Ho deciso di riproporre il mio primo articolo, assolutamente il primo che ho scritto, su Internet. Era il 1998. Su WMT.
Ve lo ripubblico senza editarlo (se non per il fatto che da due parti l'ho fatto diventare di una).
Secondo me serve per pensare a quanta strada abbiamo fatto e a quanta non ne abbiamo fatta. (e a me per pensare che nel frattempo spero di aver imparato a scrivere un po' meglio, dopo tutti questi anni :-)
Enjoy. E se volete fatemi sapere che ne pensate.
Internet, un pericolo per le aziende. (un articolo scritto nel 1998)
Entrare in Internet? Lasciate stare, datemi retta…
In un periodo in cui tutti osanniamo Internet e lo
proponiamo come la panacea per tutti mali, voglio lanciare un appello.
Uomini d’azienda che in questo momento state
valutando se e come ‘entrare in Internet’ con un proprio sito/attività:
pensateci bene! Attenzione a non cadere in una trappola che potrebbe rivelarsi
pericolosa…
Il mio appello può suonare strano, lanciato proprio
da questa tribuna. Purtroppo la triste verità (specialmente se siamo in una
azienda di medie/grandi dimensioni) è che sviluppare ed implementare una
attività di comunicazione su Internet può avere delle conseguenze francamente
destabilizzanti. E questo mi sembra il posto giusto per dirlo.
O meglio: se si fa il solito sitarello
istituzionale o la brochure on-line possiamo stare abbastanza tranquilli:
nessuno se li fila. Passiamo inosservati e viviamo sereni, nella felice
consapevolezza di essere in rete , senza vantaggi ma anche senza
complicazioni.
Diverso è il problema quando decidiamo di portare
in rete una seria e professionale operazione di marketing e comunicazione.
Andiamo sul pratico.
Mettiamoci, ad esempio, nella situazione di voler
condurre una campagna pubblicitaria on-line ( scusate la sintesi: lo spazio è
tiranno ma cercherò di evidenziare i problemi nelle loro linee più generali -
ma pur sempre preoccupanti).
Da bravi uomini di marketing iniziamo a valutare il
problema in un ottica razional-professionale. Ahimè, rispetto a quello che
siamo abituati a fare, la situazione non collima per nulla con le nostre
esperienze. Tanto per cominciare i dati sono pochi e poco affidabili – tentare
di valutare il costo/contatto fa venire il mal di testa e (peccato capitale!) non sono disponibili i
GRP . Gli strumenti di web audit sono ancora in costruzione.
Un ulteriore sorpresa: generalmente non si comprano
i periodi di campagna ma direttamente i contatti . Pianificando quindi una
campagna di banner su un sito trafficato ci si brucia tutta la campagna in un
paio di settimane o anche meno (viene da domandarsi se non sia un po’ troppo
poco…)
Conclusione #1: A mettere le mani dentro Internet
si scopre rapidamente di dover reimparare un po’ di cose – siamo costretti a
ragionare in un modo totalmente diverso, ad esempio rivedere il modo di
valutare le pianificazioni.
Passiamo al target. Dato che siamo dei ragazzi seri
abbiamo pacchi di dati sociodemografici; lo conosciamo a fondo, magari abbiamo
anche usato Sinottica e la sua Grande Mappa… peccato che ‘le testate’ su
Internet non offrano un profilo dei lettori come quello che siamo abituati ad
usare. Esistono migliaia di siti; in mancanza di dati e statistiche, quali
scegliere per le pianificazioni?
La nostra anima quantitativa suggerisce di
scegliere siti ad alto traffico (es. Motori di ricerca) per generare un alto
numero di contatti e far rapida visibilità. La nostra anima più qualitativa ,
d’altro canto, preme per un uso più di
fino del Web. Ma dovendo segmentare, come scoprire quali siano siti i più
affini al nostro target e, soprattutto, quali siti siano più affini e sinergici
al nostro prodotto/messaggio?
Conclusione #2: l’enorme vastità della rete rende
complesso un coinvolgimento diretto nella selezione delle testate. Sicuramente
c’è chi ci può consigliare – ma per costruirci una opinione personale dobbiamo
mettere a budget decine di serate passate a navigare e ad esplorare.
(Attenzione: ricordate che i valori umani sono prioritari rispetto al lavoro –
e che alla nostra età comincia a diventare difficile trovare una nuova
fidanzata).
Quando poi decidiamo di fare delle analisi a
posteriori sull’efficacia dell’azione ci troviamo a far di conto con bestie
strane come i clicktroughs, gli hits, le impression…ma le vecchie ma pur sempre
valide copertura e frequenza? Come dare un senso operativo a questa massa di
dati che il provider fornisce a raffica?
Veniamo ora all’impostazione strategica della
campagna pubblicitaria… al solito convegno ci hanno spiegato che con Internet si fa il “narrowcasting”. Detto
in parole povere: se con la pubblicità si fa il “broadcasting” ovvero si parla
a audience dell’ordine delle centinaia di migliaia se non milioni di persone,
con il web si può lavorare su target molto più focalizzati. Questo offre
l’opportunità di mirare meglio il messaggio – costruendolo ad hoc per ogni
gruppo…
E quante sono le persone in ogni gruppo? Mica poi
tante…torna l’incubo del costo per contatto! (D’altra parte, sviluppando
messaggi molto focalizzati, quasi personalizzati, l’efficacia aumenta, il
target reagisce meglio…)
Conclusione #3: a pensarci bene noterete che non
stiamo facendo della pubblicità ma qualcosa di più vicino al Direct Marketing.
Di qui l’opportunità di integrare la comunicazione con la raccolta di
indirizzi, di mantenere un tracking del comportamento degli utenti, di Database
Marketing e mille altre opportunità… ma non è che stiamo per aprire un vaso di
Pandora, di imboccare una strada che non sappiamo bene in quale complesse
regioni potrà condurci? (gli stavamo dando un dito e il progetto si sta
prendendo un braccio)
Tanto per risollevarvi il morale, passiamo ad
occuparci di creatività. Non c’è niente di più divertente che sfogliare layout
e discutere con l’agenzia di casting, mood e location…ma per fare una comunicazione focalizzata, si
devono sviluppare soggetti ad hoc per ogni gruppo. I soggetti si bruciano in
fretta e vanno quindi rinnovati frequentemente. Facciamo a questo punto una
manica di conti. Quanto lavoro tocca fare per sviluppare messaggi ad hoc per
ogni gruppo che compone il vostro target? Ve lo dico io: un bel po’.
Per fare un lavoro ben fatto si devono sviluppare
un gran numero di soggetti, da sostituire molto spesso. Facendo le solite
somme, un bel po’ di lavoro in più rispetto alla comunicazione tradizionale…
Conclusione #4: Accettate il mio invito al pub,
ordiniamo un po’ di birre e raccontiamoci come era tutto più bello quando la
pubblicità era esclusivamente intrusiva. Quando tutto sostanzialmente si
riduceva ad una gara di velocità tra il break pubblicitario e il telecomando
(la probabilità di un utente di essere esposto ad uno spot era inversamente
proporzionale ai suoi riflessi nel fare zapping). I tempi magici in cui di
pubblicità ci si occupava un paio di volte all’anno…
Questa follia che ha pervaso le aziende, quella di
essere on-line ed interattivi, sta in effetti iniziando a produrre dei danni:
diamo in mano all’utente la possibilità di parlare con noi, di chiedere, di
confrontare. Con poca preveggenza, chi ha imboccato questa strada ha accelerato
un processo di dinamizzazione del mercato e di empowerment del cliente.
Mettendoci tutti un po’ più nelle canne.
Infatti, sulla rete, mi trovo (sostanzialmente in
modo indipendente da quanto la mia azienda sia grossa e potente) a confrontarmi
alla pari con milioni di altri siti - aziendali e non - a disposizione dei
navigatori.
Se Internet è “pubblicità” questo significa che se
prima dovevo solo preoccuparmi di convincere il consumatore a comprare il mio
prodotto, ora devo addirittura dargli un buon motivo per guardare la mia
“pubblicità”!
Potremmo forse salvarci nel caso che, invece di
business-to-consumer ci occupiamo di business-to-business? Purtroppo no. E’ vero che il
consumatore-cliente è più elusivo, imprevedibile ed irrazionale di
un’azienda-cliente; ma l’azienda è normalmente un cliente molto più esigente e
difficile di un individuo-consumatore. Se le cose non sono fatte come Dio
comanda ci beccano subito e non ce la perdonano. Sono pagati per questo, in
fondo – come lo siamo noi nei confronti dei nostri fornitori.
Conclusione #5 – forse da soli non ce la facciamo,
e dobbiamo appoggiarci ad un buon consulente. Però… chi scegliere? Un agenzia
tradizionale che conosce bene i miei prodotti, è la custode dei valori del mio
brand e della mia immagine? Una Internet-Agency che conosca a fondo i misteri
tecnologici del web ma che non sa molto di me e dei miei prodotti? O entrambe –
e come ottimizzare il loro lavoro di partnership?
Un altro problemino è: quanto devo pagare per un
sito (o una qualsiasi attività di web marketing)? Sul mercato, per progetti
apparentemente analoghi si trovano offerte che variano anche di 10 volte l’una
dall’altra. Dov’è è il prezzo giusto? Come so che non mi sto facendo fregare o
che sto risparmiando a scapito della qualità? (senza considerare il problema di
convincere il management ad allocare dei fondi su progetti on-line in questa
fase in cui Internet è ancora generalmente visto come ‘sperimentale’).
Supponiamo comunque che, con molta fatica e
testardaggine siamo riusciti a portare in porto il progetto. I nostri banner
sono on-line. E se poi la gente clicca?
Beh, semplice. Entrano nel sito…. E l’azienda è
nuda.
Un piccolo sito istituzionale fatto per benino, una
brochurina elettronica dei nostri prodotti, (mi raccomando senza interattività)
non può fare un grosso danno. Non lascia danni permanenti nei visitatori, ci
permette di non fare dei grossi errori. Non servirà a nulla ma almeno abbiamo
speso poco e non abbiamo sbagliato.
Tocca comunque fare attenzione: l’utente Internet è
sempre più esigente, se visita un sito aziendale cerca informazioni, servizio,
un vantaggio personale (se no se ne andrebbe direttamente in negozio, no?).
Dato che non abbiamo più la scusa dello spazio (30 secondi in TV, una pagina
sola su Panorama…) diventa un po’ difficile giustificare il fatto che sul
nostro sito, potenzialmente di illimitate dimensioni… diciamo poco o niente.
Abbiamo forse qualcosa da nascondere? Non abbiamo un gran che da dire? Non
siamo capaci di far di meglio? Non vogliamo che il nostro cliente ci conosca
troppo bene o (Dio ce ne scampi!) interagisca con noi? Forse è il caso di
evitare che il visitatore si ponga queste domande.
Conclusione #6 – forse è meglio che Internet lo facciamo bene o non lo facciamo affatto
(raccomando la seconda che ho detto).
Già, ma a far bene un sito non è un lavoro da
poco…intanto dal punto di vista strategico: non è solo pubblicità, è anche
Direct Marketing, Promozione, PR, comunicazione istituzionale e di prodotto,
servizio pre-sale e post-sale…tutto è contiguo e c’è un continuo overlapping
tra le variabili di marketing e comunicazione. Non è come fare la classica
pubblicità o il sanissimo catalogo tradizionale.
Conclusione #7 – occorre un rilevante investimento
di pensiero e un coinvolgimento integrato/sinergico di molte competenze.
A questo punto, conseguentemente, Internet non è
cosa che possa fare una persona sola. Diventa ovviamente un lavoro di team.
Occorre assicurare la fornitura di contenuti, la coerenza del sito con
l’immagine, le strategie aziendali e le strategie di marketing della nostra
impresa…dobbiamo quindi coinvolgere, grosso modo:
Internamente:
|
Esternamente:
|
Responsabile Comunicazione
|
Agenzia di Pubblicità
|
Direttore Marketing
|
Consulenti PR
|
Direttore Commerciale
|
Agenzia Promozioni
|
Brand Manager(s)
|
Consulenti Direct Marketing
|
Product Manager(s)
|
(in media dalle 2 alle 3 persone per agenzia)
|
Direttore Generale
|
|
Amministratore Delegato
|
Senza contare chi realizza e mette on line il
nostro sito
|
EDP
|
|
(altri)
|
|
Questo, a sua volta, comporta delle ulteriori
complicazioni: integrare le competenze vuol dire far lavorare insieme persone
di reparti diversi, con competenze ed esperienze differenti – spesso non
abituate a progetti di team.
Coinvolgere tante persone comporta problemi di
organizzazione dei flussi di lavoro (ma già solo far coincidere le agende per
organizzare le riunioni…).
Tante teste, tante idee – o meglio tanti contributi
preziosi; tanti pareri e quindi tante richieste di revisioni.
Conclusione #8 – la necessità di coinvolgere molte
persone/funzioni aziendali impatta significativamente sul time to market. Il
tempo necessario per concludere un progetto è all’incirca proporzionale al
quadrato delle persone coinvolte (ogni volta che si raddoppia il numero dei partecipanti con voce in
capitolo si quadruplicano i tempi).
Va poi considerata la difficoltà di darsi un timing
efficace – ricordo la semplice massima dell’ 80/20 (corollario della Legge di
Murphy ): per portare a termine il primo 20% di un progetto si
impiega l’80% del tempo. Per portare a termine il restante 80% del lavoro si
impiega un altro 80% del tempi.
Mi è capitato di vedere aziende rinunciare a
progetti Internet proprio per questo; si sono rese conto che non sarebbero
state in grado di avere un sito ragionevolmente aggiornato rispetto
all’evoluzione dei propri prodotti. Allora, piuttosto che andare in edicola con
un quotidiano di tre giorni prima, hanno scelto di non pubblicare.
Sicuramente si poterebbero ridurre sensibilmente i
problemi snellendo la catena del comando e soprattutto il processo di
approvazione, minimizzando i colli di bottiglia (per evitare di metterci un
anno a fare un sito che una volta on-line è già da rifare…). Ma questo
significa dare responsabilità ed autonomia, su questioni di comunicazione e
marketing su cui molte persone hanno
responsabilità in azienda.
Delegare è molto difficile, essere delegati
significa prendersi delle grosse responsabilità.
Conclusione #8 - Vale la pena di rischiare? La
condivisione delle decisioni significa condivisione e redistribuzione dei
rischi, anche dal punto di vista della propria carriera…se si sbaglia meglio
sbagliare tutti insieme.
(nota:
meglio non sbagliare – niente di meglio allora che evitare gli esperimenti o
allontanarsi da strade già ben note e battute).
Allora, se vogliamo fare Internet a modino tocca
mettere le mani sulla struttura organizzativa dell’azienda? O almeno
sull’organizzazione del lavoro, responsabilità e competenze? Beh, è abbastanza
probabile. Non voglio poi nemmeno menzionare il caso in cui si voglia entrare
nel commercio elettronico e si debbano integrare nel processo problemi di
vendita e di logistica…
In modo collegato c’è il problema della scarsa
conoscenza media di Internet in azienda. Se vogliamo che tutte le persone
coinvolte nel progetto possano fattivamente contribuire, sarebbe necessario
dare a tutti l’accesso a Internet, stimolare l’esplorazione, fare un training specifico
(più in termini di Internet marketing che di ‘tecnica’ – il che è ben più
complesso e costoso…).
Fra l’altro, una volta che siamo riusciti a mettere
in moto la ponderosa macchina aziendale e tra mille difficoltà abbiamo finito
il sito, ci troviamo di fronte alla necessità di aggiornarlo. Dobbiamo quindi
ricoinvolgere le persone…che scoprono che Internet è un progetto on-going, un
tormentone che non finisce mai e che assorbe su base continuativa tempo e
risorse.
Conclusione #9 - Non è generalmente una scoperta
che ci rende molto popolari in azienda.
Avvicinandoci alle conclusioni: mettersi su
Internet è un processo impegnativo. Che tra l’altro ci capita addosso proprio
in un momento in cui la competitività sui mercati si sta esacerbando – abbiamo sempre
più cose da fare, sempre meno persone, soldi, tempo e risorse per gestire il
nostro business. Senza poi contare le pressioni cui il management ci sottopone
quotidianamente.
Conclusione # 10 – visto abbiamo già il nostro bel
da fare, che Internet è complesso, da seguire su base continuativa con impegno
ed intelligenza, che è un campo ancora abbastanza inesplorato, che comporta
mutamenti pesanti nell’organizzazione del lavoro…. Non è che forse sarebbe
meglio lasciar stare e continuare a vivere in modo più sereno continuando a
fare quello che siamo abituati a fare?
La mia risposta, come anticipato all’inizio, è che
probabilmente non conviene buttarsi in questo marasma.
Viviamo tranquilli e stiamo lontani da rischiose
sperimentazioni.
Spero di avervi illustrato esaurientemente le mille
ragioni per non fare Internet.
Per esclusivo amore di obiettività mi tocca adesso
sussurrare che, forse, una piccola ragione per fare seriamente Internet ci
sarebbe.
Una ragione piccolina, ma fastidiosa. Si tratta
dello scenario concorrenziale.
Si tratta del fatto che il nostro consumatore non
ci ha sposato e se ha deciso di usare Internet non si farà problemi a dare i
suoi soldi ai nostri concorrenti che su Internet ci vanno giù pesante.
Che al nostro Cliente i nostri problemi non
interessano – ne ha già troppi di suo.
Del fatto che la nostra concorrenza non è più a
livello locale: potenzialmente ce li abbiamo tutti contro, dalla multinazionale
americana al sottoscalista di Castagnole Lanze.
Del fatto che la fuori c’è gente affamata di
mercato, pronta a darsi da fare buttarci fuori, con tutti i mezzi e tutti gli
strumenti.
Che c’è gente giovane e brava, aziende piccole e
dinamiche che aggrediscono il mercato. Del fatto che, se noi non ce la facciamo
a ristrutturarci per seguire Internet, aziende più piccole e flessibili (di
quelle che possono decidere e implementare decisioni nel corso di una notte)
possono dare ai nostri clienti un
servizio migliore.
Che ci sono multinazionali che non hanno grossi
problemi ad investire qualche milione di dollari solo per vedere se questo
Internet funziona davvero.
Che negli Stati Uniti le agenzie di viaggi hanno
visto ridursi le commissioni sulla vendita di biglietti aerei – le compagnie
aeree vendono talmente bene in rete i biglietti agli utenti che non vedono più
forti ragioni di coccolare troppo i rivenditori tradizionali….
Internet: vale la pena di occuparsene?
Internet è spesso ancora percepito come
‘sperimentale’; non gli viene quindi dedicata troppa attenzione. Questo vuol
dire rimandare ad un indefinito futuro una attenta valutazione di come questo
nuovo strumento di marketing, comunicazione e commercio possa costituire un
nuovo tool per l’azienda (o possa rappresentare una minaccia nelle mani della
concorrenza). E’ la classica sindrome del “se nessuno dei miei concorrenti lo
fa allora vuol dire che non vale la pena di farlo”.
Se Internet non viene preso sul serio dalle aziende
non emerge la necessità di un’azione formativa del management su queste nuove
frontiere della comunicazione. Visto quindi con gli occhi e gli strumenti
tradizionali, Internet ha poco senso e si conclude frettolosamente che il mezzo
non è adatto o che non è efficiente.
Anche per le aziende che hanno comunque deciso di
“fare Internet” la tentazione è quella di considerarlo come un evento one shot,
una operazione da compiere una volta (e da aggiornare, se del caso, un paio di
volte l’anno…). Può anche essere
compreso, da parte del committente, che usato così Internet serve a poco o
niente… ma, d’altra parte, moltissime aziende esistenti sembrano non essere in
grado di fare di meglio.
Impossibilità della delega
Usare bene Internet significa adottarlo come uno
dei processi continuativi di comunicazione e vendita dell’azienda,
attribuendogli la stessa importanza di azioni quali la realizzazione e
l’aggiornamento del catalogo al pubblico. Questo implica investire attenzione,
risorse, soldi, persone, formazione. Per peggiorare le cose, l’aggiornamento
del proprio sito deve avvenire molto spesso. La quantità di informazioni e
contenuti da inserire nel sito può essere decisamente rilevante. Tutto ciò non è
evidentemente compatibile con un processo di approvazione gerarchico o con un
processo di sviluppo che coinvolga più di tre o quattro persone.
Difficoltà ad essere flessibili
Se ogni pagina richiede l’approvazione ( e le
richieste di revisione) di 5 o 6 persone, se lo sviluppo di una nuova sezione
del sito richiede sei mesi e la sua successiva revisione ne richiede quattro -
mentre i concorrenti aggiornano il proprio sito in tempo reale…forse è meglio
che l’azienda ammetta la propria incapacità ad evolversi per adattarsi al
proprio ambiente ed inizi a considerare serenamente l’estinzione come una
possibilità.
Il meglio è nemico del bene
Un sito fatto bene, pensato a fondo dal punto di
vista sia marketing che creativo può essere fatto in sei settimane. Bisogna però
correre tutti, essere decisionisti, viaggiare senza intoppi, accettare il fatto
che il sito iniziale non sarà perfetto, non sarà completo e dovrà essere
continuamente affinato con l’esperienza fatta con la prima versione. Bisogna
essere disposti a sacrificare serate e weekend per lavorare ed essere in grado
di esprimere commenti ed approvazioni nel giro di una giornata al massimo.
Bisogna metterci dei soldi veri per aver un numero adeguato di persone che ci
lavorano.
Bisogna avere voglia di segare le gambe a quel
pachiderma del proprio concorrente che sono sei mesi che sta cercando di
decidere se scegliere per il suo sito la gabbia grafica con le roselline o le
farfalle e che da otto sta cercando di giungere ad un accordo interno sui testi
(accordo impossibile: nel tempo che ci mettono per concordare qualcosa è
tutto da rifare perché fortunatamente l’azienda non si ferma ed ha evoluto
la propria linea di prodotti).
Forse è meglio partire in fretta con un sito
accettabile che arrivare per ultimi con un sito perfetto…o meglio perfetto per
quella che era la situazione di 12 mesi fa…(grazie a Dio i nostri progenitori
non hanno aspettato lo sviluppo del pneumatico radiale prima di inventare la
ruota…).
Il teorema della coperta corta
Ad Internet, anche perché storicamente è stato
posizionato come un mezzo dai costi contenuti, vengono dedicate le briciole.
Sia in termini di budget (e passi) sia in termini di risorse umane/tempo. E’
sempre il tema della sperimentalità dell’area – in un mondo in cui i risultati
si valutano sempre più sul breve periodo.
Non ci si può forse aspettare molto di diverso dal
mondo delle aziende italiane – note per essere tra le aziende del mondo
occidentale con i minori investimenti in ricerca e sviluppo. Va comunque detto
che anche nei mitici USA le cose stanno peggiorando.
In un recente documento della Comunità Europea
veniva sottolineato come, ad esempio,
l’estrema competitività nel mondo delle telecomunicazioni sta rendendo
sempre più difficile fare ricerca di base in questo campo, anche negli Stati
Uniti. La disperata ricerca di risultati a breve sta rendendo critico
l’investimento in ricerche a lungo periodo. Nel documento viene ipotizzato che
se ci fosse stato all’epoca questo tipo di scenario, non si sarebbe
probabilmente arrivati all’invenzione del transistor – ci si sarebbe limitati a
spremere qualcosa di più dalle valvole.
Val la pena di ribaltare l’azienda per fare
Internet?
Risolvere questi problemi significherebbe
modificare pesantemente strutture, procedure e filosofie aziendali. In sostanza
destabilizzare lo status quo. Un’azienda piccola troverà più facile farlo.
Un’azienda grande, ricca, aggressiva e con vision troverà il coraggio e le
risorse per affrontare questo mutamento. Aziende grandi e burocratiche o
piccole e tradizionaliste non saranno probabilmente in grado di affrontare
questo cambiamento.
Appare molto probabile, quindi, che il problema
vero non sia l’adozione o meno di Internet quanto una generale approccio
all’innovazione e la capacità di reagire in modo efficace alle mutate
condizioni del mercato.
In estrema sintesi, ho il sospetto che un gran
numero di aziende non sia in grado di cambiare la propria struttura, il proprio
modo di delegare e di approvare in misura sufficiente per poter pensare ad
Internet come ad uno strumento chiave. Forse il reale effetto di questa incapacità
sarà quello di decretare l’irrilevanza progressiva di una serie di protagonisti
e sanzionare l’inaspettato successo di outsider più capaci.
Al di là quindi dei confini nazionali (e
trascurando il fatto che Internet abbatte le barriere e favorisce quelli che
sono partiti per primi, quindi gli americani), si possono trarre delle semplici
conclusioni.
La fuori c’è gente affamata, pronta a tutto pur di
rubarci il mercato. Concorrenti pronti a
dare di più al consumatore ( la cui fedeltà alla marca può essere messa
in crisi da un miglior prezzo o servizio), pronti ad usare Internet al meglio.
Cambia radicalmente il concetto di barriera
all’ingresso: vendere su Internet implica l’irrilevanza della posizione
geografica, delle dimensioni dell’azienda, della struttura distributiva; la
“concorrenza” ai propri prodotti può essere portata da aziende piccole o
grandi, locali o poste oltreoceano. Piccoli operatori possono infiltrarsi in
mercati sinora solidamente blindati.
Il pesce piccolo è più rapido del pesce grosso.
Piccole aziende dinamiche possono avere un ‘time to market’ molto più
contenuto, sia in termini di prodotto che in termini di marketing,
comunicazione, presenza e aggiornamento internet. Questo anche solo per una
struttura di management più piatta e un processo decisionale più corto (per non
citare la filosofia vincente del “dai, prendi su la lima che per stasera in
qualche modo la risolviamo”)
Il pesce grossissimo è più cattivo: disposto ad
investire le risorse umane e finanziarie necessarie, disposto a crederci,
aperto all’internazionalizzazione.
La nostra azienda è in mezzo al mare. Resta da
capire se è tra quelle che tirano morsi o tra quelle considerabili come fast
food.
E’ infatti tutto da capire se (come e perché) avendo
la nostra azienda avuto successo finora, potrà continuare ad averlo.
Sembra una affermazione esagerata? Assolutamente
possibile. In fondo dipende tutto da un piccolo aspetto chiamato ‘vantaggio
competitivo’. Il mio cliente compra da me se la mia offerta è migliore di quella della concorrenza.
Potremmo stare qui per altre quindici pagine a
teorizzare su come Internet possa modificare il concetto stesso di vantaggio
competitivo; ritengo però più utile impiegare meno spazio ed elencare un po’ di
aree dove Internet potrà mettere (o ha già messo) un po’ di aziende nei
casini. Stimoli di riflessione,
chiamiamoli… o forse crepe nella diga.
L’irrilevanza progressiva di certi vantaggi
competitivi…
Le assicurazioni automobilistiche
Le tradizionali compagnie assicurative hanno sempre visto le polizze RC Auto come
una fonte di perdite ed una seccatura – ma sono obbligate ad offrire questo
servizio. Una serie di aziende innovative sono riuscite a trasformare questo
bidone in una interessante opportunità di business.
La selezione del target (scremando la parte meno
remunerativa del mercato) e l’abbattimento dei costi di struttura e di servizio
consentono prezzi molto competitivi. E’ evidente che, per le migliaia di
clienti di questi nuovi servizi, la prossimità dell’agenzia o professionalità
dell’agente (due fronti in cui le assicurazioni hanno sempre molto investito)
non hanno rappresentato un vantaggio competitivo rispetto a rapidità e
risparmio. Dal telefono ad Internet il passo è breve…(e “loro” lo stanno facendo)
così come dalla RC alle ben più lucrose polizze vita.
Le banche
Anche in questo caso la copertura geografica con
una vasta rete di sportelli è stata considerata una priorità strategica – a
volte anche la preparazione del personale di vendita/di sportello. La comodità
di operare in tempo reale, in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora sui propri conti
(assumendo che ci si convinca della sostanziale sicurezza della rete) non è
forse in grado di essere molto più efficace? Certo, non per tutti…solo per persone
di alta cultura, posizione socio economica elevata, approccio dinamico al
mercato etc… insomma, forse solo per quei clienti che hanno un bel po’ di soldi
e li fanno girare…Alcune banche hanno molto investito nei servizi via telefono
ma penso sia evidente quanto è più pratico poter leggere i propri dati
piuttosto che prenderne nota tenendo in precario equilibrio la cornetta sulla
spalla.
La Borsa
I broker USA stanno guardando con estrema
preoccupazione ad Internet. Il loro vantaggio competitivo non sembra essere più
molto competitivo se il 20% delle transazioni passa ormai per via telematica.
Charles Schwabb, il maggiore discount broker americano, è ormai attorno o oltre
il 50% di transazioni on-line sul suo giro d’affari, pari a circa 2 miliardi di
dollari la settimana negoziati via Internet…
Le librerie
In Italia l’offerta in questo campo (nonostante
alcuni tentativi ed alcune dichiarazioni d’intenti) non sembra essere un gran
che. Guardando agli USA, nessuna libreria tradizionale è in grado di competere
con i 2.5 milioni di titoli di Amazon.com. Gli ingenti investimenti fatti da
una libreria tradizionale per fornire una offerta molto vasta risultano in:
a. Alti
costi dei locali, vasti per contenere una mole di libri, abbastanza centrali
per offrire comodità ai clienti; alti immobilizzi di capitale
b. Alti
costi di personale, per fornire assistenza, servire e controllare i clienti
c. Copertura
geografica molto limitata: per libri ‘normali’ probabilmente non passa il
quartiere, per libri più difficili da reperire la città o la provincia. Oltre
si entra nel campo della vendita per corrispondenza…
E se Amazon, una volta in profitto negli USA
decidesse di replicare il modello in altri paesi? Tramite una buona alleanza
con un retailer del settore e portando tecnologie ed un modello di business già
collaudato, non ci vorrebbe molto a mettere in piedi un sistema efficace anche
in Italia. Con una base di costi più contenuta, sarebbe facile adottare
politiche di prezzo competitive…
Agenzie di Viaggi
Negli ultimi anni le compagnie aeree americane
hanno lentamente ridotto le commissioni alle agenzie di viaggi sulle vendite
dei biglietti aerei, con l’obiettivo di migliorare la profittabilità. Siamo
adesso attorno all’8%, con un massimale di 50$ per biglietto.
Considerando che:
a. secondo
l’Air Transport Association of America il costo di emissione di un biglietto
tradizionale è di 8$ mentre il costo di
emissione di un biglietto ‘elettronico’, richiesto via Internet da un cliente
alla linea aerea è di 1$ circa;
b. Le linee
aeree hanno in progetto di tagliare i loro costi di vendite e marketing di circa il 20-30% nei
prossimi tre anni, preferibilmente attraverso l’uso delle tecnologie;
quanti motivi di dormire tranquilli di notte hanno
le agenzie di viaggi americane? (senza contare che le agenzie di viaggi trovano
difficile competere con i servizi last minute a prezzi stracciati che si
trovano in rete).
E potremmo continuare così ancora per un po’…anzi,
mi riprometto, più avanti, di aggiornare questa lista di vincitori e vinti del
mondo on-line.
In conclusione
Se, come molti di noi pensano (al punto di
scommetterci il proprio futuro professionale), Internet diventerà una
significativa realtà…è altamente probabile che un gran numero di aziende
attualmente di successo si trovino un domani in situazioni alquanto
imbarazzanti.
Per avere un idea, guardiamo al passato; ai
fabbricanti di carrozze che non hanno saputo cogliere l’opportunità della
nascita delle automobili, a certe aziende un tempo di successo che non sono
state in grado di capire e cavalcare la rivoluzione distributiva costituita dai
supermercati, alla grande Francia che si sentiva al sicuro dietro alla Linea
Maginot in mondo che si spostava verso il Blitzkrieg…
Cambiare è rischioso, adottare Internet come
componente strategico della propria azienda è sicuramente faticoso e doloroso…
ed è una scommessa.
D’altra parte forse ha ragione chi frena su
Internet; l’Italia è indietro, è diversa, non siamo gli Stati Uniti. E anche se
negli Usa Internet stia diventando un fenomeno di tutto rispetto, da noi non
sarà così.
No, non capiterà questa volta quello che e
‘successo con i McDonalds, la musica, i film e in generale la cultura, il
marketing, le sigarette americane, il successo delle multinazionali… no, questa
volta l’Italia manterrà una propria posizione originale. Di retroguardia come
al solito, ma originale.
Il milione o due di Internet user italiani si
stancheranno, spegneranno i modem e consiglieranno a parenti ed amici di
lasciar stare. Torneranno a consumare solo TV e giornali. Passerà la moda e
tornerà il sereno dopo questa tempesta in un bicchiere d’acqua.
Se uno non se la sente, c’è poco da fare, è inutile
sforzarsi. Se decidiamo di prendere Internet sottogamba possiamo continuare a
vivere sereni e produttivi lo stesso. Almeno per un po’.
Io credo che i dinosauri si siano estinti poco a
poco, senza catastrofi ecologiche. E sono pronto a scommettere che si sono
spenti senza fare troppe storie, pensando “meglio aspettare un attimo, vediamo
come evolve la situazione…”.
Peccato che l’evoluzione di una specie, spesso,
passi per l’estinzione di altre.
In bocca al lupo, ne abbiamo bisogno tutti.