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venerdì, ottobre 23, 2015

Riflessioni sul caso Rummo (e sull'approccio quantitativo vs qualitativo alla comunicazione)

Il caso Rummo mi ha fatto riflettere su un paio di cose.

Non credo sia il caso di andare a fondo nella sua analisi, visto che già si è scritto molto (do your best, link the rest).

Ma se sentite il bisogno, in calce vi metto dei link di approfondimento.

Sintetizzando, dopo la tremenda alluvione che ha duramente danneggiato l'azienda, si è innescato un movimento di supporto, adesione, aiuto sui social.

E il tema è stato, sostanzialmente: dobbiamo fare qualcosa per aiutarli, comprate qualche pacco di pasta Rummo (in più). E pubblicate sui social la foto dei pacchi di pasta, come prova dell'avvenuto acquisto e stimolo agli altri per aderire alla crociata #SaveRummo .


Cosa che in molti hanno fatto (compreso il sottoscritto: 3Kg).

L'attività social, scaricatasi a terra su Twitter, Facebook, blog ha coinvolto anche personaggi famosi.



E, a quanto si capisce (e io ci credo abbastanza) è stata un'attività spontanea, non guidata dall'azienda. Che forse ha ben altri problemi da affrontare, più che di concentrarsi sui social - che del resto non sono mai stati "fortemente presidiati":

analizzate, ad esempio la loro pagina Facebook:
 www.facebook.com/pastarummo
o il loro account Twitter, con soli  708 follower:
https://twitter.com/PastaRummo

Ma, evidentemente, qualcosa di giusto hanno fatto, come brand.

Rummo è riuscita evidentemente a diventare un lovemark, una marca tanto amata dalle persone che queste, nel momento del bisogno si sono fatte promotrici di un'attività di User Generated Marketing* (che ha generato anche pareri contrastanti).

La riflessione che mi ha colto, e che cerco di sintetizzarvi è questa:

Oggi assisto a un forte trend - rendere "quantitativa" anche la comunicazione digitale. Ma la qualità spesso porta risultati. Non misurabili "ex ante" ma che impattano, concretamente, il business.

Al di là di ciò che attiene all'advertising online (è la sua natura, essere trattato da "media"), anche sui social, anche sul lavoro con gli influencer ci sono aziende che stanno palesemente operando pensando solo alla massimizzazione dei contatti, della reach.

Pensando solo a privilegiare la quantità, in un'ottica classicamente pubblicitaria, privilegiare il numero dei contatti totali ottenibili; rispetto a scelte sulla natura e le caratteristiche specifiche, la capacità di esercitare influenza, di innescare conversazioni, di essere un endorser particolarmente credibile per quel prodotto su quel target.

Per capirci, per fare un esempio, quello che importa è che la mia press release sia ripresa dal massimo numero di persone, pardon, di influencer, in un mondo ideale dove centinaia di blogger che arrivano a milioni di persone facciano un copia & incolla della mia press release (così come di quelle di mille altre aziende, non importa).

E quindi fare scelte che non danno troppo peso alla "qualità".

Ora, è ovvio che lavorare in una logica che porta scarse coperture, che fa sì che il nostro messaggio arrivi a pochissimi, non sposta i fatturati. E' spesso più un costo che un investimento.

E' logico che la qualità è un parametro difficile da misurare, da condensare in un numero - e i numeri sono alla base del nostro business, dei piani di marketing, delle richieste di budget da esporre al management.

Ma è sempre più evidente che questa elusiva qualità forse è la chiave per trasformare gli "utenti" in ambassador, in promotori, in evangelisti. In persone che si schierano e senza ricompensa si sbattono per noi. Per farci migliorare la bottom line. Per farci incassare dei soldi.

Perché ci vogliono bene, perché c'è relazione.
E questo, direi, è un fattore importante nel nostro marketing, nella nostra comunicazione, alla fine... nel nostro profitti & perdite.

User Generated Marketing: la nascita di conversazioni, di contenuti a nostro favore, talvolta totalmente disallineati rispetto alle nostre strategie, estranei cioè al nostro DNA di marca. 

Singoli utenti appassionati o gruppi influenti possono infatti scatenarsi in attività di user generated marketing, vale a dire in azioni in cui le persone si fanno propagandisti, evangelisti della marca, iniziano a farne pubblicità, a diffonderne il «verbo», a farsi carico insomma, senza che nessuno l’abbia chiesto, di un’attività di marketing a nostro favore.


Approfondimento:
http://www.corriere.it/tecnologia/social/15_ottobre_18/benevento-pastificio-rummo-ginocchio-solidarieta-social-ea3e861c-759b-11e5-a6b0-84415ffd3d85.shtml

http://www.scattidigusto.it/2015/10/18/pastificio-rummo-foto-pasta-alluvione/

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/alluvione-beveneto-campagna-social-pastificio-rummo-1184458.html



mercoledì, luglio 16, 2014

6 Verità per non fallire ("fare relazione" fa business? E' davvero importante pensare al business?)


Una serie di incontri di formazione fatti questa settimana mi ha dato lo spunto (e il materiale...) per scrivere un'altro post "strategico" che possiamo tranquillamente vedere come approfondimento di Strategia Digitale - il manuale.

Ci sono in giro una serie di affermazioni, di pensieri pericolosi. Ecco alcuni spunti di riflessione.

1. Se non pensiamo al business quando facciamo comunicazione, meritiamo di estinguerci.

Semplice: la comunicazione (per una marca, prodotto...) serve ad aiutare l'azienda a raggiungere i propri obiettivi.

Che, alla fine, devono sempre impattare sulla bottom line. E devono essere funzionali al marketing (quello vero, vedi: Il Marketing è più che prendere la gente per i fondelli. E il digitale...)

2. Poca Fuffa. Guai essere tutte chiacchiere e distintivo.

Se proponiamo al cliente azioni che sono belle, che "fanno relazione", che sono molto "social", che lo aiutano ad essere più "digital"... ma queste azioni non spostano di un millimetro verso gli obiettivi di business, siamo dei consulenti non solo inutili, ma anche dannosi.

Facciamo sprecare tempo, soldi, attenzione verso iniziative irrilevanti.

Un po' come il "fare branding" superficiale dell'adv, o l'essere "2.0", o tutte le puttanate che dicevano le dot-com del secolo scorso. Brave a fare comunicazione impattante, a zero come modello di business, praticamente tutte morte, perché la gente poi, non ha dato loro una lira, non ha comprato. Con la soddisfazione di morire essendo comunque amate e popolari.

Non dico che tutto debba essere fatto per vendere direttamente. Rafforzare la marca, costruire relazione con le persone, usare l'influenza di un influencer sono tutte azioni legittime, step di un processo che però, prima o dopo, si dovrà riflettere sulle vendite.

3. Dobbiamo essere esperti. Di realtà

Va benissimo essere esperti di comunicazione, ma non basta.

Occorre anche capire come funziona il business, il marketing, capire come funzionano le aziende e cosa comprano le persone. Insomma, essere esperti, in primis, di realtà.

Chiedetevi perché tante aziende guardano male le agenzie.

A volte perche non riescono a capirle. A volte perche le agenzie non riscono a capire loro. Anzi, gli dicono che sbagliano. Ma le soluzioni proposte sembrano fumose, poco concrete e non basate su ragionamenti solidi. Chiediamo atti di fede, spesso molto forti.

4. Se faccio relazione (in un qualche modo...) poi il successo di business arriverà. Ma anche no.

OK, certo che è importante fare relazione con le persone, i clienti, i "target". E in fondo, qualsiasi cosa io faccia, chi la vede modifica il suo relazionarsi con me.

Se faccio qualcosa di wow, qualcosa di simpatico, uso un testimonial, parlo con un paio di persone via Twitter... certo, faccio relazione. Ma ciò è bene o male? O meglio, è funzionale a far andare bene l'azienda o no?

Conosco consulenti (non di questo nostro mondo digitale)  che tutti consideravano simpatici. Che ti faceva piacere andarci a bere una birra insieme o una pizza. Bravissimi a comunicarsi, a fare relazione con le persone. Che non ti veniva assolutamente in mente di chiamarli per fargli fare un lavoro, perché non pensavi fossero bravi, competenti, speciali. Ottima relazione - ma nel senso sbagliato. Magari molto "wow" ma zero conversione.

5. Non roviniamo una bella amicizia (è tutta questione di obiettivi).

Ricordo anche di avere instaurato - da giovane - forti relazioni con alcune fanciulle che mi piacevano.

Le ascoltavo, parlavo con loro, cercavo di essere loro vicino, tutto da manuale. Poi, ovviamente, veniva sottolineato che non avrebbero mai avuto una storia con me per non "rovinare la nostra bella amicizia" - e alle feste evaporavano con il  primo tizio con la T-shirt "Italian Stallion" (vabbé, erano gli anni 80...).

Ottima relazione la mia - come sempre però dipende dagli obiettivi che uno vuole raggiungere (io, ovviamente, cercavo relazioni significative).

"Fare relazione" non vuol dire niente. E' come dire faccio cose, vedo gente. E non è che va bene fatta in qualsiasi modo, questa "relazione".

La relazione è importantissima... ma deve essere una relazione che sia funzionale agli obiettivi di business. Se uso un influencer, ci deve essere un senso, deve avere la capacità di trasmettere la sua influenza sul mio pubblico a favore del mio prodotto. Non è (spero) che se domani vado in giro con le mutande KelvinKlain voi che mi seguite e mi stimate vi fiondate a comprarle. Diverso è se io endorso un tool di marketing, un'agenzia, un libro, un'idea, una persona.

6. Altrimenti è come i Guerilla Marketing fatti male.

Ti ricordi l'evento. Non ti ricordi la marca. Lo ricordi con piacere e stima - non vedi motivi, a valle dell'evento, per cui dovresti comprare il fottuto prodotto. O dargli i tuoi dati per il loro database. O dare un feedback sulla tua user experience. O fare una quelsiasi delle mille cose che significano permettere all'azienda di fare business, incassare soldi, pagare gli stipendi, restare sul mercato.

Faccio cose, vedo gente può essere divertente*. Ma se smettiamo di domandarci chi ce le compra, le sigarette, perdiamo il contatto con la realtà. Che non è normalmente un buon approccio per avere successo nel business.
Se facciamo business.

Se invece, invece di aziende, consulenti, agenzie siamo artisti, e lo facciamo per la gloria e la bellezza, per esplorare teorie sociologiche nuove; o se siamo Guru che devono tirar su qualche lira vendendo libri, allora no, allora va bene tutto.

* E per chi non sa cosa significhi Faccio cose, vedo gente, guardatevi questo clip mitico, tratto da Ecce Bombo.



PS: non faccio volutamente riferimento a nessun caso particolare perché NON sto parlando di nessun caso particolare. Questo è un ragionamento generale, da applicare al modo in cui lavoriamo. Tutti, sempre.

mercoledì, settembre 23, 2009

Visione obbligatoria per i pubblicitari ;-)


..e per i markettari.

Spottone sulla relazione tra comunicatori ...e le persone.

Nulla di trascendentale per chi queste cose le mastica già da tempo, ma un interessante (e abbastanza divertente) approccio pubblicitario per la non-pubblicità tradizionale per i non-ancora-del-tutto-convertiti.

(grazie a Patrizia Filippetti, via FB)


[Branding & Marketing Blog / Venturini]
(aggiungo la firma perchè ci sono a quanto pare dei feed che permettono a terzi di ripubblicare i miei contenuti su FB senza che esca la fonte....)

mercoledì, aprile 22, 2009

L'anno prossimo il giocone online della NASA

Prosegue la strategia di comunicazione della NASA basata su un più forte uso di nuove tecnologie e nuovi paradigmi per relazionarsi con i propri pubblici.

Dopo l'uso di Twitter da Marte e l'annunciato più forte ricorso ai Social Media per fare engagement sui giovani (anche in vista di allevare una futura generazione di tecnici e scienziati), il prossimo passo sarà un MMO - (gioco) Massive Multiplayer Online.

Porterà i giocatore a colonizzare Luna, Marte e il resto del sistema solare. Si intitola Astronaut: Moon, Mars and Beyond e la pubblicazione del primo episodio giocabile si attende per il 2010, con una demo disponibile entro quest’anno.

Il gioco usa il motore grafico di Unreal, alla terza versione, e immerge il giocatore nel futuro a circa venticinque anni da oggi.

Un paio di approfondimenti qui e qui

Più che il volo interstellare, i protagonisti se la vedranno con le attività di colonizzazione di mondi alieni come appunto Marte o la Luna, con attività come la produzione di Elio-3 da usare come propellente, allestire serre idroponiche per la coltivazione di vegetali e creazione dei materiali più vari, dall’ossigeno ai robot e ai veicoli da trasporto.