Visualizzazione post con etichetta marca. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta marca. Mostra tutti i post

lunedì, giugno 29, 2015

ROI più alto del 49% se investi sulla marca... (vs spingere in adv e basta :-)


Segnalo una ricerca piuttosto interessante, che ripropone verità che gli addetti ai lavori hanno da tempo già metabolizzato - ma che in certi casi sono poco capite da manager caricati a molla sul vendere a tutti i costi e subito (e, complice la crisi, li si può anche capire).

Allora, il titolone ad effetto è: "Un forte branding genera un ROI più alto del 49% rispetto a fare solo un forte advertising".

E, diciamocelo onestamente, messa così non è che significhi moltissimo :-) Ma sull'anatomia dei titoli ne disquisiamo un'altra volta.

La ricerca si chiama ‘The Brand Value Growth Matrix’ ed è un prodotto di Millward Brown, BrandZ e altri.

Il succo del discorso è che lo studio ha rivelato che c'è una fortissima differenza tra "spingere" in pubblicità e basta (ad esempio promozioni, hard selling etc...) e investire su una chiara identità di marca, una chiara business proposition... insomma, fare branding.

Insomma, gettare soldi verso i media rispetto ad avere una strategia, che metta la marca al centro :-)

Anche perché (mio commento) l'adv pressante, il bisogno di fare hard selling certamente è comprensibile... ma rischiamo di trovarci un ROI troppo basso, una marca a pezzi, che le persone non capiscono e non amano più, un business che riesce a vendere solo quando siamo in campagna e in taglio prezzo... mentre altri concorrenti possono spendere molto meno, perché sono una marca amata e interiorizzata :-)





















In sostanza i dati dimostrano una cosa molto semplice... "La pubblicità, da sola, insufficiente ed inefficiente - necessita essere sostenuta da una piattaforma strategica ampia e profonda"

Qualche numero: la crescita del valore della marca, a fronte di attività intense di advertising dove il branding non è forte, è del 27%; dove invece il brand è robusto e sostenuto e al contepo lo è anche l'advertising, la crescita di valore è del 168%. Se invece l'adv non è forte ma il brand è forte, si registra comunque una crescita del 76% 

I dati emergono dall'analisi condotta su 100 importanti aziende su un periodo di 10 anni, lavorando sulla 'Brand Value Growth Matrix'.

Per i dettagli, vi rimando alla pagina della ricerca... The Brand Value Growth Matrix’

mercoledì, maggio 20, 2015

KitKat cambia nome e diventa YouTube Break (in omaggio, la ricerca vocale)

Diciamocelo: KitKat è una marca aperta a un approccio molto laterale di comunicazione - e molto coraggioso: al punto di potersi permettere di giocare con il proprio brand, cambiare (temporaneamente) il proprio naming.

Chapeau.

Riesce dunque a far parlare nuovamente di se' sul fronte digitale e nuovamente lavorando con Google, dopo lo spettacolare caso del branding di una versione del sistema operativo Android, vedi:

http://robertoventurini.blogspot.it/2013/10/come-si-fa-innovazione-nel-marketing-il.html

http://robertoventurini.blogspot.it/2013/11/android-44-kitkat-unboxing-ma-e-quello.html

In breve: 600.000 barrette (da collezione, direi) saranno confezionate in Gran Bretagna rinominate come "YouTube Break"

Il pretesto sono i 10 anni di YouTube (maronna, come passa il tempo quando ci si diverte) e gli 80 di KitKat (ma dai?)

La ricerca vocale è parte del pacchetto: effettuando una ricerca vocale su Android, pronunciando "Kit Kat YouTube My Break" si verrà portati ad una selezione "curated" di video trending su YouTube (bah...)


Nestlé and Google have today announced they are joining forces to launch “YouTube my break” limited edition KITKAT® packs, as part of Nestlé’s ‘Celebrate the Breakers Break’ campaign. This is the biggest redesign of the iconic KITKAT® wrapper since the brand came to market 80 years ago.

On top of the packaging initiative, Nestlé is also using Google’s voice search technology to deliver the world’s most entertaining videos straight to its customers’ mobiles. Searching for “KitKat YouTube my break” on their phone, users will be introduced to a KITKAT® video followed by a playlist of the latest top four trending YouTube videos anytime, anywhere worldwide.

Ma, a quanto pare, il gioco del naming non finirà qui e lo snack del break cambierà prossimamente, tatticamente, nuovamente nome. In una logica di PR digitali (e non solo) ongoing. Stay Tuned.

martedì, marzo 17, 2015

Come scrivere un brand plan? #Strategiadigitale

Visto che il tema della creazione e della gestione della marca ha suscitato un certo interesse, proseguo nel selezionare e postare presentazioni, documenti, articoli che possano servire - specialmente visto che mi viene chiesto molto spesso di dare indicazioni di "robe da leggere" per formarsi.

Diciamo che questo post lo cataloghiamo alla voce "curated content".

Premesso che la pratica vale un milione di volte più della grammatica, vi segnalo questa presentazione, che dà delle dignitose basi per affrontare il problema di scrivere un "brand plan"

E, no, nonostante il cartoon che apre il post, la presentazione è seria.

lunedì, gennaio 19, 2015

Ricerca (scaricabile): la Rete incorona il Private Label - minor costo, stessa qualità

Segnalo questa interessante ricerca fatta da The Fool, attraverso un profondo e mirato ascolto della rete, sulla percezione delle private label.

Ma prima un caveat. 
Come tutte le ricerche  anche questa ha dei limiti. E le ricerche sull'ascolto ci fanno ascoltare solo quelli che parlano. Le cui opinioni possono essere o meno rappresentative di quelli che non parlano. 

Che a volte sono una maggioranza. Silenziosa. (per approfondimenti, si veda questo mio post).

 Detto questo, si riconferma che in tempo di crisi e di tagli alla comunicazione, le marche private dei supermercati rappresentano un competitor durissimo per le marche. 

In questo scenario complicato dove la Grande Distribuzione è un alleato insostituibile (perché ti mette in vendita i prodotti) e un concorrente temibile (perché i prodotti te li copia e ti fa una concorrenza molto dura).

Dove quindi per vincere è fondamentale l'innovazione continua e la comunicazione, per costruire la percezione della differenza tra la tua marca e quella del supermercato (sperando che esista davvero: è sempre interessante leggere le etichette e scoprire chi produce i prodotti a marchio commerciale).

Parliamo ora della ricerca, di cui riporto alcuni estratti. Dove una delle cose più interessanti è il fatto che in molti casi queste marche ben percepite, a marchio della catena, non comunicano sui social o non comunicano come potrebbero.

Dove quindi (ipotizzo) c'è un fenomeno di vampirizzazione della comunicazione del marchio imitato. La GDO lascia che i grandi brand costruiscano la percezione di una categoria di prodotto, di un tipo di prodotto, ingrediente, concetto... e poi cercano di fare in modo (principalmente con il packaging) di far pensare alle persone "ah, ecco, questo è uguale ma costa meno e va bene lo stesso".

Cito:

"Uno studio prodotto sull’analisi di migliaia di conversazioni della Rete relative alla attenzione e percezione dei prodotti a Marca del Distributore nella Grande Distribuzione Organizzata ed alla attenzione ai Social delle principali realtà di settore."

"Il consumatore sui Social apprezza i prodotti a Marca del Distributore, che ritiene uguali (quando non superiori) ai prodotti di Marca dell’Industria e ne discute sui Social scambiando esperienze e consigli."

"La diffidenza o la scarsa opinione verso questi prodotti è bassissima (inferiore al 6%) mentre per oltre un terzo (36%) dei consumatori che discutono online i prodotti a Marca del Distributore rappresentano un prodotto “a qualità uguale a quello a Marca Industriale”. Non solo: per una importante percentuale degli utenti (27%) della Rete il prodotto a Marca Privata rappresenta una scelta “smart”, soprattutto in un momento caratterizzato da stress finanziario verso le famiglie italiane, poiché classificato come “a stessa qualità e minore prezzo”. Una significativa percentuale del campione inoltre (30%) ritiene addirittura la Marca Privata “migliore del prodotto a marca industriale” soprattutto in funzione del rapporto qualità-prezzo e del comparto dei prodotti Biologici dove la Marca Privata pare rivestire un ruolo di primaria importanza nelle opinioni dei consumatori.

A questa attenzione da parte degli utenti non corrisponde invece altrettanta attenzione da parte dei principali Brand del settore: ben il 52% del campione dei 34 Brand indagati risulta assente da qualunque Social Network, con assenze eccellenti anche di marchi di primaria importanza sul territorio nazionale."

"Tra le Marche Private più discusse online appare in predominante posizione COOP, seguita da Eurospin, Esselunga, Carrefour, Lidl e Conad: gli utenti della Rete usano per informarsi e commentare i prodotti di Marca Privata i Social Network (24%), i Forum (26%) e ruolo fondamentale ancora una volta è rappresentato dai Blog (42%) mentre solo una esigua parte (8%) utilizza le news tradizionali come fonte informativa."

La ricerca è interessante e la potete scaricare qui:


Potete anche scaricare l'estratto della ricerca Brands & Social Media sulla GDO fatta dall'Universtà Cattolica e da Digital PR qui, ricerca per certi versi complementare:





martedì, ottobre 28, 2014

Il branding in 3 Minuti #StrategiaDigitale [Video]


Il Branding, ovvero le attività di creazione, definizione, manutenzione di una marca è una delle attività più alte e complesse che possa fare uno stratega, quindi un planner.

Purtroppo oggi viene fortemente sottovalutata... dalle aziende che, guarda un po', non hanno una marca forte.
E non capiscono perché aziende dalle marche fortissime spendano e continuino a spendere per lavorare sulla marca. Facciano strategie di branding.

E non capiscono perché le vendite vanno giù (eh, beh, se non sei percepito come qualcosa di speciale, meglio tu sia il meno caro del mercato)

Vabbè.

Allora, se non sapete di cosa sto parlando, e non avete le idee chiare su cosa sia un brand (NON E' IL LOGO!!) iniziate dal leggervi questo articolo di Wikipedia, che non è male:
http://en.wikipedia.org/wiki/Brand

Poi, se volete, questo video non è male, da' qualche spunto...



e questo racconta in termini didascalici (e divertenti) cos'è il branding:



Avete ancora qualche minuto? Guardatevi anche questo filmato:

mercoledì, maggio 28, 2014

#strategiadigitale - User Generated Marketing: cos'è e riflessioni. Approfondimento del manuale



Nel capitolo 10, a pagina 145, accenniamo allo User Generated Marketing; poi anche per questioni di spazio non approfondiamo il tema. Approfitto allora del  mio blog per fare qui questo approfondimento, riprendendo discorsi che avevo già fatto in passato...

Si definisce User Generated Content, in termini letterali, l'insieme di tutti quei contenuti che sono creati dagli utenti e in un qualche modo messi a disposizione dell'azienda. Quei contenuti che le persone sviluppano, spontaneamente, per farsi ambassadors, evangelisti, per testimoniare il proprio amore per noi.

Questo, almeno, in teoria. Nella visione più alta. Che dovrebbe più correttamente essere chiamata User Generated Marketing. Marketing fatto per conto nostro, a nostro favore. Spontaneamente o a seguito di nostri stimoli.

Nella pratica del lavoro della comunicazione, si è in realtà trasformato in una strategia / tattica che chiede, stimola le persone a svolgere contenuto a nostro favore. Si chiede di applicarsi ad attività di questo genere:
- sviluppo di innovazioni di design, addobbo
modifica dei nostri prodotti, con elaborazioni di tipo grafico o suggerimenti sotto forma di testi
- invio di foto o filmati che mostrano come il nostro prodotto viene usato, anche in contesti inconsueti
- redazione di storie basate sui nostri prodotti e di come i nostri prodotti influiscono sulla vita dei nostri utenti
- invenzione di materiali di comunicazione per i nostri prodotti (ad esempio, questo)
- composizione di musiche o altre opere dell'ingegno ispirate dai nostri prodotti...

Non necessariamente perché ci amano; più spesso perché c'è una qualche forma di remunerazione, un concorso, un benefit. Come in questo esempio.

Va detto che negli ultimi anni la gente sembra essersi un po' stancata di sviluppare content per conto nostro (con notevolissime eccezioni). Si sono viste molte operazioni (tipicamente scrivi un racconto, manda una foto o un video) che sono andate quasi deserte. Troppo complesso, troppo impegnativo per un utenza superficiale, specialmente se non emotivamente coinvolta con la marca o motivata in altri modi.

La partecipazione spontanea può essere molto forte in quei casi, come Fiat 500, dove c'è un forte coinvolgimento emotivo con la marca o il prodotto, attesa, amore e passione per la marca, stima per l'azienda, identificazione del ruolo dell'utente (se' stesso) con quello di un esperto, di uno più avanti o intelligente perché ha saputo scegliere il prodotto giusto e intende far sapere a tutto il mondo quanto sia in gamba.

Questi casi non sono però purtroppo universali, e nella maggior parte dei casi il trasporto emotivo verso il nostro prodotto è modesto.

In alcuni (rari) casi di successo, si è riusciti anche a coinvolgere le persone in progetti di comunicazione - non tanto chiedendo loro di realizzare in outsourcing (a costi zero o comunque fuori mercato) proposte di campagne; quanto offrendo loro modo di partecipare con un loro contributo personale, come in questo caso di Toshiba + Intel.

Se invece ci amano, dobbiamo tenere conto che uno degli aspetti più interessanti portati dalla rivoluzione digitale è che la "ownership" di una marca può scappare dalle mani dell'azienda. E finire nelle mani delle persone, che la reinterpretano a piacimento - a volte lungo linee in collisione con l'impianto strategico che l'azienda si è data. Come racconto in questo mio post.

Un altro esempio, sul fronte spontaneo, è Ikea Hacker. In estrema sintesi è un blog in cui un certo numero di geni e di folli condivide col mondo quello che è riuscito a fare "hackerando" i prodotti Ikea, prendendo un pezzo pensato per un certo uso e scopo e trasformandolo, modificandolo, rivoluzionandolo. Condividendo poi il tutto con la comunità. 

Qui c'è gente che si appropria di un prodotto e lo reinterpreta. Che fa del marketing autogenerato per Ikea e lo diffonde - in maniera incontrollabile per l'azienda. Con tutte le opportunità e i rischi del caso.





mercoledì, maggio 14, 2014

#strategiadigitale - approfondimento: ci stiamo stancando delle marche? Qualche riflessione



(leggere la nota a fondo pagina, please, quando avete finito il post)*

Da più fonti, e ripetutamente, si parla sui media del nostro settore di una crescente disaffezione verso il sistema delle marche, da parte delle persone abitanti nel mondo occidentale sviluppato (invece, nei paesi di recente sviluppo, le economie emergenti, l'adesione al sistema delle marche è ancora molto più forte).

In effetti, in questi ultimi (diciamo) 50 anni, le marche hanno fatto di tutto e di più per farsi sentire vicine - normalmente più a parole che con i fatti.

Hanno (abbiamo) costruito "mondi emotivi di riferimento", ci hanno raccontato storie (sia nel senso dello storytelling che in quello dell'imbonimento, dipende dalla serietà dell'azienda).

Ora, se comunque siamo overall un po' stufi di questa relazione ossessiva con la marca, è eccessivo il grido "Le marche sono morte" che - da posizioni spesso molto ideologiche e non pragmatiche - da qualche tempo, periodicamente, si sente levare.

Secondo me ci sono alcune riflessioni che non possiamo evitare di fare:

1. Se non ti attacchi alle marche, a cosa ti attacchi, per definirti come persona? Discorso vecchio, che ho fatto molte volte.

Specialmente in un mondo (e mi riferisco all'Italia) dove la cultura media sembra essere in preoccupante declino, dove il gusto, il senso delle cose, il senso della vita hanno lasciato spazio a una incultura e quindi a un pensiero debolissimo, a cosa attaccarsi?  In base a cosa definirsi?

La crisi delle ideologie e della politica ci hanno lasciato orfani di punti di riferimento che ci definissero agli occhi degli altri .

Il Papa nuovo una mano la dà, sul fronte della religione, ma le rare volte che vado in chiesa vedo segni preoccupanti per la sopravvivenza del movimento, in termini di composizione demografica della comunità. Sui politici... beh, lasciamo perdere - anche il nuovo che avanza è uno strato di puro marketting su un vuoto pneumatico di idee e competenze.

Quindi marche e prodotti restano (ahimè, in mancanza di fattori più pregnanti) utili strumenti per far capire agli altri come ci immaginiamo, come vogliamo apparire. Esibire il prodotto di marca è una pratica scorciatoia per comunicare agli altri come vogliamo essere percepiti.

Ancora più forte quando ciò avviene con il prodotto tarocco; dove si estremizza il concetto che a quel tipo di consumatore non interessa la sostanza, la qualità merceologica dell'oggetto - interessa l'insieme degli intangibili, il suo apparire, il messaggio che dà grazie all'esibizione (contraffatta della marca, del logo). Gente che spende magari 50 euro per una falsa borsa Louis Vuitton ma che non ne spenderebbe altri 50 per una Lacoste vera ma senza coccodrillino :-)

2. Comunque una serie di marche di pregio hanno dei portati emotivi difficilmente smontabili nel breve periodo. Harley, Gibson, Ferrari, Fender, Armani... solo per citarne qualcuna. E normalmente per questo tipo di marche, c'è sotto un prodotto che è ben garantito nella sua qualità, oltre che nel portato valoriale, nella experience, nel godersi gli intangibili. Insomma la marca come promessa di un'esperienza.

3. Le persone sono d'altra parte parecchio vaccinate alla comunicazione emozionale/istituzionale/valoriale. 
Quello stile che ha fatto la fortuna di Mulino Bianco qualche decennio fa ora fa probabilmente nascere incredulità. Tirarsela troppo e associarsi a gridi di battaglia troppo alti (si vedano recenti fail di certe aziende) rischiano di trasformarsi in pericolosi boomerang.

E' finita l'era in cui alle marche le persone le lasciavano passare tutte - specialmente in un mondo dominato dai social, dove la cattiveria e la perfidia la fanno da padrona :-)

4. Anzi, esiste anche una visibile vena populistica: grande = cattivo, dove per definizione certe fasce di pubblico pensano che se una marca è grande e nota deve per forza appartenere ad un'azienda cattiva (fino ad arrivare al complottismo).

Dove piccolo è bello, verde è bello.. salvo poi voltarsi dall'altra parte e comprare in mercatini o negozietti oggetti magari realizzati con lo sfruttamento del lavoro minorile - perché quando il proprio portafoglio è semivuoto... insomma, fate quello che dico, non quello che faccio e in fondo a me basta non saperlo - occhio non vede (o non legge sui social), cuore non duole :-(

Alla fin fine, una marca forte è ancora uno degli asset più preziosi che può avere un'azienda. Ma non è più un asset così potente e così in grado di assolvere l'azienda dalle sue responsabilità com'era una volta. La sua costruzione e manutenzione è diventata ancora più complessa e delicata.

E la costruzione di una marca non si fa (solo) con ambiziosi progetti di brand platform, si fa con ogni atomo di comunicazione, ogni secondo, ogni riga, ogni immagine pubblicata, ogni espositore piazzato in ogni negozio.

Non si fa più (solo) con grandi ed emotivi spot girati da bravi registi.
Si fa definendo nei nostri piani come la nostra marca cambia, migliora la vita delle persone. Come davvero, in una logica di vero e potente marketing, risolve problemi, offre opportunità (oltre a cercare di pescare nel portafoglio dei clienti).

Come diciamo nel libro:

"Definire come interveniamo nella vita delle persone ci aiuta a definire i tratti della marca (da costruire o da mettere maggiormente in evidenza). Capire quale sia il nostro ruolo nel “sistema” ci permette di ottenere spunti per la comunicazione, per la definizione di come pensiamo di dover essere percepiti, di cosa andare a proporre alle persone in cambio dei loro soldi, della loro attenzione, della loro preferenza, della loro adesione al nostro programma politico o associativo e insomma, di qualunque cosa intendiamo offrire."

Per questo primo contributo può bastare, direi.

Che ne pensate? (commenti e discussioni meglio forse incanalarli sulla pagina Facebook del libro, che sta muovendo ora i suoi primi passi: 
https://www.facebook.com/StrategiaDigitale

Messaggio promozionale: se siete interessati a comprare il manuale, cliccate pure sul banner in alto a destra o seguite questi link...

(Versione su carta) : Strategia digitale. Il manuale per comunicare in modo efficace su internet e i social media

(Versione digitale): 
Strategia digitale: Il manuale per comunicare in modo efficace su internet e i Social Media

(disclaimer: becco una commissione sulle vendite - il che, dato che sono uno degli autori direi che ci può stare :-)

Messaggio informativo: se non avete idea di cosa sia il nostro manuale di strategia digitale, siete arrivati qui per caso ma il tema vi interessa, ecco un link da cui avere ulteriori informazioni sulla nostra opera :

http://robertoventurini.blogspot.it/2014/04/e-finalmente-e-uscito-il-libro.html


* Nota: inizia, con questo post, una serie di contenuti di approfondimento legate al nostro libro (Strategia Digitale, il manuale) - riflessioni e approfondimenti, cose che dentro al libro per motivi di spazio non ci sono state o notizie/casi che illustrano bene cose di cui abbiamo parlato.
Questi contenuti ( su base rigorosamente irregolare) saranno pubblicate sul blog di Giuliana e/o sul mio, e vastamente amplificati sui social, compresa la pagina Facebook che stiamo cercando di costruire - cui potete partecipare anche voi, se volete.

Questi contenuti saranno contraddistinti ovviamente, dall'hastah #strategiadigitale :-)

venerdì, dicembre 20, 2013

Perfetto: Intel Inside..le maglie del Barcellona

Keep it simple :-)

Se Intel sponsorizza le maglie del Barcelona... non è una grande novità e non crea buzz.

A meno che... non si resti fedeli alla marca e il logo lo si metta *all'interno* delle maglia :-)

Intel Inside... quando per essere visibili a volte è meglio nascondersi. 

E stare attaccati, strategicamente, al DNA della marca. Complimenti.

Ecco il video:



Intel sponsors inside of Barcelona's jerseys di FOX_Sports_Interactive

giovedì, ottobre 31, 2013

Marketing Concreto: le 5 regole per fare una Brand Utility


Ho deciso di ripubblicare sul blog (aggiornandoli) una serie di contenuti didattici che ho pubblicato negli anni scorsi e che secondo me possono essere ancora validi, specialmente visto che c'è tanta gente nuova che è entrata nel magico mondo del digitale :-)

E dato che il tempo dell'attenzione è drasticamente sceso, sintetizzandoli :-)

Comincio adesso con un ragionamento, uno stimolo sulle Brand Utility

Brand Utility: attività, sponsorizzata dalla marca, che dia un servizio concreto all'utente.

I tempi sono cambiati, lo sappiamo. La pubblicità non è più quella di una volta - un modo di comunicare che in un mondo dove ci si parla fra persone, rischia di essere percepito come il luogo dove ci si raccontano solo delle storie (nel senso buono o in quello cattivo); mentre la realtà dei fatti, anche sui nostri prodotti, la si trova altrove.

Dove lo storytelling è al suo massimo (come qualità di produzione) ma anche al suo minimo (come poco tempo a disposizione).

Di qui l'interesse verso strumenti che permettano di dare alle persone un servizio, un valore aggiunto. Che dimostri che noi ci diamo da fare per la clientela. 

Le 4 regole della Brand Utility 
Per Brand Utility si può intendere un'attività, sponsorizzata dalla marca, che dia un servizio concreto all'utente. Online o offline, b2b o b2c.

Per capirci, la pubblicità di un telefono non mi dà un gran valore.

Molto di più me lo da una stanza insonorizzata messa a disposizione da un produttore di cellulari per permettermi di telefonare meglio in luoghi rumorosi.

Sapere dove posso comprare una certa marca di scarpe da running non mi aggiunge molto.

Mi può dare invece moltissimo un sito in cui scambiare con gli amici i risultati delle mie corse, sfidarli, trovare una motivazione per correre regolarmente, avere suggerimenti per gli allenamenti. Come nel caso di Nike+. 

Chiaramente, sotto l'etichetta della Brand Utility si potrebbero far rientrare un sacco di cose, ma probabilmente ci sono almeno 5 regole d'oro per definire cos'è una buona attività di Brand Utility.

1. Deve essere legata alla marca / prodotto 
Un servizio di notizie sportive o l'ennesimo bollettino meteo sicuramente è interessante e utile.  Ma se me lo propone una marca di biscotti c'è poca coerenza, probabilmente porta poco interesse, valore alla marca.

Diverso è il caso di una marca di carta igienica che ci regala un'applicazione e un sito che ci permette di trovare il bagno pubblico più vicino a noi... completo di recensioni. 

2. Deve dare un reale valore, essere veramente utile
Per esempio regalare un applicazione che mi permetta di calcolare i parametri di un circuito elettronico (usando i miei prodotti) o che mi di semplificare i miei acquisti (Tesco) o un applicazione che mi permetta di progettare arredamento (IKEA

3. Deve essere esclusiva, o comunque non banale
Serve a poco dare un servizio ampiamente disponibile con le identiche caratteristiche. Che trovo ovunque.

Può essere interessante un app per la localizzazione del bancomat più vicino (da parte di una banca o una carta di credito) - anche se questo è ormai un servizio che molti GPS e molte altre applicazioni di navigazione offrono.

Più interessante è invece avere un report sulle condizioni della neve, per decidere dove andare a sciare questo weekend... specialmente se offerto da un'azienda che ha a che fare con la montagna e il suo mondo (Northface)

4. Non deve essere (esclusivamente) autoreferenziale
Un catalogo dei nostri prodotto o peggio, un applicazione che racconti quanto sono belli e buoni non necessariamente è davvero utile.

Anzi, rischia di essere percepita come pubblicità, come una forma di autopromozione che potrebbe (ovviamente) non essere veritiera.
Per capirci, il classico ricettario basato sui nostri prodotti può essere una buona idea... però in un mondo dove i ricettari si contano a milioni. Specialmente se le ricette funzionano solo con il nostro prodotto.

Molto meglio dare un servizio - ad esempio una connessione WiFi - ma legando l'accesso... al nostro prodotto e all'abilità delle persone, come ha fatto Scarabeo o meglio Scrabble.
Un bel servizio. Concreto. Che da' valore. Ed è particolarmente bello perché è generoso, è aperto a tutti, senza relazione con l'essere (o essere pronti a diventare) nostri clienti.

Magari fa venire un qualche desiderio di esplorare la possibilità di passare dalla nostra parte.

Per fare bene, bisogna pensarci. Ed essere un po' generosi. Il trucco, se così vogliamo chiamarlo, è pensare intensamente a come potremmo rendere più facile la vita delle persone (diciamo dei nostri potenziali clienti).

E farlo in una maniera autorevole, perché il mondo che scegliamo è un mondo in cui la nostra marca è esperta.

5. Farlo in maniera onesta e sopra le parti, per non fare la figura dei "commerciali".

Ma, allo stesso tempo, cercare di portare alla nostra azienda business, attraverso sia la dimostrazione di una capacità, di un'esperienza; sia attraverso la costruzione di un senso di vicinanza, di partnership, di simpatia.

L'idea che siamo un'azienda che ci tiene alla propria clientela, mentre magari tutti i nostri concorrenti sono totalmente focalizzati a rifilarci prodotti e a sfilarci un po' di soldi dal portafoglio.

mercoledì, ottobre 16, 2013

Chanel, Musica e Spacciatori :-) una storia di Fantamarketing


Una cosina che mi ha incuriosito. Non molto digitale però... ve la racconto lo stesso. 

Se volete, una storia che mi sono inventato, una robetta di fantamarketing. Probabimente non vera ma magari verosimile :-)

Ecco la storia: incappo un paio di volte alla TV in uno spot Chanel, di cui mi intriga la musica. Begli accordoni, un giro melodico interessante... decido di andare ad esplorare la cosa e di capire come è fatta.

Quindi tablet, sito Chanel, ecco lo spot (quello del prodotto giorno, notte e weekend. Interessante estensione dalla linea, tra un po' ci sarà anche il prodotto per la merenda e per la pausa caffé delle 11 :-)

Comunque non divaghiamo. Su questa pagina accedo allo spot "Dove inizia la bellezza". Peccato, peccato, che la musica sia diversa (!) (e mi sa, non solo quella). Lo spot ve lo metto sotto.

Mi faccio delle domande, delle riflessioni - sul senso strategico di avere una comunicazione differente tra TV e web.

Sono arrivato a due teorie - una sensata e una buffa e cattiva, che condivido con voi :-)

La teoria sensata: mezzi diversi, utenza in un frame of mind diverso (nella TV è push, viene sorpresa dallo spot, ha in testa alte cose; sul web lo sta cercando, è pull, ha scelto di vederlo, è più centrata sulla comunicazione).

Quindi ci sta un versioning del contenuto per sfruttare al meglio le specificità dello strumento.

La teoria non sensata: sì, vabbé, però essere tanto raffinati da cambiare la musica (e pagare due set di diritti...)... boh.

E poi il fatto che sia impossibile (almeno a me) trovare online la versione con la musica che mi piace... curioso. E qui mi parte la teoria del complotto, del fail, del c'è qualcosa da nascondere, tanto cara alle folle che popolano i social :-P

Con un po' di ricerca, comunque, almeno l'informazione si trova: il brano musicale che accompagna la versione TV è "The Pusher" nella versione resa popolare dagli Steppenwolf, gruppo fondamentale nella storia del rock (qui trovate una decostruzione degli accordi per chitarra, se vi interessa:  http://www.guitaretab.com/s/steppenwolf/21881.html).

Una canzone che qualcuno di voi si ricorderà nel film Easy Rider.

Oh, oh. The Pusher è una canzone che parla di spacciatori, parla esplicitamente di droga:
"You know I've smoked a lot of grass
O' Lord, I've popped a lot of pills"

A questo punto posso farmi un film.

Il commercial viene proposto, approvato, girato, magari messo in onda.

Poi di colpo qualcuno si rende conto che Chanel si sta associando ad una storia di droga e di spaccio - ambiti che non sono esattamente coerenti con il DNA della marca.

Ormai è troppo tardi e troppo costoso cambiare lo spot in TV - magari anche in considerazione che la programmazione è breve (chi lo sa - è solo una mia fantasia, ok?); però almeno si può farlo sparire dalla rete e sostituirlo con una versione che non metta a rischio la marca... :-)

Bah, chissà come è andata, non lo sapremo mai - e probabilmente è tutta una fantasia della mia mente contorta da addetto ai lavori... che si è fatto influenzare da precedenti casi di relazione tra una marca e una droga (Euronics, per intenderci :-)

Però mi ha divertito fare questo fantamarketing. Non prendetemi troppo sul serio.

Prendetelo solo come scenario teoricamente possibile - per ricordarci che basta un attimo di disattenzione per andare a incasinarci con la marca. Dio (o il diavolo, a seconda di a chi credete) sta nei dettagli.

Ecco lo spot come lo vedete su YouTube; e sotto uno dei tanti video della canzone - tenete conto che il tizio che canta (John Kay - nome anagrafico Joachim Fritz Krauledat) è del 1944... :-)
Enjoy.



lunedì, maggio 06, 2013

Pensiero profondo: troppo contenuto, e sempre di più. Morire di ipercontenutosi.

Ovvio.
Di marche / prodotti che abbiano cose serie e sensate da dire su se' stesse, ce n'è poche.

I Social e più in generale i media digitali si reggono sul paradigma del contenuto, specialmente adesso che tutti si sono buttati sulla barca dello storytelling.

Lo Storytelling come strategia va benissimo quando ci sono storie interessanti da raccontare.

Ma nella maggior parte dei casi, siamo lì a inventarci storie che non stanno in piedi e interessano poco - per riempire gli spazi che obbligatoriamente devono essere riempiti sui social - e per distrarre l'attenzione dal fatto che la marca prodotto / non ha nulla da dire, identificando territori da presidiare.

E quindi, dato che in genere ci sono anche pochi soldi e poca intelligenza dietro a questi prodotti, ci troviamo a fare il 34° oggetto social (blog, pagina FB...) su ...... (fill the dots, io non faccio esempi, per evitare che qualcuno pensi ce l'abbia specificamente con lui). Ma io per primo mi sono trovato a dover realizzare pagine, blog, siti, basati sul nulla. O sul già fatto da cento aziende prima.

Questa febbre di produrre contenuti inutili io la definisco ipercontenutosi. Ed è una delle cause scatenanti del "Chissenefrega effect". Tanta quantità, pochissima qualità.
Dove gli autori sono pagati a noccioline (si veda, uno fra i tanti, questo esempio)

Lo stesso discorso si potrebbe / dovrebbe fare pure sui libri: 64.000 titoli pubblicati all'anno in Italia, in un mercato dove oltre il 50% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno (ma poi lo lasciano votare lo stesso...)

Adesso, qualcuno più diligente di me ha fatto una seria analisi sulla proliferazione del contenuto. dei libri, delle foto, della spazzatura.

Dalla nascita della civiltà al 2003 sono stati creati, complessivamente, 5 Exabyte di contenuto.
Oggi, ogni giorno produciamo 2.5 Exabyte di contenuto *al giorno*.

Vi allego interessante Slideshare e, se avete tempo, il video in cui questa presentazione viene presentata e commentata. Notevole.

Non sono d'accordo su tutto, ma ci sono dei pensieri utili a tutti, specialmente a chi fa il planner, si interessa di strategia o semplicemente deve pensare a cose intelligenti.



2013/4 Brad Frost from CreativeMornings/PGH on Vimeo.

martedì, marzo 12, 2013

Magnifico: Harley. Il Test Drive più bello del mondo.

Questi hanno capito tutto :-)
In Brasile, per Harley Davidson.
Un cliente entra in negozio. Gli fanno provare la moto.
Poi vi guardate il video :-)
C'è dentro tutta la marca.
C'è dentro cosa vuol dire (o cosa uno desidera voglia dire) avere una Harley.

Una volta detto questo, smette di parlare la parte di me che apprezza la creatività e inizia a parlare lo strategic planner che si fa delle domande. E che ritiene che ci sia da capire come questa operazione entri nel progetto di comunicazione.

Che si domanda cosa se ne siano fatto di questo bellissimo video. Che proprio viral non è, dato che ha fatto qualcosa come 19.260 views (su un paese di 196 milioni). Che poi magari è la dimensione del loro bacino di prospect, ma dubito che li abbiano beccati tutti con questo video.

Con un oggetto di comunicazione di questo tipo, vale la pena spingerlo a palla... comunque vedremo, dato che sono pochi giorni che è stato messo su.

(PS: rovina un po' l'effetto il super che mettono verso la fine del video... "alcuni dei caschi indossati in questo video non sono permessi in Brasile" il che fa immediatamente pensare che non si tratti di riprese di un banale ignaro reale cliente, ma che l'intera cosa sia un komplotto della kasta per farci comprare il prodotto... ma è bello lo stesso sognare).


giovedì, febbraio 07, 2013

L'Hotel di Lego


Non nel senso che è fatto col Lego, ma che è stato costruito della premiata ditta Lego, nel loro parco tematico a Carlsbad, California. E apre il 5 Aprile, per la gioia di grandi e piccini.


Quella dei parchi Lego (Legoland...) è una strategia fortissima di comunicazione per la marca - se il mattoncino è un modo per reinterpretare e reinventare la realtà, nel suo piccolo, l'effetto che fa quando visto in grande è potente...
Insomma, guardatevi le foto dell'hotel e se avete occasione andate a visitarvi uno dei vari Legoland (mi sa che il più vicino è a Windsor, UK), che merita :-)

giovedì, dicembre 20, 2012

Monitorare l'uso della propria marca su Instagram

Gazemetric vi dice come è fotografata la vostra marca su Instagram...

Un post un po' diverso da solito, ma che mi permette di affrontare un tema che mi interessa: quello del controllo della marca (o meglio del suo monitoraggio) sul mondo social.

L'ascolto, l'analisi semantica, il tracking... tutto facile e bello (volendo, basta pagare dei competenti professionisti) quando quello che vogliamo monitorare è un testo. Leggere cosa dicono di noi.

Ma se la marca viene reinterpretata visivamente? Se prende piede un trend di riappropriazione, di deformazione, reinterpretazione della marca e dei suoi visual? (Cercate per immagini su Google cosa emerge su Nutella, ad esempio, e confrontatelo coi valori del brand).

Ho trovato quindi interessante l'announcement di questa stratup - non che voglia "endorsarla", non ho idea di come "performi", ma mi sembra l'inizio di un possibile trend di applicazioni e servizi che tengano d'occhio servizi come Pinterest e Instagram.

Gazemetric è un'azienda che tiene sotto controllo come la vostra marca compare su Instagram, identificando la presenza del logo (attraverso l'uso di un software di riconoscimento delle immagini) - permettendovi di sapere dove, come, da chi la marca è stata fotografata etc etc, .

Al momento sono focalizzati su Instagram, ma dovrebbero aprirsi a Twitter e Facebook. Per tutto il resto, potete visitare il loro sito, che ve la raccontano meglio di me. 

lunedì, ottobre 22, 2012

Strategia Disney e le Principesse. Bel pensiero.

Questo è un esempio di forte pensiero strategico, su cui planner e affini hanno da riflettere, magari da segnarselo.

Come saprete, da qualche anno Disney punta molto sul concetto delle sue "principesse", accomunando i suoi personaggi femminili più forti (Cenerentola, Biancaneve, Ariel, Mulan...).

Finora il posizionamento è sempre stato molto favolistico, prestando il rischio di essere sì apprezzato dalle bambine più piccole ma di perdere - visto il mondo in cui ci troviamo - appeal e trazione non appena crescono.

Un mondo fatato, buoni sentimenti e mielosità, parecchio finto e forse un po' datato.

Non a caso sono negli ultimi anni usciti film man mano più tosti, dove l'eroina femminile non è una svampita principessa che si fa ingannare dalla matrigna, ma magari una donna che va in guerra, una donna che combatte (metaforicamente e con le armi) per i suoi principi etc.

In questo scenario interessantissimo il video " I'm a Princess" - che descrive bene il nuovo senso che Disney vuole dare alle sua principesse.

E il messaggio che vuole passare a ragazze e bambine (v. anche questo articolo).

Passando da loro, le principesse, a "Io sono una principessa" (e non una principessina tonta).

Da vedere.

Il testo del video potrebbe essere stato scritto integralmente da un planner bravo, anzi vorrei averlo scritto io ;-).

Da ascoltare e da meditarci sopra, prendendolo come riferimento di come si lavora sul posizionamento, sul DNA che vogliamo dare ad una marca e a come raccontarlo.

Guardate il video: 

Disney presents the 'I Am A Princess' video. This is a celebration of what it truly means to be a Princess, today. To be brave. To be kind. To be generous and compassionate. Join Disney as we celebrate the Princess inside every young girl. Long may they reign! 


lunedì, settembre 24, 2012

Pinterest, strategia semplice ed efficace: Audi


A me piacciono le idee semplici e strategiche. Come questa.

Su Pinterest, network dalla grande crescita, che diavolo può farci una marca? OK, per quelli per cui è un lovemark è facile: muoiono dalla voglia di vedere i miei prodotti e ci metto su le fotine emozionali.

E per gli altri? Per gente come me che magari rispetta la marca ma non è di per se' interessata ai prodotti?

Beh, un buon approccio è sempre quello di essere strategici. Pensare a cosa rappresenta, secondo la nota equazione "My brand stands for..." (fill the dots).

Se trovo un tema che rappresenta il DNA della mia marca (ed è un tema che può interessare) allora ha senso andare a presidiarlo.

Cosa che ha fatto Audi, facendo un board su Pinterest  di foto sull'innovazione, sull'essere il simbolo dell'avanguardia. 

Un board aperto alla contribuzione delle persone (co-creation), dove non mi rompono le scatole con foto di prodotto ;-) in modo che sento che non si tratta di un pretesto per rifilarmi messaggi di vendita ma di un'operazione più "pulita" - che può davvero andare a lavorare sulla percezione della marca e sull'associarla a uno dei suoi valori chiave.

Easy. Mi piace.

mercoledì, febbraio 29, 2012

Axe si ispira a Pulp Fiction

Ve lo ricordate Mr Wolf, in Pulp Fiction?

Axer si ispira a quel personaggio per questa campagna fatta in Argentina.

The Cleaner è un personaggio che... beh, si occupa di ripulire dopo una notte di quelle...

Una strategia parecchio unconventional per un doccia schiuma (con aggregata spugnetta esfoliante, mi sembra di capire) ma parecchio in linea con il DNA della marca.

Il sito lo vedete qui, Facebook lo trovate qui e qui sotto i due video (che sono in realtà l'unica cosa veramente interessante, l'integrazione tra i vari tool non è particolarmente buona o interessante....).

I Video sono in spagnolo, ma si capiscono :-)




venerdì, gennaio 13, 2012

Il 70% delle marche potrebbe scomparire...


... e a nessuno potrebbe importargliene di meno :-)

Questo è uno dei risultati (quello più "ad effetto", quindi quello più usabile per i titoli) della ricerca 'Meaningful Brands for a Sustainable Future', di Havas.

Diciamo che per le marche c'è molto, molto spazio per migliorare la propria relazione con le persone.

Qui potete saperne di più sullo studio: http://www.havasmedia.com/our-thinking/research/ e c'è anche l'infografica.

Detto questo, che è un ragionamento da planner, entra il ragionamento da uomo d'azienda e/o da consulente. Ovvero il dilemma, con la D maiuscola.

Se lo chiedo alle persone, tutti vogliono che la mia marca migliori. Specialmente gli opinionisti digitali ;-)
Ok, allora do' retta, investo soldi in comunicazione, in reingegnierizzazione dei miei processi, in servizi e in identità... in tutte quelle cose lì.

A questo punto, ovviamente, i costi sostenuti impediscono per i miei prodotti una politica di pricing aggressiva.
Non è che la gente mi amerà di più ma mi comprerà di meno, preferendo roba made in China che costa meno - complice anche la crisi? 

Il rischio, non neghiamocelo, esiste e non tutti possiamo sperare di essere delle love brands che supportano dei premium price rilevanti...

btw, buon primo venerdì 13 dell'anno...

lunedì, gennaio 09, 2012

Ikea assume i propri clienti. In-pack job posting.

Il proprio prodotto è un media, un canale. Vedi alla voce packaging.

Ma anche alla voce "insert".

Ikea, in Australia, ha fatto un'operazione di recruitment a costo praticamente zero.

Avendo bisogno di qualche centinaio di nuovi assunti in un nuovo megastore, ha inserito nella confezione (piatta) dei propri prodotti un invito a candidarsi. 

In stile Ikea: Instructions to assemble a career...


martedì, giugno 23, 2009

US: la recessione danneggia le marche... con delle eccezioni

Secondo un articolo di Advertising Age, la recessione sta dando una batosta dura alle marche, almeno a certe marche, nel settore dei prodotti consumer.

Interessante notare che le marche ben supportate in comunicazione se la sono cavata meglio, così come le marche leader nelle proprie categorie e i prodotti superpremium...

L'articolo lo leggete qui (ma fate in fretta, tra qualche giorno potrebbe passare a pagamento...;-)

(Vedi anche il mio post precedente: Private Labels: 91% dei consumatori US resterà fedele anche dopo la fine della recessione.)

Photo Credits