certo zitto ;-)



Dopo qualcosa come sette (!) anni, si interrompe la mia collaborazione con Apogeo Online, il magazine che è stato in tutti questi anni uno dei punti di riferimento della cultura digitale italiana.

La scelta non è tanto mia quando della testata. Complice (credo) anche la crisi che rende tutto più difficile, l'editore ha comunicato una netta sterzata nella linea editoriale.

Se Apogeo online doveva rappresentare la presenza in rete della casa editrice Apogeo, nei suoi vari campi ed ambiti, da oggi sarà invece l'espressione di Apogeo Informatica. 

Di conseguenza Apogeonline si occuperà di "tecnologia praticata" (a supporto dei libri di tecnologia, software e simili, mi sembra di intuire). 


La webzine non pubblicherà dunque più articoli di approfondimento e di cultura come quelli attuali ma "segnaleremo cose in maniera più compatta e immediata, molto vicine alle tecnologie che poi insegniamo nei nostri libri ed ebook."

Peccato, si perde un pezzo importante della storia e della cultura digitale italiana; ma comunque mi sembra giusto che un editore (e quindi un'azienda) orienti i propri investimenti dove economicamente più utile per il proprio business.

Per quello che mi riguarda, questa è una linea editoriale dove non mi sembra possano trovare posto i miei contributi di marketing digitale, di comunicazione, di strategia.  Ergo, Goodbye, Adieux Apogeonline.

Questo non vuol dire però che stia zitto ;-)
Ci sentiamo tra un paio di settimane con una interessante novità. Su cui ricomincerò a pubblicare le cose che su Apogeo non avevano più posto. 

Stay Tuned.

giovedì, luglio 07, 2011

I social media? Sono come la meccanica quantistica... ;-)


Non tutti i manager sono stupidi. 

Non tutti i clienti sono geneticamente modificati in modo da non poter capire le nostre verità.

Spesso è solo che per loro i social media sono complicati quanto la fisica quantistica (cui, in effetti, assomigliano).

Un pezzo per Apogeo in cui illustro le similitudini tra i Social e la fisica dei quanti (il pezzo è meno ostico di quanto possa sembrare, comunque)

lunedì, marzo 28, 2011

Tu, cosa faresti per 5 Dollari?

Grazie ad Internet ci avvieremo mai verso un economia del baratto? O allo scambio di prodotti e servizi direttamente tra individui? Lo si fa in pubblicità, ci si prova a farlo con piattaforme online per le persone…

L’idea di Fiverr è semplice ma non semplicistica. 

Scoprire cosa la gente è disposta a fare per cinque dollari. E scoprire se ci sono degli acquirenti per queste offerte. 

Maggiori informazioni nel mio pezzo settimanale per Apogeo, che potete leggere qui.

mercoledì, febbraio 23, 2011

Controlla se il politico mantiene le promesse

Il progetto Openpolis si propone di permettere il controllo su cosa dicono (rispetto a cosa hanno detto) i nostri politici eletti… 

per riprenderci  il controllo su quello che dicono (e dicevano) i nostri politici, riattivando una predisposizione alla partecipazione consapevole e informata...

Se interessa il tema, potete leggere il mio articolo qui


lunedì, gennaio 10, 2011

I cd durano poco, un microbo è per sempre


Che problema l'archiviazione. Ma quanto durano i supporti di memorizzazione? Un CD dopo due anni perde i dati? E un HD?

L’umanità ha sempre cercato l’immortalità. Non potendola raggiungere letteralmente, ci si è accontentati di inseguirla attraverso l’eredità della memoria. Ma i supporti ci possono tradire... se interessa, leggete l'articolo su Apogeo.

lunedì, ottobre 18, 2010

Due parole su Slideshare


Nuova puntata del mio corso di emarketing (o marketing digitale) per le PMI e comunque per i non esperti.


In questa puntata si parla di Slideshare, il luogo dove condividere presentazioni - dando alcune (sintetiche e semplici!) indicazioni su come questo strumento si può usare per il marketing e la comunicazione aziendale.

Lo potete trovare qui. Buona lettura.

sabato, settembre 11, 2010

Articolo sui videogame per Panorama First

Se a qualcuno frega qualcosa, su Panorama First (allegato a Panorama attualmente in edicola) c'è un mio pezzo sul futuro dei videogames...

lunedì, giugno 14, 2010

Le aziende possono "pianificare" Internet?


E' possibile controllare, pianificare, gestire Internet come un media per la comunicazione aziendale?


In fondo è sempre la stessa storia: di fronte a una novità cerchiamo sempre di controllarla. Ma le applicazioni di internet, per la comunicazione, non sono proprio i posti più adatti per ragionare in termini di pianificazione

Ne parlo nel mio articolo settimanale per Apogeo, che potete leggere qui (se interessa).

lunedì, maggio 10, 2010

Da Apple con furore, ecco la pubblicità mobile



iAd, la piattaforma di advertising mobile di Apple costa cara e disintermedia le Agenzie di comunicazione. Ciononostante l’accoglieranno con passione?

O l'accoglieranno con furore dati i costi degli spazi, il fatto che creatività e produzione per un po' stanno sotto il controllo di Apple e che i costi di produzione costano un altro botto?

E sapendo che per essere i primi a fare pubblicità nella app APple il chip di entrata è di 1 milione di dollari di budget, sarà mai possibile che ci sia un'azienda italiana tra i precursori? (vabbè che l'iPad lo mettono in vendita oggi quindi ci vorrà un pochino per fare una base installata sensata)

Qui c'è sotto un grosso rischio di disintermediazione, proseguendo un trend in cui il media vende anche la creatività e tenta di rendere inutile l'agenzia di pubblicità. E' un altro atto in una sporca guerra in corso, lontana dai riflettori ma potenzialmente senza esclusione di colpi? ;-)

Questo è il tema del mio nuovo articolo settimanale su Apogeo (lo leggete qua), su un tema che è da un po' che sto tenendo d'occhio

lunedì, maggio 03, 2010

Siamo sociali, metti pure il naso nel portafoglio

Blippy, il nuovo microblogging che permette di far sapere al mondo dove buttiamo i nostri soldi. 

l’idea di Blippy è una piattaforma di microblogging semplice ma allo stesso tempo terrificante: far sapere al mondo quanto spendiamo, quando, presso che vendor e per cosa. 

Ma perché Blippy è criticabile e aNobii no? Qual'è la differenza tra condividere il modo in cui sperperiamo i soldi e condividere quali libri stiamo leggendo (e dunque abbiamo probabilmente comprato)?

Nel mio nuovo articolo per Apogeo (in cui per altro non parlo, per questioni di spazio, del problema di privacy che ha avuto Blippy, che si è perso un bel po' di dati...) affronto questi temi.


lunedì, aprile 26, 2010

L’arte è la mano destra della natura. (E la pubblicità?)

Se l’arte è lo specchio della vita e l’advertising influenza la nostra vita, qual è la conclusione logica? Forse che una volta l’advertising era lo specchio dell’arte – ma ora non lo è più. O forse lo è in un modo diverso.

I legami tra advertising e arte sono (stati) molto forti. Toulouse-Lautrec arrotondava disegnando affiche per il Moulin Rouge,  i poster di Dudovich hanno un posto nel mio cuore. I Caroselli e le pubblicità del dopoguerra contenevano, a volte, gioielli artistici.

Ora, tutto questo non c’è più. Colpa di noi markettari, dei planner, dei Director, delle multinazionali e sopratutto del target. 
Target che ha smesso di comprare in modo romantico, facendosi sedurre da poetici messaggi commerciali. Dall’arte siamo passati all’advertising. Se l’arte è fatta per turbare, la scienza rassicura. (Georges Braque). E anche la pubblicità.

Oggi siamo più duri, razionali e molto più distratti. Senza una strategia, un posizionamento micrometrico i prodotti non si vendono più. Troppi spot meravigliosi abbiamo visto… di quelli che tutti si ricordano (ma senza ricordarsi la marca).

Chiaro, da una inossidabile strategia iper razionale, difficilmente escono pubblicità che stupiscono, anche se vendono, ed è questo in genere l’importante. Esistono però, fortunatamente, eccezioni, date un’occhiata a absolutad.com.

Eppure, tra marche ed arte, il feeling non è scomparso, né tra i pubblicitari ed arte (e non intendo solo la famosa collezione d’arte dei Saatchi).

Da un lato abbiamo tutta una serie di azioni “a favore dell’arte” condotte dalle marche. Azioni su un target culturalmente elevato? Scarico di utili attraverso operazioni fiscalmente deducibili? Creazione di pretesti di comunicazione e RP? 

Il mio lungo trekking sulla strada dell’advertising (camminando sulla carreggiata, ho sempre cercato di evitare il marciapiede) mi fa temere un po’ del cinismo di noi addetti ai lavori. Ma è giusto essere ottimisti e pensare che qualche mecenate ci sia, motivato verso una responsabilità sociale dell’azienda che proponga comunicazioni in grado di stimolare la mente e le coscienze. Facendo volare più alto il target e il fuori target.

D’altra parte l’arte è un boomerang, e se l’abbiamo cacciata dell’advertising è tornata dalla finestra e se ne è impadronita autonomamente, senza il permesso. Del resto arte e pubblicità hanno qualcosa in comune nel DNA… diceva Balzac “Chi dice arte, dice menzogna”, proprio ciò di cui accusano in troppi noi pubblicitari.

Mi viene un altro pensiero.
Nel Medio Evo e oltre, Chiese e Palazzi erano – come sapete – dei media. In una società analfabeta, pittura e la scultura erano i mezzi più d’impatto per trasferire messaggi, emozioni, stimoli, brand image della casata o della congregazione religiosa. E molti andavano in chiesa per l’arte più forse che per la funzione. Così come noi, a volte, ci troviamo in situazioni in cui l’advertising ha un valore estetico e di interesse ben superiore al programma che interrompe (o che la interrompe?).

Eventi troppo rari purtroppo, la maggior parte delle comunicazioni non riesce a bucare il mio disinteresse e quello di molti altri fruitori di media. Non sempre la qualità è alta (anche se i brief sono impeccabili, e li si vede bene nella filigrana del comunicato) e si capisce perché altre forme di comunicazione stiano mordendo alle caviglie, come un branco di lupi siberiani, la pubblicità classica che non si dà un colpo d’ala..

Aspettate, sto forse dicendo che la pubblicità è il nuovo affresco? Che pensiero azzardato mi sono permesso. Martirizzatemi pure ma, a posteriori, non immortalate il mio martirio in un quadro; preferisco uno spot.

(Articolo originariamente pubblicato su ADV, per gentile concessione dell'editore...dato che questo articolo non è mai stato reso disponibile online ma solo sull'edizione cartacea della rivista, abbiamo pensato fosse utile renderlo più ampiamente fruibile al popolo della rete...;-)

venerdì, aprile 09, 2010

Si incontrano, si piacciono, si finanziano.


Sulla falsa riga di Meetic e simili, arriva un servizio di dating online per organizzare incontri di investimento.

Il mio articolo settimanale su Apogeo, che potete leggere qui

venerdì, gennaio 22, 2010

È giusto che Google paghi la cultura francese? (Google Tax)



Una commissione del governo francese suggerisce che tassare il motore di ricerca ( e un po' di altri Big Player) sarebbe una buona idea per dare ossigeno all’industria cultural-musicale - dando vita alla cosiddetta Google Tax.
Noi, che siamo sempre più avanti, lo facciamo in modo diverso con la SIAE-Tax...
Se interessa l'argomento, leggete il mio pezzo settimanale su Apogeo

lunedì, dicembre 14, 2009

In un mondo 2.0, a che cosa serve la pubblicità?


La comunicazione aziendale serve ancora?
Alcuni ragionamenti intorno alla differenza tra servire ed essere servito, su Apogeonline (lo leggete qui) ed il mio parere sull'argomento...

venerdì, dicembre 04, 2009

Due donne su Twitter


Due donne molto diverse ci parlano su Twitter. Una lezione per le marche e chi fa il marketing del nuovo millennio - ne parlo su Apogeo On Line nel mio nuovo articolo.


Una riflessione sulla personalità, sui personaggi e su come le marche possono usare lo strumento per relazionarsi con le persone.

lunedì, settembre 21, 2009

Il mondo: 9000 Euro/anno per il content digitale

Time is money!
In un panorama dove la strada del pay per content (probabilmente cruciale per la sopravvivenza di molte testate) sembra passare per i micropagamenti, c'è chi persegue la strada dei macropagamenti - ovvero far pagare il content online un botto, ovvero Il Mondo, ovvero 9000 Euro l'anno.

Sapendo che l'abbonamento all'edizione cartacea costa 34 Euro, come si giustificano gli ottomilanovecento e rotti euro di differenza? Semplice: dando le notizie un giorno prima.

In effetti, una delle teorie del pay per content è proprio quella che per far pagare il contenuto bisogna dare un ottimo motivo per far tirare fuori i soldi per un qualcosa che non sia altrimenti disponibile, in modo comparabile, gratuitamente.

Il servizio di abbonamento premium prevede la fornitura di un pdf della rivista un giorno prima dell'uscita in edicola - dando quindi (idealmente) un vantaggio a quegli operatori professionali che fanno della tempestività un fattore critico del proprio business (ad es. nel mondo della finanza...) un pubblico disposto a pagare per sapere per primo per poter agire per primo.

A quanto riporta Affari Italiani, sarebbero già un centinaio gli abbonamenti sottoscritti (= 900K€...)

giovedì, luglio 02, 2009

Lost Marketing: Un portafoglio si aggira per gli Stati Uniti (ADV Reprint)

Come già anticipato, sto ripubblicando sul blog i miei articoli pubblicati su ADV. Eccone un altro... (per gentile concessione dell'editore etc etc)

In tutto il mondo, ogni anno, milioni di portafogli vengono involontariamente persi. Ma quanti si smarriscono per colpa della creatività degli uomini di marketing?

Nel Guerilla Marketing, a quanto pare, per vincere bisogna saper perdere.

Non nel senso olimpico del fair play ma proprio nel senso di smarrire artatamente oggetti. Almeno questo pare essere il senso di una serie di operazioni di Guerilla che hanno colpito il pubblico nel profondo. Nel senso dell'avidità. O nel senso del buon samaritanesimo (quest'ultimo ovviamente più diffuso nel pubblico).

Sia come sia, un portafoglio per terra o in un taxi è difficile trattenersi dal raccoglierlo, ed una volta raccolto aprirlo – rendendosi un inerme bersaglio per operazioni di marketing non convenzionale, con le difese completamente abbassate.

Scampa all'inferno e fatti una birra

Difficile dire chi sia stato il primo ad usare questo strumento. Tra le semine più classiche si deve però citare l'iniziativa di Charitycounts.com in cui sotto Natale (1999) 8000 portafogli sono stati “smarriti” nelle strade di New York. All'interno una semplice card, un po' come quelle dei monopoli. Un buono valido per “Get out of hell free”, scampare dall'inferno. In cambio (ovvio) di una donazione, acquisendo meriti ed indulgenze.

Meno generosa l'iniziativa messa in pista da Carlsberg nel 2005, mirata a diffondere informazione sul proprio prestigioso prodotto attraverso la disseminazione degli artefatti in librerie, bar, entri commerciali nelle zone di Chicago, Boston, Las Vegas, New York, San Francisco e Philadelphia. All'interno del portafoglio, un passaporto. Ma al posto dei dati dello sventurato possessore, 12 pagine di informazioni sul prestigioso prodotto delle birreria danese (che ha dato il proprio nome anche al Saccharomyces carlsbergensi, lo speciale lievito che rende la loro birra così buona). Incluedendo anche istruzioni su come chiedere una Carlsberg e brindare in oltre 30 lingue diverse.

Il tema del falso documento di identità, altamente impattante (almeno in assenza di significative somme di contanti all'interno del portafoglio) è stato ripreso in Svezia. Le strade di Stoccolma, Malmo e Gothenburg sono state disseminate di portafogli contenenti una falsa carta d'identità del celebre (per gli svedesi) attore Niklas Andersson. Il tutto, per promuovere il lancio del film “Du och Jag".

La sinergia tra il soldo e il portasoldo

Anche le banche non hanno esitato a servirsi di questo mezzo, per altro affine alla materia prima trattata, in una relazione contenitore/contenuto. Così Washington Mutual ha deliberatamente abbandonato 15.000 portafogli a Chicago, con un voucher (del valore fino a 50 dollari) stimolante le “vittime” a recarsi per aprire un conto presso questa banca poco convenzionale che ha peraltro investito in numerose altre azioni di Guerilla per il proprio lancio sul mercato.

D’altra parte il rapporto soldi/portafoglio è intuitivo e non sorprende che altri lo abbiano intuito e utilizzato. Un “bravi” quindi anche a quelli della rivista economica brasiliana Estadao, che ha sparso per strade e panchine portafogli contenenti il messaggio "Hai trovato un portafoglio, adesso trova il modo di riempirlo di soldi" (leggendo la rivista…) .

Ultimamente, almeno per variare un po', si sono iniziati a perdere anche mazzi di chiavi, come nel caso della Nissan Altima. Al costo di 100.000 dollari e con lo scopo di raggiungere un target giovane difficle da colpire con mezzi tradizionali, quelli di Nissan US si sono persi 20,000 mazzi in bar e locali pubblici. Il messaggio era contenuto in un portachiavi, che invitava chi trovasse le chiavi a tenersele. Tanto la Altima si avvia senza chiavi (nel senso che ha un sistema tecnologico avanzato, non che è facile fregarsela con una forcina da capelli…). Il link tra il Guerilla e la registrazione/profilazione del cliente avveniva poi invitando a visitare il sito dell’operazione (www.altimakeys.com) e a partecipare ad iniziative promozionali con i soliti premi e sconti in palio.

Oggi il portafoglio, domani…?

La rapida diffusione di questa tecnica rischia di renderla meno efficiente (ma di fronte ad un portafoglio smarrito, la tentazione affiora sempre). Più preoccupante è immaginarne le possibili estensioni.

Già si parla di smarrire telefoni cellulari (o forse televisori?) per mettere in mano al target un media personalizzato che attiri e focalizzi l’attenzione e che possa diffondere messaggi promozionali che buchino il disinteresse.

A tendere si teme un estrapolazione verso lo smarrimento di frigoriferi, lavatrici, cani, bambini o rompighiaccio per le strade delle nostre città, in una spirale inflazionistica tesa a raggiungere l’attenzione sempre più elusiva dei nostri target. Con il rischio a lungo termine che le autorità cittadine pongano stretti limiti al Guerilla Marketing (cosa già avvenuta negli US) anche solo per ragioni di impatto ambientale…

venerdì, giugno 12, 2009

La Pubblicità User Generated e il cane 2.0…(ADV Reprint)

Sempre più numerose le iniziative volte ad affidare la progettazione e la realizzazione degli spot pubblicitari agli utenti. Funzionano?

(Articolo originariamente pubblicato su ADV, Maggio 2007)


Ammettiamolo: siamo stati militarmente occupati dalle truppe del 2.0. Al grido di “User Generated Content !” ci hanno invaso i templi della musica, dell’audiovisuale, della notizia.


Ma ora hanno osato infrangere il più terribile dei tabù: quello della pubblicità creata dai non addetti ai lavori.


Dilettanti allo sbaraglio

Siti come Zooppa mettono oggi a disposizione delle masse oppresse (dall’advertising top-down) concorsi per la produzione di video pubblicitari. I materiali realizzati sono votati dal pubblico, che elegge i vincitori che portano a casa un premio che può raggiungere i 3000 dollari. A questo punto il committente (come TomTom o Greenpeace) decide cosa farsene delle proposte ricevute.


Nella stessa direzione vanno XLNTads, ViTrue o Current.tv, la TV online per i giovani lanciata da qualche anno dall’ex vice-presidente Al Gore (con premi che arrivano teoricamente ai 50.000 dollari). Grandi marche come Doritos, McDonalds, Chevrolet, Sony o MasterCard hanno battuto questa strada con iniziative autonome, per non parlare della Fiat 500 o di Pepsi che al pubblico fa ridisegnare le proprie lattine.


Le Agenzie pronte a lottare casa per casa

La risposta non si è fatta attendere ed in tutto il mondo i professionisti della comunicazione hanno iniziato a prepararsi per vendere cara la pelle (spesso equivocando sul termine Guerilla Marketing – che non significa creative directors con la faccia dipinta in colori mimetici).


Visto l’impatto di Internet su comparti come quelli del turismo, della musica o del software, è normale salga la pressione a chi rappresenta la parte “tradizionale” del business. D’altra parte c’è da domandarsi quanto lo User Generated Advertising (UGA) sarà veramente in grado di togliere business alle agenzie.


Il dilemma è antico: sarà più creativo un professionista navigato o un inesperto ma motivato appassionato? Se mi permettete, forse lo è di più il secondo. Ma di una creatività spesso tale perchè non focalizzata: quando ero Account Director su Pepsi, ero quotidianamente perseguitato da amateurs decisi a vendermi bellissime idee per spot miliardari… senza avere idea delle necessità o dei budget della marca.


La povertà tragica/strategica degli user ( e la inquietante sinteticità dei brief loro passati online) pone dunque un serio limite al raggiungimento di risultati in termini di rafforzamento della marca o di generazione delle vendite. E a quella si deve aggiungere la povertà dei mezzi a disposizione del dilettante medio.


E’ tutta una questione di RP o c’è un’idea?

Insomma, il rischio è che dall’UGA nascano idee carine e postmoderne (o meglio ‘poststrane) ma slegate da strategie di comunicazione e con valori di produzione minimalisti.


Commercial insomma teoricamente poco efficaci, quasi impresentabili se non rappresentassero una buona opportunità di generare news value. Di costruirci un meccanismo di relazioni pubbliche che permetta di far parlare della marca ben più di quanto ci consentirebbe un normale spot. Di dare alla marca dei valori “moderni”, di condivisione del business con la propria utenza. Di far interagire con la nostra comunicazione.


Attenzione però, c’è anche il rischio di negare a priori un meccanismo interessante: quello di rompere certi schemi analisi-strategia-creatività che incanalano le aziende nel parlarsi addosso, sapendo già cosa attendersi dalle analisi di mercato e della clientela, adagiandosi nella comoda illusione di non aver bisogno di pensare troppo.


Il valore dell’UGA è forse proprio quello di scatenare la creatività del pubblico e, più che di fornirci materiali pubblicitari a bassissimo costo, di aprirci la visione a ciò che è la nostra marca, come viene vista, interpretata, proiettata. E come quindi ci viene restituita. In fondo questo è un processo strategico, più che creativo. Anche se può indubbiamente fornirci occasionalmente idee creativamente validissime… ma difficili poi da gestire nel delicato equilibrio diplomatico cliente – agenzia.


Per molti inserzionisti infine, l’UGA è quasi un disperato tentativo di rompere il muro dell’indifferenza verso la pubblicità patinata, troppo spesso invisibile per le giovani generazioni; proponendo inv

ece messaggi affini al target e appealing nella loro grezzità ( grezzezza? grezzeria?) perchè “fatti da noi” e non “fatti da loro”.


Non molto di nuovo sotto il sole

Pur con tutto i rispetto per l’evoluzione tecnologica, non dimentichiamoci che comunque da che mondo è mondo le aziende hanno sempre fatto ricorso al pubblico per la generazione di idee creative ( e di relative campagne di RP).


Indimenticabile per l’Italia il caso del logo dell’ENI – quello che generò 4.000 bozzetti inviati dal pubblico e sfociò nella scelta di quello che allora chiamarono il “cane a sei zampe” ma che oggi sarebbe indubbiamente conosciuto come Cane 2.0.