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mercoledì, maggio 20, 2015

KitKat cambia nome e diventa YouTube Break (in omaggio, la ricerca vocale)

Diciamocelo: KitKat è una marca aperta a un approccio molto laterale di comunicazione - e molto coraggioso: al punto di potersi permettere di giocare con il proprio brand, cambiare (temporaneamente) il proprio naming.

Chapeau.

Riesce dunque a far parlare nuovamente di se' sul fronte digitale e nuovamente lavorando con Google, dopo lo spettacolare caso del branding di una versione del sistema operativo Android, vedi:

http://robertoventurini.blogspot.it/2013/10/come-si-fa-innovazione-nel-marketing-il.html

http://robertoventurini.blogspot.it/2013/11/android-44-kitkat-unboxing-ma-e-quello.html

In breve: 600.000 barrette (da collezione, direi) saranno confezionate in Gran Bretagna rinominate come "YouTube Break"

Il pretesto sono i 10 anni di YouTube (maronna, come passa il tempo quando ci si diverte) e gli 80 di KitKat (ma dai?)

La ricerca vocale è parte del pacchetto: effettuando una ricerca vocale su Android, pronunciando "Kit Kat YouTube My Break" si verrà portati ad una selezione "curated" di video trending su YouTube (bah...)


Nestlé and Google have today announced they are joining forces to launch “YouTube my break” limited edition KITKAT® packs, as part of Nestlé’s ‘Celebrate the Breakers Break’ campaign. This is the biggest redesign of the iconic KITKAT® wrapper since the brand came to market 80 years ago.

On top of the packaging initiative, Nestlé is also using Google’s voice search technology to deliver the world’s most entertaining videos straight to its customers’ mobiles. Searching for “KitKat YouTube my break” on their phone, users will be introduced to a KITKAT® video followed by a playlist of the latest top four trending YouTube videos anytime, anywhere worldwide.

Ma, a quanto pare, il gioco del naming non finirà qui e lo snack del break cambierà prossimamente, tatticamente, nuovamente nome. In una logica di PR digitali (e non solo) ongoing. Stay Tuned.

giovedì, aprile 09, 2015

Parliamo di Branding: Air France, bellissimo safety video


In realtà qui parliamo di due cose. 

Prendiamo spunto da un pezzo di comunicazione per fare delle riflessioni strategiche e magari anche un po' didattico/formative.

Parliamo del nuovo safety video di Air France.

Molto elegante, sofisticato... molto "francese". Très chic.

Everything communicates. Per una linea aerea i pasti, le uniformi, il profumo a bordo dell'aereo.
Il Safety Video.
Come sanno benissimo ad esempio quelli di Air New Zealand .

Facciamo una prova, a scopo didattico. 
Pensate ad Air France e a cosa sentite in relazione alla marca (se avete avuto tremende disavventure con loro vabbé, lasciamo perdere, vale più un oncia di performance che una libbra di immagine).

Adesso guardate l'inflight video:



E ripensate a Air France. 
Secondo me adesso la percepite in maniera diversa, inevitabilmente: tutto comunica, video e musica lo fanno in modo molto forte, il nostro sistema di mappatura delle marche reagisce automaticamente agli stimoli.

Tra l'altro, mossa intelligente ma non scontata nell'esperienza pratica, la compagnia aerea francese ha investito non poco in advertising con la nuova campagna tv (e non solo). Ed ha allineato tutta l'experience.

Ecco la campagna:

 

Sembrerebbe ovvio che questo rebranding, questo nuovo corso di comunicazione si trasferisse su tutti i tool o meglio su tutti i touchpoint verso i clienti e i prospect.

E il security video è uno dei touchpoint topici... che normalmente viene non-gestito, non-normalizzato, non-allineato. 

Come se quando si arriva alla realtà delle cose, quando si sta per erogare il prodotto/servizio,  quando i soldi li hai cacciati e hai comprato il biglietto, l'azienda smettesse di fingere e parlasse con la sua vera voce. 

Fredda, impersonale, un po' antipatica... a giudicare dalle migliaia di esposizioni che ho avuto a questo tipo di video tecnici e molto poco interessati a me come essere umano. Zero relazione. Pura funzione.

E poi si potrebbe parlare della francesità della marca, del fare leva sulla percezione del loro sistema paese, degli stereotipi (positivi, sofisticati...) sfruttati in comunicazione.

Secondo tema:

Io, che ho viaggiato non poco in aereo, sarei probabilmente in grado di recitare a memoria il testo di uno di questi video. Tutti uguali e standardizzati, per esigenze di sicurezza.

Il safety video è probabilmente la cosa cui facciamo meno attenzione nella nostra vita.
Eppure contiene informazioni potenzialmente vitali.

Beh, io questo video di Air France me lo sono guardato tutto e me lo riguarderei pure. Alla faccia del content più noioso del mondo... con l'intelligenza nel trattamento si fanno miracoli.

Poi si potrebbero fare dei ragionamenti psicologici/subliminali, sulle capacità del video di rilassare, rassicurare i passeggeri, farli sentire più protetti o più sedotti.. ma questo non è esattamente il mio campo, quindi mi astengo :-))
 PS: no, non sono al soldo di Air France, questo è davvero un post spontaneo e non un pay per post :-)))

Ma se proprio insistessero.. beh, parliamone (accidenti, avrei dovuto fare il  travel blogger, non il blogger di marketing e comunicazione digitale e men che meno di strategie digitali)

PPS: sul tema video di sicurezza, ne ho parlato più volte su questo blog (è un tema che mi diverte). Se cercate un po' trovate altri esempi.

martedì, ottobre 28, 2014

Il branding in 3 Minuti #StrategiaDigitale [Video]


Il Branding, ovvero le attività di creazione, definizione, manutenzione di una marca è una delle attività più alte e complesse che possa fare uno stratega, quindi un planner.

Purtroppo oggi viene fortemente sottovalutata... dalle aziende che, guarda un po', non hanno una marca forte.
E non capiscono perché aziende dalle marche fortissime spendano e continuino a spendere per lavorare sulla marca. Facciano strategie di branding.

E non capiscono perché le vendite vanno giù (eh, beh, se non sei percepito come qualcosa di speciale, meglio tu sia il meno caro del mercato)

Vabbè.

Allora, se non sapete di cosa sto parlando, e non avete le idee chiare su cosa sia un brand (NON E' IL LOGO!!) iniziate dal leggervi questo articolo di Wikipedia, che non è male:
http://en.wikipedia.org/wiki/Brand

Poi, se volete, questo video non è male, da' qualche spunto...



e questo racconta in termini didascalici (e divertenti) cos'è il branding:



Avete ancora qualche minuto? Guardatevi anche questo filmato:

mercoledì, ottobre 15, 2014

Quali sono le 100 marche che valgono di più? BrandZ (la #1 è cambiata...)



Ecco la nuova edizione della ricerca di BrandZ, sulle 100 marche dal maggiore valore economico complessivo (in realtà è uscita a Maggio...ma non avevo ancora trovato il tempo di parlarne).

Indovinate un po' chi c'è al #1, qual è la marca dal maggior valore nel nostro sistema solare...

Se avete 4 minuti, guardate il video:



Se non li avete o ne avete di più, ecco la presentazione che potete sfogliare online

Oppure qui sotto trovate la ppt in Slideshare:




L'infografica la scaricate qui

Se non vi basta, ecco il link all'app per iOS e per l'app Android.

E qui il video di presentazione che spiega tutto l'ambaradan (1h 22'):

lunedì, ottobre 13, 2014

Ecco come si fanno le cose sul serio: Barbour, Instagram, Social, strategia.

Ottimo esempio di campagna fatta come si dovrebbe fare.

Non (solo) perchè ha delle soluzioni creative belle - ma perchè ha un pensiero robusto e strategico dietro, che si scarica in una serie di azioni. Che, tutte assieme, lavorano bene su marca e prodotto, -appoggiandosi su una solida comprensione di target e valori della marca.

La video case history spiega bene, ma vi faccio un riassuntino.

Il progetto è quello del Barbour International Tour (guardatevelo) fatto con top Instagrammers (/blogger)

1. Barbour internazionalmente è molto legato, storicamente, al mondo della moto (viaggi, emozioni, avventura).

2. La marca ha targettizzato in modo intelligente suoi target differenti, con creatività differenti

3. Le creatività sono basate su Instagram - con un lavoro di eccellenza su questa piattaforma (non la solita roba al risparmio che si fa da noi) ricorrendo a una decina di top Instagrammers.. per realizzare dei video insieme a una decina di ottimi registi emergenti.

Si è anche poi (ovviamente) fatto un (grosso) concorso per la community mondiale degli Instagrammers. Il che ha allargato considerevolmente, a livello mondiale, la reach della campagna, coinvolgendo persone motivate, communities localmente molto attive e appassionate.

Il tema è quello degli #inspiringplaces - e i video sono stati girati e montati usando gli smartphone - fatti al 100% su Instagram. E, ovviamente, gli Instagrammers (così come i registi) sono stati remunerati per questa operazione.

4. La pianificazione pubblicitaria è stata pensata in maniera corretta, per interessi, più che per demografia

Insomma, guardatevi il video:




Approfondimenti e link:
Twitter: @Barbour #inspiringplaces

PS: Interessante (anche se funziona su altri binari, essendo mirato a un pubblico inglese, con quindi realtà e strategie diverse) il blog di Barbour: http://www.barbour.com/blog. Se però andate alla sezione "International" vi ritrovate dritti dentro la strategia globale, giustamente.

PPS: L'aspetto fotografico, nella loro strategia appare essere importante - ad es. su Facebook guardate queste collaborazioni con Travel Blogger come Jennifer Carr e con gli Instagrammers

mercoledì, maggio 28, 2014

#strategiadigitale - User Generated Marketing: cos'è e riflessioni. Approfondimento del manuale



Nel capitolo 10, a pagina 145, accenniamo allo User Generated Marketing; poi anche per questioni di spazio non approfondiamo il tema. Approfitto allora del  mio blog per fare qui questo approfondimento, riprendendo discorsi che avevo già fatto in passato...

Si definisce User Generated Content, in termini letterali, l'insieme di tutti quei contenuti che sono creati dagli utenti e in un qualche modo messi a disposizione dell'azienda. Quei contenuti che le persone sviluppano, spontaneamente, per farsi ambassadors, evangelisti, per testimoniare il proprio amore per noi.

Questo, almeno, in teoria. Nella visione più alta. Che dovrebbe più correttamente essere chiamata User Generated Marketing. Marketing fatto per conto nostro, a nostro favore. Spontaneamente o a seguito di nostri stimoli.

Nella pratica del lavoro della comunicazione, si è in realtà trasformato in una strategia / tattica che chiede, stimola le persone a svolgere contenuto a nostro favore. Si chiede di applicarsi ad attività di questo genere:
- sviluppo di innovazioni di design, addobbo
modifica dei nostri prodotti, con elaborazioni di tipo grafico o suggerimenti sotto forma di testi
- invio di foto o filmati che mostrano come il nostro prodotto viene usato, anche in contesti inconsueti
- redazione di storie basate sui nostri prodotti e di come i nostri prodotti influiscono sulla vita dei nostri utenti
- invenzione di materiali di comunicazione per i nostri prodotti (ad esempio, questo)
- composizione di musiche o altre opere dell'ingegno ispirate dai nostri prodotti...

Non necessariamente perché ci amano; più spesso perché c'è una qualche forma di remunerazione, un concorso, un benefit. Come in questo esempio.

Va detto che negli ultimi anni la gente sembra essersi un po' stancata di sviluppare content per conto nostro (con notevolissime eccezioni). Si sono viste molte operazioni (tipicamente scrivi un racconto, manda una foto o un video) che sono andate quasi deserte. Troppo complesso, troppo impegnativo per un utenza superficiale, specialmente se non emotivamente coinvolta con la marca o motivata in altri modi.

La partecipazione spontanea può essere molto forte in quei casi, come Fiat 500, dove c'è un forte coinvolgimento emotivo con la marca o il prodotto, attesa, amore e passione per la marca, stima per l'azienda, identificazione del ruolo dell'utente (se' stesso) con quello di un esperto, di uno più avanti o intelligente perché ha saputo scegliere il prodotto giusto e intende far sapere a tutto il mondo quanto sia in gamba.

Questi casi non sono però purtroppo universali, e nella maggior parte dei casi il trasporto emotivo verso il nostro prodotto è modesto.

In alcuni (rari) casi di successo, si è riusciti anche a coinvolgere le persone in progetti di comunicazione - non tanto chiedendo loro di realizzare in outsourcing (a costi zero o comunque fuori mercato) proposte di campagne; quanto offrendo loro modo di partecipare con un loro contributo personale, come in questo caso di Toshiba + Intel.

Se invece ci amano, dobbiamo tenere conto che uno degli aspetti più interessanti portati dalla rivoluzione digitale è che la "ownership" di una marca può scappare dalle mani dell'azienda. E finire nelle mani delle persone, che la reinterpretano a piacimento - a volte lungo linee in collisione con l'impianto strategico che l'azienda si è data. Come racconto in questo mio post.

Un altro esempio, sul fronte spontaneo, è Ikea Hacker. In estrema sintesi è un blog in cui un certo numero di geni e di folli condivide col mondo quello che è riuscito a fare "hackerando" i prodotti Ikea, prendendo un pezzo pensato per un certo uso e scopo e trasformandolo, modificandolo, rivoluzionandolo. Condividendo poi il tutto con la comunità. 

Qui c'è gente che si appropria di un prodotto e lo reinterpreta. Che fa del marketing autogenerato per Ikea e lo diffonde - in maniera incontrollabile per l'azienda. Con tutte le opportunità e i rischi del caso.





giovedì, dicembre 20, 2012

Monitorare l'uso della propria marca su Instagram

Gazemetric vi dice come è fotografata la vostra marca su Instagram...

Un post un po' diverso da solito, ma che mi permette di affrontare un tema che mi interessa: quello del controllo della marca (o meglio del suo monitoraggio) sul mondo social.

L'ascolto, l'analisi semantica, il tracking... tutto facile e bello (volendo, basta pagare dei competenti professionisti) quando quello che vogliamo monitorare è un testo. Leggere cosa dicono di noi.

Ma se la marca viene reinterpretata visivamente? Se prende piede un trend di riappropriazione, di deformazione, reinterpretazione della marca e dei suoi visual? (Cercate per immagini su Google cosa emerge su Nutella, ad esempio, e confrontatelo coi valori del brand).

Ho trovato quindi interessante l'announcement di questa stratup - non che voglia "endorsarla", non ho idea di come "performi", ma mi sembra l'inizio di un possibile trend di applicazioni e servizi che tengano d'occhio servizi come Pinterest e Instagram.

Gazemetric è un'azienda che tiene sotto controllo come la vostra marca compare su Instagram, identificando la presenza del logo (attraverso l'uso di un software di riconoscimento delle immagini) - permettendovi di sapere dove, come, da chi la marca è stata fotografata etc etc, .

Al momento sono focalizzati su Instagram, ma dovrebbero aprirsi a Twitter e Facebook. Per tutto il resto, potete visitare il loro sito, che ve la raccontano meglio di me. 

venerdì, novembre 09, 2012

Una Risata Amara sull'Employee Branding. Ma in Italia vince Hera.

Riprendo ed attualizzo un mio articolo di qualche tempo fa sull'employee branding, che mi sembra ancora interessante - facendone una versione  più adatta per il blog.
Enjoy.


I mondi delle tecnologie e della comunicazione viaggiano veloci, velocissimi, e propongono un possibile futuro (a volte, sbagliando clamorosamente).

La società si muove più lentamente, a velocità diverse, dividendosi in innovatori, in immobilisti e tutto quello che c’è nel mezzo.

Le aziende e la loro cultura tendenzialmente viaggiano ancora più lentamente, restando indietro rispetto a tante cose, rischiando di trovarsi in sintonia solo con la fascia più conservatrice del pubblico.

Essere innovatori vuol dire guardare avanti ma anche andare avanti. E andare avanti significa cambiare. E cambiare porta un rischio di forte lacerazione, di destabilizzazione dell’impresa e dei suoi meccanismi aziendali e di carriera; meccanismi che spesso premiano in maniera prioritaria il non sbagliare, quindi la riduzione totale del rischio. Anche a costo del risultato.

La nostra migliore pubblicità sono i dipendenti soddisfatti

La risata amara me la sono fatta ieri, leggendo in rete una cosa che mi ha riportato alla mente l’utopia dell’employee branding.

Per chi non fosse addentro al concetto, un breve background: la prima o comunque una importante fonte di comunicazione dell’azienda verso l’esterno è costituita dalle sue persone, i dipendenti. Un contatto umano è più forte di qualsiasi pubblicità; l’impatto che mi può fare un commerciale, un addetto al call center, un tecnico è determinante per formarmi o de-formarmi l’idea, il brand dell’azienda.

Un gruppo di persone entusiaste, che credono nell’azienda, che ne condividono la filosofia, che si trasformano volentieri e spontaneamente in evangelisti può portare un sacco di business, per ridurre al succo il discorso.

Dare l’idea al mercato di un’azienda felice, aiutare ad attirare talenti; creare un’appeal verso la marca di quelli che portano giornalisti e blogger a fare la coda per intervistarti, capire il successo, farti un sacco di pubblicità gratuita.

Un' Utopia?
Di tutti gli strumenti di marketing e comunicazione che conosco, quella dell’employee branding mi sembra la più fantascientifica, specialmente da noi (ma non solo).
Io ormai conosco non più di quattro o cinque aziende di cui posso dire che le persone ci vivono contente. In due o tre aziende ho fatto dei progetti che hanno rapidamente esplorato come possibile strategia quella di lavorare sui dipendenti.

In una o due aziende che conosco non hanno bisogno di consulenza, su questo - perché istintivamente o ideologicamente hanno già fatto le cose giuste, e i dipendenti sono fieri della propria appartenenza.

L’altro 99% delle aziende è fatto da persone insoddisfatte o decisamente arrabbiate, che alla prima occasione ti svelano gli altarini, minano la comunicazione raccontandoti come
l’approccio al cliente o la vision/mission siano solo escamotage di marketing all’interno di aziende totalmente ciniche, pronte a essere come tu mi vuoi, a condizione che la gente se la beva e compri. Basta che funzioni.

Il distacco tra realtà e comunicazione si sta dunque approfondendo, violando uno dei principi storici del settore; per funzionare occorre dire cose vere, come dice il motto di un’agenzia per cui ho lavorato: «verità ben dette». 


Il mercato già da tempo percepisce il marketing e la comunicazione come una fabbrica di menzogne. Oggi, con i social media, le reti e tutto il resto, le menzogne hanno le gambe corte. 

E non si fermano agli addetti ai lavori. Le persone dunque non sono più una risorsa, non più di quanto lo sia una fotocopiatrice che si può sostituire e che comunque deve lavorare alla pressione di un pulsante? Siamo liquidi, siamo disposable?

In realtà, in Italia c'è qualcuno che lo fa bene...
Cito testualmente: 

"L’Italia ha ancora molta strada da fare nell’employer branding online: lo sostiene la seconda edizione della ricerca Employer Branding Online Awards Italy 100, condotta da Lundquist, che vede ai primi tre posti nel nostro Paese il gruppo Hera,Telecom Italia ed Eni per capacità di comunicare su Internet il proprio valore come datori di lavoro ai dipendenti attuali e soprattutto potenziali." 

Leggete il resto qui: http://www.corrierecomunicazioni.it/media/18016_employer-branding-online-hera-telecom-e-eni-le-top-italiane.htm


Opportunità o minaccia?

L’azienda oggi oltre a tutte le difficoltà che deve già superare si trova spesso dunque ad affrontare il tema dell’employee branding non come una opportunità, ma come una difficoltà,  una PR Crisis, un fattore di pubblicità negativa che l’azienda autogenera su base continuativa. 
Per me è un sollievo incontrare qualcuno che mi racconta di cose belle della propria azienda. Di visioni, di una comprensione, di un investire sulle persone piuttosto che sui mobili o le tecnologie. E sono quelle le aziende da cui preferisco rifornirmi. 

Sia per la visione etica centrata sull’essere umano, sia per la maggiore intelligenza dimostrata, sia perché – scusate la brutalità – galline felici fanno uova migliori e quindi sarò probabilmente un cliente più soddisfatto (evviva il cinismo).
Da dove cominciare
In un mondo sempre più social e ciarliero, avere persone che credono nell’azienda significa anche avere un volume di comunicazione spontaneo sui social media che difficilmente potremmo ottenere, anche pagando un sacco di soldi. 

Ma tant’è, la cultura aziendale è quella che è, le pressioni degli azionisti sono quelle che sono, il modo di considerare (nella pratica, non nelle dichiarazioni) le persone lo conosciamo. 

Prima dunque di investire in operazioni di engagement sui social media per generare buzz positivo, permettetemi una piccola raccomandazione: cerchiamo di evitare la generazione di un buzz negativo. Per quello non c’è censura che tenga.
P.S. –  segnalo due link da cui imparare questa buffa cosa che sarebbe  l’employee branding fatto bene: Employees Branding Guidelines e Happy People makes Happy Businesses.

lunedì, ottobre 22, 2012

Strategia Disney e le Principesse. Bel pensiero.

Questo è un esempio di forte pensiero strategico, su cui planner e affini hanno da riflettere, magari da segnarselo.

Come saprete, da qualche anno Disney punta molto sul concetto delle sue "principesse", accomunando i suoi personaggi femminili più forti (Cenerentola, Biancaneve, Ariel, Mulan...).

Finora il posizionamento è sempre stato molto favolistico, prestando il rischio di essere sì apprezzato dalle bambine più piccole ma di perdere - visto il mondo in cui ci troviamo - appeal e trazione non appena crescono.

Un mondo fatato, buoni sentimenti e mielosità, parecchio finto e forse un po' datato.

Non a caso sono negli ultimi anni usciti film man mano più tosti, dove l'eroina femminile non è una svampita principessa che si fa ingannare dalla matrigna, ma magari una donna che va in guerra, una donna che combatte (metaforicamente e con le armi) per i suoi principi etc.

In questo scenario interessantissimo il video " I'm a Princess" - che descrive bene il nuovo senso che Disney vuole dare alle sua principesse.

E il messaggio che vuole passare a ragazze e bambine (v. anche questo articolo).

Passando da loro, le principesse, a "Io sono una principessa" (e non una principessina tonta).

Da vedere.

Il testo del video potrebbe essere stato scritto integralmente da un planner bravo, anzi vorrei averlo scritto io ;-).

Da ascoltare e da meditarci sopra, prendendolo come riferimento di come si lavora sul posizionamento, sul DNA che vogliamo dare ad una marca e a come raccontarlo.

Guardate il video: 

Disney presents the 'I Am A Princess' video. This is a celebration of what it truly means to be a Princess, today. To be brave. To be kind. To be generous and compassionate. Join Disney as we celebrate the Princess inside every young girl. Long may they reign! 


giovedì, ottobre 18, 2012

Genio:quando attendi in linea invece di annoiarti, partecipi.


On Hold Jam Session :-)))

Attendere in linea quando si è chiamato un numero è francamente irritante.

Figuriamoci quando si sta chiamando un "fornitore".

Ma c'è qualcuno che ha trovato un modo intelligente per ammorbidire la cosa, trasformare l'attesa in un momento che contribuisce (davvero) la marca o quantomeno è coerente con il suo DNA.

Anzi, facendo sì che i propri clienti si augurino di essere messi in attesa.
Il tutto a costi improponibili - ma cosa importa, tanto sicuramente s vincono dei premi.

Billboard, in Brasile, aveva evidentemente il problema delle lunghe attese quando chiamavano i reparti media delle agenzie o i centri media. Clienti che è meglio non far irritare.
Invece che potenziare il centralino...
beh, vedete un po' il video :-)

In sostanza, hanno fornito dei numeri di telefono da comporre durante l'attesa. E suonare, insieme alla musichetta d'attesa, alcuni tra i più grandi successi pop di tutti i tempi. Perfettamente coerente. Engagement. Gioco.

Enjoy. E se vi affascina il concetto, potete esplorarlo più a fondo facendo ricerche per "DTMF Music".

lunedì, settembre 24, 2012

Pinterest, strategia semplice ed efficace: Audi


A me piacciono le idee semplici e strategiche. Come questa.

Su Pinterest, network dalla grande crescita, che diavolo può farci una marca? OK, per quelli per cui è un lovemark è facile: muoiono dalla voglia di vedere i miei prodotti e ci metto su le fotine emozionali.

E per gli altri? Per gente come me che magari rispetta la marca ma non è di per se' interessata ai prodotti?

Beh, un buon approccio è sempre quello di essere strategici. Pensare a cosa rappresenta, secondo la nota equazione "My brand stands for..." (fill the dots).

Se trovo un tema che rappresenta il DNA della mia marca (ed è un tema che può interessare) allora ha senso andare a presidiarlo.

Cosa che ha fatto Audi, facendo un board su Pinterest  di foto sull'innovazione, sull'essere il simbolo dell'avanguardia. 

Un board aperto alla contribuzione delle persone (co-creation), dove non mi rompono le scatole con foto di prodotto ;-) in modo che sento che non si tratta di un pretesto per rifilarmi messaggi di vendita ma di un'operazione più "pulita" - che può davvero andare a lavorare sulla percezione della marca e sull'associarla a uno dei suoi valori chiave.

Easy. Mi piace.

martedì, settembre 18, 2012

Come cambiare l'header del proprio Twitter


Dato che entro i prossimi 5 minuti parte le fregola di personalizzarsi Twitter con le nuove impostazioni grafiche, ecco un tutorial.

(io l'ho fatto, carino... un po' eyecandy, un po' "branding")

http://mashable.com/2012/09/18/how-to-change-twitter-header-image/

venerdì, giugno 01, 2012

Video lezione personal branding e blogging

Tratto dal corso interattivo del Sole 24 Ore "marketing e comunicazione digitale", venduto in edicola, ecco in omaggio un minuto e mezzo di lezione su Personal branding e blogging, tenuta dal sottoscritto... :-)

Enjoy.


lunedì, aprile 23, 2012

C’è da aspettarsi un bel botto sul Digital. In positivo.

Se Procter & Gamble si mette in moto... c'è da scommettere che qualcosa succede.

Ecco l'inizio del mio più recente articolo su Tech Economy:

digital “is here to stay” e ha effettivamente un impatto su come comunichiamo, come siamo percepiti. Ha un effetto non solo “sul branding” (uno di quegli immateriali fondamentali per la salute dell’azienda, ma di cui in tempi di crisi tanti ritengono di poter trascurare per concentrarsi sull’hard selling). Ha invece anche un effetto sulle vendite, sulla bottom line.

Se interessa continuare a leggere e vedere cosa ne dice P&G, potete trovare il mio articolo qui: 

martedì, aprile 03, 2012

Ricerca scaricabile sui Social nel mondo: Wave 6

Per tutti i digital planner affamati di numeri (ma anche per tutti gli altri), segnalo la release della wave 6 della ricerca sul digitale di Universal Media, che potete scaricare qui.

Ci sono parecchie cose interessanti e anche qualche numero specifico per l'Italia e gli utenti italiani dei social.

Degno di nota il fenomeno di declino dei "brand site", la cui frequentazione declina, specialmente nei giovani.

Sarà perchè alle persone non interessano più le marche e ci cercano solo gli sconti? (è una componente, ci sono delle evidenze che lo provano).


Sarà perchè le marche stanno usando meglio i social per parlare con le persone, riducendo la necessità di andare sul sito?

Sarà perchè alle persone piace meno andare sui siti e ci vanno proprio solo per il pezzetto finale del ciclo d'acquisto - raccogliere dettagli e info propedeutici all'atto d'acquisto?

Ci sono poi parecchie altre cose degne di menzione - in primis il fatto che l'esperienza più forte che si può dare alle persone... è rispondere loro e risolvergli i problemi.

Già che ci siamo vi metto anche lo spottino della ricerca...


mercoledì, novembre 30, 2011

Qualche numero sull'influenza dei Social Business... sul business delle aziende


Nuova puntata del mio corso di marketing digitale per non esperti. 
Ospitato da EuroGroup

I Social Media pesano nel processo di decisione e di scelta d'acquisto. La tendenza generale dei Social Media in Italia è di fare molta discussione, molte parole ma pochi numeri. Anche (soprattutto?) perché non è facile misurare il loro impatto sul business, un po' perché i progetti Social non vengono studiati per essere misurabili - accontentandosi di misurare il numero di fan della pagina Facebook - che non è un numero che si relazioni poi così direttamente al proprio business. 

D'altra parte che deve prendere decisioni in azienda sull'allocazione delle risorse e sulla pianificazione di marketing e comunicazione ha bisogno di capire se e come (magari anche quanto) i Social Media possono impattare sul proprio business. 

Il che è un'esigenza su cui anche il mercato degli operatori sta riflettendo duramente - proprio perché se si riesce a dimostrare che i Social "fanno vendere", i cordoni della borsa si allargano e gli investimenti su questo fronte saliranno. 

 In questo contesto, trovo interessanti i numeri di una ricerca recentemente effettuata da da ISPO e commissionata da Barabino & Partners, che gentilmente me l'ha messa a disposizione. 

 Se il tema interessa, potete leggere il mio pensiero a questo indirizzo

giovedì, ottobre 20, 2011

Facciamo qualcosa di concreto per promuoverci: una Brand Utility, per esempio


Nuova puntata del mio corso pluriennale di marketing digitale per non esperti. 

In questa edizione, si parla di Brand Utility: un'attività, sponsorizzata dalla marca, che dia un servizio concreto all'utente. 

 Cosa dico? Sostanzialmente che per molti motivi, non ultimo il cambiamento culturale portato da Internet e i Social Media (e dal fatto che le aziende se ne sono molto approfittate), si è costruita una certa percezione di resistenza nei confronti della pubblicità. 

 Un modo di comunicare che ci ha venduto sogni o forse troppe illusioni. Uno strumento potente ma che in un mondo dove ci si parla fra persone, rischia di essere percepito come il luogo dove ci si raccontano solo delle storie (nel senso buono o in quello cattivo) e la realtà dei fatti, anche sui nostri prodotti, la si trova altrove. 

Di qui l'interesse verso strumenti che permettano di dare alle persone un servizio, un valore aggiunto. Che dimostri che noi ci diamo da fare per la clientela. 

Ad esempio quella categoria di attività che vengono definite di "Brand Utility". 

venerdì, marzo 04, 2011

Un po' più in basso dell'Assvertising...una guerriglia?


L'uso del corpo delle donne, tema in questi giorni molto di moda, visto dal punto di vista della pubblicità non convenzionale porta a risultati spesso provocatori e discutibili. Ma anche a usi più divertenti e leggeri, come nel caso dell'Assvertising (non necessariamente solo femminile) o di questa operazione sviluppata da Superette, marca di abbigliamento neozelandese. 


Arriva il caldo, le gonne si accorciano e spariscono le calze. La coscia diventa un bersaglio perfetto per la pubblictà, anzi diventa un media - grazie ad una serie di "stampi" posti sulle panchine della città, che promozionano i saldi degli shorts... makes sense.

(Ha senso nel senso che diventa una cosa di cui si parla, non che si deve calcolare il ROI della coscia, magari segmentando in termini di GRP per coscia sinistra e Reach&Frequency della coscia destra...)

giovedì, marzo 03, 2011

Levi's si cala i pantaloni. Socialmente :-)

Una piccola case history, un' iniziativa che combina i Social Media con il tema della caccia al tesoro, un progetto in Nuova Zelanda per riattivare il rapporto tra i jeans più famosi del mondo e un target giovane che ne sentiva poco il fascino.

Insomma, guardatevi il video.

martedì, marzo 01, 2011

Un giorno di vetro- la nostra vita nel 2025?


Vi propongo questo film istituzionale, di brand... molto bellino e prodotto benissimo - che ci porta in un mondo del futuro prossimo.
Dove la mobilità e l'accesso ai dati, internet nel tavolo della cucina...insomma una celebrazione del vetro come device ;-)
Molto Geek Advertising

Carino da guardare, l'ho postato sopratutto perché mi sembra molto legato ai temi su cui stiamo lavorando per il WePadProject (btw - saremo in onda per il quinto brainstorming domani verso le 10, ci trovate qui: www.wepadproject.it)